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LO SCORPIONE VELENOSO LO PUNSE, MA SAN PAOLO RASSICURO’ L’UOMO: NIENTE PAURA E’ SOLO UN GRANCHIO

Continuando per il nostro itinerario attraverso le meraviglie e le curiosità che offrono i suoi suggestivi paesaggi, le leggende, i personaggi, ci inoltriamo in uno degli angoli più stupendi della città.

Si tratta di un sito veramente…. paradisiaco: le latomie del paradiso! E’ detto così perchè è veramente incantevole, sia per la vegetazione lussureggiante che per le curiosità che contiene, soprattutto il famosissimo Orecchio di Dionisio e la Grotta dei Cordari.

Ci conviene arrivare prima alla Grotta dei Cordari, riservandoci di visitare l’Orecchio al ritorno, che lasciamo alla nostra sinistra per inoltrarci fino in fondo dell’antichissima “ pirrera” o cava di pietra dalla quale gli antichi Siracusani ricavano la pietra per costruire le case, i monumenti e le mura della loro città, perchè quella pietra ha una solidità media, particolarmente adatta ad essere anche scolpita essendo un calcare biancastro. La roccia, un calcare biancastro, veniva tagliata verticalmente e a strati, così che se ne ricavavano delle grotte; con le infiltrazioni d’acqua e i sismi le immense volte sono quasi tutte crollate, per cui in certi tratti rimangono come pozzi giganteschi trasformati in orti e frutteti rigogliosissimi. Altre volte, le grotte sono rimaste, come la Grotta dei cordari e l’Orecchio di Dionisio.

Nei tratti dove sono rimaste si può osservare agevolmente come avvenisse lo scavo. Un antico posto di guardia al centro della latomia nei pressi della Grotta dei Cordari, al centro di un meraviglioso e ampio aranceto, ricavato dal crollo della volta dell’immensa cava, è rimasto un altissimo pilastro, come pure ne è rimasto uno altrettanto gigantesco alle latomie dei Cappuccini, il quale per la strana forma che ha assunto viene chiamato “ il coccodrillo”. Alcuni dicono che venne chiamato così perchè “ inghiottiva” qualunque disperato , per finire i suoi giorni, si gettasse da sopra in quel baratro facendo un volo di alcune diecine di metri….

La leggenda dice che quello delle latomie del paradiso era un posto di guardia.

Adesso è impossibile salirvi ma prima doveva esservi scavata una specie di scala a chiocciola che gli girava tutto intorno e che portava agevolmente fino in cima al pilone.

E lì si appostava il corpo di guardia, così da sorvegliare tutti coloro che sotto erano condannati ai lavori forzati nelle diverse epoche, per l’estrazione delle enormi colonne monolitiche che servirono per i grandiosi templi, come quello di Atena, di Apollo e di Giove, i cui ruderi ancora oggi destano la più grande meraviglia per la grandiosità della costruzione.

La Grotta dei cordari era famosa fin dalla più remota antichità. Moltissimi viaggiatori l’hanno immortalata con i loro disegni, le loro litografie. Però la pittura più significativa e indubbiamente la più importante dal punto di vista storico è l’acquerello su carta che ne fece Francesco Paolo Priolo nel 1867.

Esso si ispira ad un episodio tratto dagli Atti degli Apostoli ( 28/2 ) e ripreso e ampliato in seguito da una vasta produzione agiografica locale, che ci porta sino alla leggenda della vipera e delle qualità antivenefiche possedute da San Paolo e manifestate in diverse occasioni. Già l’episodio della vipera è riportato dallo stesso capitolo 28 degli Atti degli Apostoli, quando dice che San Paolo per fare riscaldare i compagni scampati al naufragio e giunti esausti e infreddoliti sulle rive di Malta, “raccolse un fascio di legna e lo gettò sul fuoco. Una vipera, per sfuggire al calore, schizzò fuori e s’avventò alla sua mano.

