FABIO MELI RACCONTA LA STORIA DELLE SALINE SIRACUSANE, NOVE ERANO NELL’AREA DI AUGUSTA
Il sale e la sua importanza sulle coste siracusane.
Come farebbe l’uomo a vivere senza alimentarsi? Potrebbe esistere senza il cibo? Soprattutto, come sarebbe mangiare senza sale? Probabilmente gli ipertesi sarebbero più felici. Gli ipotesi meno.
Tuttavia quando si pensa al sale sarebbe interessante pensare alla prima volta che l’uomo ha assaggiato, provandone il sapore.
Molto probabilmente l’introduzione di questo alimento in cucina ha portato ad una vera e propria rivoluzione cambiando le abitudini di allora e generando un nuovo stile di vita. D’altronde questa scoperta non risale nemmeno a periodi recenti, dal momento che già Plinio il Vecchio nel suo libro Naturalis Historia effettua una cernita delle tipologie di sale da lui individuati, suggerendone gli utilizzi e citando, tra gli altri, quello Megarico, riconducibile a Megara Iblea, piccola colonia greca nelle vicinanze di Augusta (Siracusa). Plinio consiglia questa tipologia di sale per la conservazione delle carni, presso i Romani il sale veniva anche utilizzato per la produzione del garum, una salsa utilizzata come condimento dei primi piatti, così come per la conservazione del pesce. Al di là della necessaria fonte primaria, ovvero l’acqua del mare, l’aumento della richiesta del sale ha favorito la nascita delle saline in quei luoghi in cui era facile accedere al mercato del commercio o erano presenti attività che ne facevano ampio uso. Per questo motivo, soprattutto nel medioevo, spesso le saline si trovavano in prossimità di aree portuali e di tonnare.
Passeggiando sulle zone costiere rocciose specialmente nel periodo estivo, si trovano spesso all’interno delle cavità delle rocce dei residui di sale, che si sono generati in seguito all’evaporazione dell’acqua marina depositatasi durante le mareggiate del periodo invernale.
Questo spiega il motivo per cui uno dei principali fattori che favoriscono l’insediamento di un sito di produzione del sale è la caratteristica del terreno, che deve essere facilmente raggiungibile dalle acque marine, ma soprattutto deve avere delle proprietà stagnanti per permettere all’acqua di evaporare, lasciando precipitare i sali contenuti in essa e facendo cristallizzare la frazione costituita da cloruro di sodio. A fianco alle caratteristiche del suolo, l’altro aspetto fondamentale è quindi quello climatico, che deve favorire il processo di evaporazione. Un clima caldo, secco e ventilato è ideale quindi per la produzione del sale.
Se da una parte la formazione del sale è un processo che, dipendendo dalle condizioni climatiche e dalle caratteristiche del terreno, non può che essere definito naturale, dall’altra parte una produzione massiva di sale richiede l’intervento dell’uomo che, attraverso una semplice ma funzionale infrastruttura di ingegneria idraulica, realizza una serie di canali e di vasche che scandiscono le varie fasi di produzione.
Durante il periodo di preparazione delle saline, vengono effettuate quelle che sono le attività di manutenzione, che consistono principalmente nella sistemazione dei canali e nell’impermeabilizzazione del suolo. Successivamente, si passa al riempimento delle vasche o sfruttando le alte maree o utilizzando delle pompe idrovore, dando ufficialmente inizio al ciclo di produzione del sale. L’acqua del mare viene canalizzata all’interno di una vasca chiamata fridda dove le impurità insolubili, come ad esempio sabbia e argilla ed impurità poco solubili come i carbonati di calcio precipitano sul fondo facendo crescere la densità dell’acqua dagli originari 3-4 °Baumé ai 6-7 °Bè. A questo punto l’acqua viene spostata nelle vasche intermedie chiamate ruffiane che si trovavano ad un livello geodetico superiore.
Da qui il processo evaporativo continua facendo precipitare altri sali quali i solfati di calcio, il cloruro di magnesio, il solfato di magnesio, il cloruro di potassio ed il bromuro di magnesio. In queste vasche la densità dell’acqua aumenta. A circa 14-15 °Bé proliferano i microrganismi alofili fanno diventare rosso il colore dell’acqua. La continua evaporazione ed il conseguente aumento della densità impedisce comunque a questi organismi di vivere, così quando la densità dell’acqua raggiunge i 24 °Bé essa viene fatta cadere per gravità sulle ultime vasche chiamate caselle, dove l’ulteriore evaporazione dell’acqua genera la cristallizzazione del sale, lasciando un piano di cristalli di cloruro di sodio pronto per la raccolta. L’eventuale acqua rimanente nelle caselle o viene reimmessa in mare o viene asportata verso le vasche evaporative attraverso pompe a vite di Archimede manuali.
Anche la fase di raccolta del sale costituisce un momento delicato e faticoso. Delicato, perché la essa doveva essere effettuata evitando di alterarne la qualità portando con sé anche la parte fangosa presente al di sotto della crosta. Un momento faticoso perché tutto il lavoro, dalla fase della rottura della crosta superficiale al raggruppamento per l’essiccazione al sole, avviene sotto i raggi diretti del sole, riflessi oltretutto dal bianco del sale. A questo si aggiunge una condizione di asperità dovuta all’inevitabile contatto diretto tra la pelle nuda ed il sale stesso. Non a caso vi è il detto siciliano “iancu jè u Sali, jè niuru cu lu travagghia” (bianco è il sale, è nero chi lo lavora).
A Siracusa, nella zona sud erano presenti le saline Di falco e Bussichella, mentre nella provincia oltre alle saline individuate nella zone più a sud (Pantano Morghella e Marzamemi), rilevante importanza aveva la salina Magnisi, a ridosso dell’omonima penisola. Le maggiore presenza, tuttavia, si trovava nel territorio di Augusta in cui se ne individuavano ben nove: Regina, Migneco, Lavaggi, Alcova, Germani Bussichella, Costanzo, Fratelli salomone, Salvatore Salomone.
Come si è accennato pocanzi, le saline non erano in funzione tutto l’anno. Indicativamente le attività preparative cominciavano nel periodo tra marzo ed aprile, mentre le vere e proprie operazioni cominciavano a giugno per concludersi verso la metà di settembre al più fine ottobre. Per questo motivo, il personale impiegato spesso proveniva dallo stesso ambito di quello agricolo e le saline rappresentavano un sistema di sostentamento ma anche di ricchezza. Per questo motivo alcuni termini ad oggi in uso nella lingua italiana, ma non solo, prendono spunto da questa attività, come per esempio salario o salasso. Tuttavia quella che era un’attività frutto non solo della conoscenza tramandata, ma anche delle caratteristiche intrinseche del territorio, andando a cancellare quello che era un tratto storico, etnico ed antropologico del territorio. Alcune delle saline, che già di per sé rappresentavano un ambiente favorevole per il proliferare di animali, in particolare alcune particolari specie di volatili, sono ad oggi diventate riserve naturali più o meno curate. Altre sono state completamente seppellite dallo sviluppo del tessuto urbanistico circostante. Altre, infine, stanno scomparendo vittime questa volta dell’ampliamento delle stesse strutture che ne hanno determinato la fine in nome di un famigerato sviluppo che se non altro ha certamente cancellato qualcosa che ci appartiene un po’ come il nostro DNA: la storia e la tradizione.
Fabio Meli