Politica

“MUSTAZZU” E LA STORIA DELLA VALLE DEI MULINI

Andando ancora spigolando tra le radici memoriali del territorio siracusano, non possiamo non soffermarci su quello che è stato uno degli angoli più suggestivi ma, nello stesso tempo, più operosi e più carichi di storia. Chi giunge a Palazzolo da Siracusa, per la vecchia strada provinciale, che in paese diventa Via Nazionale e dopo Piazza Pretura, alias, per i paesani, ’a Vardia, perchè lì vi oltre che la pretura anche il carcere ed oggi è sede delle Guardie Metropolitane, diventa  via Roma fino alla ex stazione di Palazzolo- Buscemi, della quasi leggendaria ferrovia a scartamento ridotto Siracusa-Vizzini, nota che prima del cancello del monumentale cimitero  vi è una stradina. Oggi essa è asfaltata e abbastanza agevole per quanto serpeggiante; ma, fino a poco tempo fa, era una semplice trazzera, che, man mano che si percorreva, diventava una, piuttosto ripida, mulattiera. E con il mulo o l’asinello ci si andava, carichi di frumento all’andata e di buona farina al ritorno: vi funzionava ben sette mulini, le cui vecchie costruzioni possiamo ancora ammirare ma mano che ci avventuriamo a visitare quello centrale.

E’ quello dei “Mustazzu”: in paese, si sa, ci si conosce più con il terzo nome, la ’gnuria, mentre essi si chiamavano i coniugi Gallo.

Diciamo si chiamavano perchè è morto il signor Gallo (questo è il vero cognome dell’ultimo mulinaru della Valle dei 7 mulini, anche se la sua famiglia era meglio conosciuta dai palazzolesi vecchi o stampo con quel soprannome o anche con quello dei Suffatari, perchè proveniente dalle parti di Caltanissetta o Agrigento, note per le miniere di zolfo, che in gergo vien detto sùffuru.

Come funzionavano? Ce lo spiegò la buonanima in persona, che andammo a visitare in loco poco prima che egli morisse.

Ma, prima di accennare alla tecnica del funzionamento, dovete sapere che lungo quella lunga e ampia vallata, di cui quella dei mulini è semplicemente l’ultimo tratto, Non scorreva, secoli e secoli addietro, il rigagnolo che vi scorre ancora oggi e che purtroppo è stato trasformato in autentica cloaca o rete fognaria cittadina: “ Prima, quando io ero ragazzetta – ci disse in quell’occasione la signora Gallo – l’acqua

era limpida e abbondante; tantissime madri di famiglia venivano qua, o nelle vicinanze, come o’ Bibbinieddu o a’ Ciurbedda, a lavare la loro truscia di robba..

Adesso la vede di che colore l’hanno fatta diventare i nostri allegri amministratori?”

La signora Gallo era una donna piena di esperienza e molto comunicativa, tanto

da fare da esperta suggeritrice al marito, in quella che diremmo una vera lezione teorico pratica sul funzionamento degli antichi mulini! Ricordo che ci spiegò persino il significato di Ciurbedda: “ Questo che ora vedete e… sentite, era bellissimo prima della guerra: veniva chiamato ciumi beddu, appunto  Ciurbedda o, Furbedda. C’è ancora una contrada della vallata che viene chiamata Ciumi ’Ranni. Le sue acque servivano per l’irrigazione dei numerosi orti. Ancora più a monte, proprio a un centinaio di metri dal carcere, c’era Fontana ’Ranni, che dava acqua potabile a quasi tutto il paese. E più sopra ancora, in contrada San Giovanni o Madonna delle Grazie, proprio sotto la parte più alta del paese, dove ora sorge il Camping della Torre, a poca distanza dal teatro greco, la sua acqua non solo era abbondante, ma anche tra le più buone. Fu proprio durante la guerra, nel famoso bombardamento del 9 luglio del 1943, che una delle centinaia di bombe lanciate dagli americani cadde proprio in quel punto e seppellì quasi completamente il fiume. Adesso ne è rimasta una piccola parte, dove è stato creato un abbeveratoio. Vengono tanti, anche da Siracusa, a riempirsi i bidoni con quell’acqua e la preferiscono a quella imbottigliata, tanto è buona!

La valle dei Sette Mulini era l’ultimo tratto di quella che partiva da Contrada Falabbia, sotto la necropoli d’’o Santiceddhu, passava per i Santuna, che dovettero essere scolpiti sulla sponda del grande fiume come quelli presso la diga d’Assuan lungo il Nilo, e conteneva l’alveo imponente parallelo a quello dell’Anapo. ”

In quel mulino, che prima era del padre e dove si può dire che era nata, doveva essere venuta a farsi macinare il grano tantissima gente, anche acculturata, se la signora Gallo si dimostrò una vera e propria cicerona.

