LA LEGGENDA DI PAULINU RE SETTE SCOGGHI
Tra le leggende che i vecchi Ortigiani ricordano ce n’è una molto strana che riguarda un angolo suggestivo di Ortigia, la leggenda di Paulinu d’’i Setti Scogghi.
E’ vero che la gobba porta fortuna?
Non è che capitan Michele Fortuna fosse stato sempre chiamato capitano e che avesse avuto sempre dalla sua parte l’omonima dea! Da ragazzo era stato un mozzo non calcolato, se non anche alquanto trascurato e addirittura disprezzato, perché fisicamente era piuttosto un…mozzone, cioè con un fisico anche al di sopra della media in altezza e in… gravità, tarchiato, muscoloso, per giunta litigioso, irascibile, attaccabrighe, anche se molto volenteroso, nonché di una certa capacità.
Tutto sommato, però, un ragazzo che era meglio evitare. Per questo aveva trovato sempre difficoltà ad essere incluso nella ciurma di un qualunque peschereccio.
Un bel giorno per lui le cose cambiarono.
Non avendo trovato da un po’ di tempo chi lo prendesse a bordo, era andato a trascorrere la mattinata alla “villa ê varagghi”- così chiamano quel piccolo spazio alberato che si trova vicino alla Fonte Aretusea, che ancora i Siracusani chiamano “’a funtana dê pàpiri”.
Lì si era seduto a vedere giocare i ragazzini con una palla di pezza, o meglio a prendere in giro uno di loro. Il perché non se lo seppe subito spiegare; ma ad un certo punto vide che la palla aveva colpito la spalla di uno di loro e che un altro, sganasciandosi dalle risate gridava: “Ohu! ‘U immu ci ammaccai ‘n’autra vota!” E tutti a gettarglisi addosso e a deriderlo, Infatti si accorse che quel ragazzino aveva una sporgenza tra una scapola e l’altra; era un protuberanza non molto pronunziata e vistosa, ma si sa che tra i ragazzi lo sfottersi a vicenda è una normale abitudine. Gli fece una certa pena, una tenerezza, che non aveva mai provato, irsuto e scorbutico com’era. Si alzò e stava per intervenire, quando vide che tutti avevano smesso di giocare e correvano a gettarsi in acqua: si avvide subito che quello era il regno assoluto del ragazzino.
Nuotava come un pesce e riuscì a fare il giro dei sette scogli che tutti conosciamo in quel suggestivo angolo della marina, surclassando di diverse lunghezze tutti quanti.
Volle congratularsi con lui: – Bravu, picciottu! Comu ti chiami?
-Paulinu.
-Paulinu, comu?
“Paulinu dê Setti Scogghi- rispose per lui uno dei ragazzi – pirchì ni batti tutti ê Setti Scogghi. Si ci scummetti, batti macari a tia!”
“ Iddhu sta a galla macari senza natari – dice un altro con una gran risata – e, si tumma, cô so’ immu assuma subbitu!”
Capitan Michele da allora cominciò a volergli un gran bene; volle andare a trovare i suoi genitori e disse loro che voleva “addivarlu”, per fargli fare il marinaio e il pescatore con lui. Quelli ne furono più che contenti, perché figliolanza ne avevano …da vendere e avere una bocca in meno da sfamare non era un’occasione da lasciarsi sfuggire.
Da allora, Capitan Michele e Paulinu dê Setti Scogghi furono sempre insieme. Non trovava più difficoltà a far parte di qualsiasi equipaggio assieme a Paulinu Setti Scogghi, o meglio, assumevano lui a patto che portasse anche Paulinu, perché a portare fortuna non era lui, con tutto il nome che portava, ma il ragazzino: la superstizione nei paesi del Meridione è sicuramente più radicata che altrove.
Capitan Michele divenne effettivamente capitano, cioè padrone di un naviglio, quando si sposò: il suocero, perché egli portasse all’altare la sua unica figliola, che si chiamava Rosa, ma che rosa non lo era minimamente, la dotò di una un appartamento e di un motopeschereccio nuovo fiammante, fornito delle più moderne attrezzature per la pesca, del baracchino e dello scandaglio, di un enorme frigo no frost per la conservazione del pesce e di tutte le diavolerie che la scienza di allora aveva inventato anche nel settore specifico. Tutti però ritenevano che non dipendeva dal motopeschereccio con tutte le sue sofisticate attrezzature o con l’innegabile capacità di Capitan Michele, quanto dalla gobba del suo “figlioccio”.
Dopo un anno dalla celebrazione delle nozze, alla moglie di Capitan Michele che volete che potesse nascere da un rospo come lui e da una donna che rosa c’era solo di nome?