Quando gli abitanti videro pendere dalla sua mano quel rettile, dissero fra di loro:” Costui dev’essere certo un omicida, perchè scampato dal naufragio, la giustizia non gli permette di vivere. Paolo scosse quel rettile sul fuoco e non ne risentì alcun male”.

Nell’opera del Priolo vediamo dunque il Santo che predica dentro la Grotta, che si distingue benissimo essere quella dei cordari, perchè vi si notano le pareti pendenti, ritagliate sul fondo luminoso rappresentate come delle quinte da palcoscenico. Il Santo è ritratto con la destra sollevata in atto di predicare, attorniato dai suoi compagni e da una folla devota che lo ascolta attentamente. Le figure, sia quelle della prima campitura, sia quelle di fondo, sono disegnate con mano sicura e con le espressioni umane più varie, con riuscito effetto di contrasto sia delle luci e delle ombre, sia della staticità del paesaggio e del movimento del drappeggio degli astanti.

San Paolo e lo scorpione

trasformato in granchio

Si sa che uno dei pericoli più gravi per chi si reca in luoghi umidi come le latomie sono gli scorpioni: Sono animaletti velenosi che hanno il capo connesso al torace, la bocca con due chele, la coda con un pungiglione e una vescichetta d’onde schizza veleno.

Se gli Atti degli Apostoli raccontano l’episodio della vipera, la leggenda che narra l’episodio della predicazione di Paolo nella Grotta dei Cordari racconta quello dello scorpione. Ora, mentre San Paolo stava predicando, un uomo sollevò uno dei tanti massi che stavano nella grotta per potervisi sedere e ascoltare più comodamente la predica. Ma, intento a non perdere una parola di quello andava dicendo l’Apostolo, non si accorse che sotto il masso vi era, come appunto abbiamo detto che capita, uno scorpione.

Il velenoso animale, disturbato dal suo tranquillo riposo all’ombra del masso, cominciò a camminare e appena quell’uomo si sedette, lo punse con il suo aculeo e gli schizzò il veleno. Improvvisamente si sentì un terribile urlo di dolore, che fece voltare tutti gli ascoltatori verso quella parte dove il povero uomo si contorceva dal dolore. San Paolo interruppe la sua predica e domandò che cosa fosse successo: “Quell ’uomo là in fondo – gli spiegarono – è stato morso dallo scorpione velenoso! Per lui non v’è scampo, oramai!”

San Paolo, come tutti sanno, era ciaraulu, cioè non temeva le vipere e gli animali velenosi. Si dice pure che chi è nato il 25 gennaio, festa di San Paolo, è pure lui ciaraulu e le vipere se le può mettere anche in tasca, come faceva Turuzzo Rizza a Palazzolo, dopo aver loro tolto i denti….

“ Non temere! – disse al pover uomo che già era diventato pallido, bianco come una pezza uscita fresca fresca dal bucato –

Abbi fede in Dio, che è solo un morso di granchio!”E piegatosi verso terra, con la più grande meraviglia di tutti, raccolse, che era ancora lì che tentava di nascondersi sotto il masso, nientepopodimenochè un… granchio, un bel granchio di fiume! Per la singolarità della grotta, c’è stato persino chi, come Gabriele D’Annunzio, l’ha scelta come scenografia in un’opera teatrale.

Ma le meraviglie della grotta non sono finite: la grotta è detta dei cordari perchè fino a pochi anni addietro vi erano degli artigiani che con la zammara o zabbara, l’agave dalle cui foglie si ricavano certi filamenti molto resistenti, facevano le corde. Un mestiere molto antico: davanti alla grotta l’apertura è molto ampia e luminosa, per cui si prestava molto al particolare lavoro del cordaro che deve fare sempre avanti e indietro per ricavare da quei filamenti la corda, che serviva a tantissimi usi.

Oggi che la corda si fa di nailon la grotta rimane sempre “ ’A ’rutta d’’e curdari!” e la tradizione non dovrebbe essere dimenticata!

Arturo Messina