Era lei, infatti, che si tratteneva a spiegare a chi veniva o la pregava di farsi trovare al mulino perchè voleva visitarlo. Ogni anno anche le maestre portavano le loro scolaresche a fare una visita al Mulino Gallo e lei faceva trovare noci, fichi secchi., pane caldo, acqua per tutti: aveva il cuore grande quanto la macina del suo mulino!

A questo punto, parlando di macina, bisognava far parlare per forza l’ultimu mulinaru: “ L’acqua del fiume, veniva incanalata nella condotta forzata, una canaletta di una ventina di metri coperta di lastre di pietra che faceva precipitare l’acqua nella cammira, che sta sotto il vano delle macine.

La forza dell’acqua muoveva la turbina. Bisognava essere esperti mastri d’ascia per costruire le pale dove l’acqua a forte velocità giungeva e faceva muovere la ruota che comunicava sopra il suo movimento rotatorio attraverso una puleggia.”

Ci conduce quindi a vedere la cammira: una specie di stanza sotterranea vera e propria, e ci fa vedere la turbina e le pale:

– Il getto dell’acqua era più abbondante, prima?

“ Non molto! Come quantità non è molto cambiata: è la qualità, che oggi fa schifo!”

Ci riconduce quindi sopra ed aziona a mano la macina, che ad una piccola pressione si mette subito a girare: “ E’ la suprana quella che gira – ci spiega – cioè la ruota di sopra, mentre quella di sotto, la suttana, sta ferma. Il frumento si mette dalla moggia, la parte a grande imbuto, e da lì la quantità di grano scende in tempi che vengono regolati stringendo oppure allargando una vite…”

“ Come nel vecchio macina caffè – aggiunge per farci capire meglio la suggeritrice – o meglio l’oriu, l’orzo, perché da piccoli noi il caffè si può dire che non lo conoscevamo e macinavamo oriu atturratu da noi stessi! ”

“ Sotto la canaletta da dove usciva la farina, separata dalla canigghia ( crusca), c’era apparato un sacco di cannavazzo.

Vediamo nel mulino, l’una accanto all’altra, due macine: Potevano funzionare contemporaneamente tutte e due le macine?

“ Sì—ci spiega il signor Mustazzu, pardon, Gallo – ma una serviva per macinare il frumento e l’altra per macinare l’orzo!”

“ La macina per il frumento—la signora Gallo si dimostra ancora una volta quella che approfondisce gli argomenti—è di pietra bianca, mentre quella per macinare l’orzo è di pietra grigia. La prima proveniva da Canicattini era meno dura perchè il grano si macina meglio dell’orzo; la seconda è una pietra più dura e proveniva dalle parti di Modica/Ragusa.”

“ L’importante è – riprende subito il discorso il signor Gallo, che non vuole essere di meno, nel dare spiegazioni pratiche soprattutto—che la suttana abbia i denti!”

E detto ciò sale su una terza che ci rendiamo subito conto essere posta lì a dimostrazione e con martello e scalpello si mette a dare dei colpetti alla pietra per incresparla:

“ Senza i denti – conclude – la mola non macina bene. Perciò, ogni tanto bisogna affilarglieli!”

Quando venne costruito il mulino?

Il signor Gallo rimane incerto sulla risposta da darci e quindi, come al solito, interviene la sapiente consorte:

“ Io ero piccola quando venne a montare le macine l’ingegnere Riccardo. Il nome me lo ricordo perchè mi fece tanta impressione: in paese non avevo mai sentito dire quel nome! Era forestiero. Ai tempi di mio padre c’era una sola macina. Fu l’ingegnere Riccardo a farne funzionare due nello stesso tempo, con una doppia serie di pulegge”.

Il signor Gallo ci fa passare sotto il piano delle macine che pare un palcoscenico e ci fa vedere gli ingranaggi che aziona con la massima facilità; la signora Gallo, quindi ci conduce nel vano ricavato sopra le macine stesse: “ Qui era la nostra camera per mangiare e dormire! ”Adesso l’ultimu mulinaru della Valle dei Sette mulini non c’è più; altri Gallo continuano l’industriosa attività del mulino ( che più propriamente, da mola, deve essere chiamato molino ) ma, ovviamente, aggiornandosi alle nuove tecniche, che fanno a meno dell’acqua per funzionare, servendosi dei motori elettrici, ma la figura del Gallo del Mulino Centrale ( Mulineddu, Mulinu Santa Lucia, Mulinu d’’a Turri, Mulinu Granni…) non deve essere dimenticata! Forse, a ricordarlo, contribuirà il documentario in VHS  che in quella visita ne realizzammo.

Arturo Messina