L’anno successivo nacque la seconda bambina, questa volta un po’ più guardabile della prima. Per la terza, prodotta sempre a distanza di un anno, la produzione si rivelò di gran lunga migliorata: Gioia, era veramente la gioia della famiglia, non solo dal punto di vista fisico, ma anche come carattere.
Capitan Michele, ovviamente, pensò di imparentarsi veramente con Paulinu Setti Scogghi e quindi di dargli in sposa la prima figlia.
Però, come tutti potete immaginare, sia perché Gioia era la più piccola, la più coccolata, sia perché Gioia era veramente amabile, Paulinu cominciò a sentire qualcosa di tenero per lei e non certo per Gelsomina, che era tutt’altro che un fiore profumato. Ma tutti sapete che allora, per potere andare all’altare la terza, doveva prima sposarsi la seconda, e questa doveva aspettare che si sposasse la prima!
Capitan Michele, perciò, per far sì che Paulinu Setti Scogghi rivolgesse la sua attenzione per Gelsomina, ora comperava una cravatta e gliela faceva offrire dalla figlia; ora comperava un paio di scarpe, ora anche un elegante vestito e glielo faceva offrire sempre da Gelsomina, facendo finta che il regalo venisse da lei, che era ben contenta di andare a nozze con lui.
Paulinu Setti Scogghi ringraziava rispettosamente, ma non dimostrava alcun sentimento d’amore per Gelsomina: la sua attenzione era rivolta a Gioia, che ogni giorno si faceva sempre più carina e che, da parte sua, non disdegnava affatto di corrispondere ai sentimenti dell’ “addivatu”, senza però che né lei né lui facessero trapelare nulla a nessuno: sapevano bene che avrebbero fatto scatenare l’ira del padre, ché, anche se la sua situazione economica e sociale era completamente cambiata, non era cambiato affatto di temperamento. Nessuno, né in casa, né sul motopeschereccio, né in nessun posto né in nessuna occasione, si poteva permettere di contraddirlo, di fare una qualunque obiezione: lo vedevate diventare rosso come un papavero e se non vi affrettavate a cambiare discorso, a chiedere subito scusa, cominciava a urlare come un indemoniato, a sollevare le braccia in aria minacciosamente, se era a tavola, a battere i pugni violentemente, quasi da sfondare il tavolo, persino ad afferrare ciò che gli capitava per le mani, piatti, bicchieri, e fracassarli con rabbia, quando, nel colmo dell’ira, non ve li scagliava addosso!
Eppure, il loro amore cresceva in giornata ed era diventato veramente difficile nasconderlo, anche perché con sempre maggiore indifferenza Paulinu accettava i regali che Gelsomina gli offriva, fino al punto che proprio questa, una volta che gli aveva portato un vestito nuovo e – sicuramente dietro suggerimento dell’astuto padre che stava progettando un piano per costringere il giovane a sposare, o con le buone o con le cattive, la sua primogenita – dopo averlo invitato a provarsi la giacca, cosa che quello fece senza obiettare, ma non senza celare una smorfia spontanea di indifferenza – ebbe il coraggio di dirli:
“E ’i causi, nun tî provi? Chi fa t’affrunti ’i mia?”
“E tu nun t’affrunti d’addumannari chistu a mia?- gli ebbe e rispondere Paulinu.
“E si tû addumannassi Gioia?”- gli ebbe a domandare maliziosamente quella.
“Chi ci trasi to’ soru!?…”
Il modo come lo disse fece sorgere un sospetto a quella ragazza che, essendo la prima femmina, evidentemente aveva “patrizzato”, come si suol dire geneticamente.
E il sospetto, mica se lo tenne per sé, quell’infame invidiosa e gelosa! Lo rivelò al padre senza perdere tanto tempo.
Fu allora che quel demonio del Capitan Michele decise di mettere in atto il suo piano, che svelò subito alla figlia degna di lui, la quale non fece alcuna obiezione e che fu ben convinta che altro modo per indurre Paulinu a farsi sposare non vi era. “Dumani sira ju nun ci vaju a piscari – le spiegò – Pirò dicu ca ci vaju e fazzu stari dintra a Paulinu. Mentri iddhu dormi, ’nt’’a so’ cammira, tu ti spogghi nuda e ti ci curchi ô cantu! Attenta a nun farlu arrispigghiari! Iu chiamu a Gioia e ci dicu di circàriti propriu ‘ddhà dintra: accussì vi trova in fragranti e t’ha spusari pi forza, ca si’ ancora minorenni; sinò si ni va in galera!”
Così avvenne. Ma avvenne pure che tale discorso sentisse, chissà come – forse che esiste veramente il demonio che fa le pentole ma non fa i coperchi! – la ragazza che amava Paulinu e che da Paulinu era veramente amata. Gioia, infatti, per puro caso, non vista, si era trovata a passare dalla stanza dove padre e figlia stavano ragionando ed essendosi accorta che essi, al suo apparire, avevano interrotto il discorso, si era nascosta dietro la porta ed origliando aveva potuto rendersi conto di quanto essi stavano tramando.
Un’idea brillante venne anche a lei: rivelare tutto a Pulinu e fargli la proposta della famosa “fuitina”
Zitto tu, zitto io, Gioia si preparò un fagottino con le cose più necessarie. Quella mattina Paulinu ebbe il tempo di andare al porto e incontrare chi, degli amici pescatori, sarebbe stato disposto a farli salire a bordo, di nasconderli in coperta nel pomeriggio e, mentre andavano a pescare nel canale di Sicilia, a sbarcarli a Malta. Lì avrebbe trovato sicuramente chi lo avrebbe fatto lavorare e sarebbero potuti stare felici e contenti per sempre.
Quella sera, sul tardi, dunque, Gelsomina, in punta di piedi, entrò nella stanza di Paulinu Setti Scogghi, senza accendere la luce e senza fare alcun rumore, per non svegliare quello che lei e suo padre si erano fatto il conto che stesse per dormire e che, al contrario, assieme alla sua amata ragazza, aveva realizzato la “fuitina” dopo di aver messo, per far sembrare che effettivamente stesse a dormire, sotto le coperte “u truzzuni”, quella specie di salsiccione infarcito di pezzetti di stoffa, che serviva per arrotolarvi il lembo della coperta.
Si svestì completamente e si mise a letto, aspettando che arrivasse il padre con Gioia, per farsi trovare in flagrante con Paulinu, che credeva ancora dormisse il sonno dei giusti.
Figuratevi, invece, come ci rimasero male lei e soprattutto suo padre, quando questo, rinunciando a portarsi dietro Gioia, che non era riuscito a trovare, pur avendola chiamata più volte, accese la luce e urlò con tutto il fiato che aveva in gola:- Sbriugnati! Chi stati facennu?…
Fu allora che lei si accorse di non essere tra le braccia di Paulinu: “Sula sugnu, papà! – esclamò delusa la poveretta – Nun vitti ca Paulinu nun c’era!”
Sul comodino, intanto, trovarono un biglietto, dove c’era scritto: “Non cercateci mai! Siamo insieme e siamo felici per sempre: vostri figli Paolinu e Gioia!” “Vestiti! Vestiti!- le disse allora Capitan Michele – ca disgrazziata nascisti e disgrazziata campi e mori!”
Da allora le cose a Capitan Michele ricominciarono ad andar male. Le sue reti non furono più cariche di pesce come prima; invece cominciò a caricarsi di debiti, perché era ormai abituato a spendere e spandere ma non aveva, come si suol dire, il piede tanto lungo quanto il passo che faceva. Per non vendersi la casa, un giorno decise di vendersi il motopeschereccio che era stata l’invidia di tutti, non solo perché era il più moderno e il migliore di tutti, ma perché gli faceva prendere più pesci di tutti.
E sapete chi lo comperò, facendo una delega speciale a un suo amico?
Proprio Paulinu Setti Scugghi, che nel frattempo, a Malta, si era fatta una posizione, si era sposato regolarmente, in chiesa e aveva avuto anche una bambina che era proprio un bocciolo di rosa.
E sapete come la chiamò? Rosa; ma la sua bambina era veramente un bocciolo, una splendida rosa!
Un bel giorno Paulinu Setti Scogghi volle accontentare Gioia, la sua brava mogliettina, per ben tre motivi: primo perché era nuovamente rimasta incinta e si sa che quando viene una voglia a una gestante, bisogna accontentarla a tutti i costi e costi quel che costi; secondo perché Gioia aveva saputo delle condizioni economiche del padre e avrebbe voluto aiutarlo; terzo perché la persona che egli aveva delegata a comprare il motopeschereccio del suocero gli aveva riferito: – Si ci fussi statu Paulinu, nun m’avissi arridduttu a ’stu puntu. Così disse a Gioia:- Dumani jemu a Sarausa a truvari to’ patri!
Figuratevi la gioia della signora …Setti Scogghi! A proposito, ma che cognome aveva Paulinu? All’atto del matrimonio glielo avevano detto, ma tutti, anche a Malta, continuarono a chiamarlo Paulinu Setti Scogghi, anche se, veramente, scoglio, per quanto piccolo, alle spalle, ne aveva solo uno…; motopescherecci siracusani ne approdavano spesso anche lì. Per farla in breve, invece di chiedere perdono gli sposini, fu capitan Michele che chiese loro scusa. Paolinu gli affidò il otopeschereccio, che con la sua presenza riprese a riempirsi di pesce e si stettero felici e contenti tutti, anche le altre due figlie di lui, che, avendo ora i soldi, non fecero fatica a sposarsi due bei giovanotti. Ma è proprio vero che i gobbi portano fortuna?
Arturo Messina