L’AGGUATO AL BARONE PASSANURIA E LA MALEDIZIONE DEI TRE TOCCHI
Se Emanuele Giaraca’ sapesse cosa fanno gli automobilisti siracusani davanti a quella che è stata la sua dimora, di sicuro si rivolterebbe nella tomba. Devo supporre però che molti non conoscono Emanuele Giaraca’, se non forse per il nome che da’ a un noto Istituto comprensivo della città. Il Giaraca’ è un’eccellenza della letteratura archimedea, scrittore, poeta e pubblicista dalle idee liberali. Nato il 22 agosto 1825 da Angelo e da Nunzia Chindemi, sorella di Salvatore Chindemi, il quale gli tramandò l’amore per le lettere e per la classicità. Professore e poi preside al liceo Gargallo, era convinto che la letteratura fosse l’unico mezzo per arrivare a una società democratica. Seppe denunciare la corruzione politica, affermava l’importanza dei sani valori e decretava che la famiglia ha un ruolo fondamentale nella formazione e nell’educazione. Era solito trascorrere le vacanze estive in una bella, lussuosa e grande residenza, una masseria di stampo feudale dai saloni ampi e dai soffitti minuziosamente decorati con eleganti stucchi, decori e con immagini di angeli, amorini e putti dai colori tenui e dalle forme ben definite. Intorno, un vasto giardino di limoni, aranci e fichi e mandorli e olivi che lui amava particolarmente e che nei lunghi pomeriggi afosi, quando la canicola delle estati siciliane era insopportabile e anche un singolo lento movimento faceva trasudare la pelle di pesanti sudorose goccioline che imperlinavano il viso, lui si sedeva ai piedi di una pergola e s’immergeva nella lettura. Amava così estraniarsi, e poi scriveva e studiava regalando alla città un patrimonio culturale non indifferente. Il poeta Mario Rapisardi lo aveva definito artista gentile, candida figura di galantuomo, impareggiabile esempio di educatore e di padre.
Ma si sa, niente dura in eterno e successivamente la tenuta fu venduta al barone di Passanuria che si era trasferito con la famiglia in cerca di un clima più consono per la propria figlia, delicata e fragile di salute e che il medico aveva raccomandato un clima caldo e soprattutto marino. Cosicché appariva particolarmente idonea la tenuta dei Giaraca’, grande abbastanza per ospitare nobili di alto retaggio, quale il barone si riteneva. Il barone di Passanuria viveva per la sua figlioletta gracilina smunta e pallida e sperava che il sole siciliano, caldo e brillante e focoso, potesse recarle beneficio alla sua già precaria salute. La vita per lui e per la moglie, procedeva regolarmente ed erano diventati conosciuti nel circondario perché ogni anno, dopo la molitura delle olive e sempre dopo ogni ricco raccolto, erano soliti organizzare gaudiose feste a cui partecipava tutta la nobiltà del circondario. Erano festini allegri e ricchi di ogni prelibatezza, tanto che anche i lavoranti e la servitù godeva di quel ben di Dio che generosamente il barone elargiva in abbondanza. Così, fra baroni, marchesi, conti e contesse, fra frizzi e lazzi, nei bei giardini, se la bella stagione lo permetteva, oppure nei grandi saloni, si tenevano ricevimenti magnifici e opulenti, la cui notorietà si estendeva fino ai feudi della Calabria allargando così la curiosità di gentiluomini e gentildonne. I baroni di Passanuria erano diventati particolarmente noti e ogni anno si aspettava con curiosità un loro invito. Ma l’imprevisto o la mala sorte, è sempre in agguato. Durante una notte in cui la luna era appannata da nuvole dense, una notte buia, tenebrosa e nera, tre briganti furtivamente entrarono nella residenza e con violenza, costrinsero il barone a consegnare tutte le monete d’oro che possedeva. Questi però, visto che aveva pagato i suoi lavoranti il giorno prima, ne era alquanto sprovvisto e consegnò loro solo una minima parte.
I briganti, inferociti sempre più, intimavano le monete e dietro al continuo diniego del barone, cominciarono a distruggere tutto ciò che capitava loro a tiro. La baronessa, a quelle scene, rimase inorridita e, mentre accorreva per mettere in salvo la figlioletta, fu troncata da un colpo apoplettico. Furono momenti concitati, urla e strida. I briganti erano di una violenza inaudita. La bambina, svegliatosi di soprassalto tra frastuoni e oggetti in frantumi, corse in aiuto della madre ormai inerme sul pavimento. Un cencioso non ebbe pietà neanche di lei e, facendosi scudo della bambina, intimava il barone, ancora una volta, di consegnargli le monete, ma questi continuava a ripetere che non ne possedeva più. Il brigante, impietosamente, gettò la bambina nel pozzo. Un urlo straziante si diffuse, squarciando l’aria. Il barone non aveva più cosa dire e cosa fare e con l’ultimo sospiro che gli rimaneva in gola, con rassegnazione mista a rabbia, maledisse coloro che avessero mai messo piede in quella casa infausta o non avessero con onore salutato la sua dimora che tanto lavoro e decoro aveva dato alle persone, ma tanto strazio aveva anche arrecato. Si racconta che ancora le anime di questa famiglia vaghino intorno alla masseria e che i loro sospiri accompagnino quanti, per curiosità, vogliono addentrarsi in questa casa degli spiriti.
Quel caseggiato, in rovina, diroccato e deturpato dal tempo ormai da oltre mezzo secolo, e’ la casa dei tre tocchi e l’automobilista siracusano doc, la conosce molto bene perché è solito suonare tre volte il clacson, quando gli capita di passare in quel tratto di strada che collega Siracusa a Fontane Bianche, accennando a un sorrrisino. Tutte dicerie? Verità? Vallo a sapere. Il fatto è che, ancora oggi, tanti o per scaramanzia, o per consuetudine, o per uso comune, l’automobilista continua a suonare tre tocchi di clacson. Onore è fatto. Non si sa mai!
Graziella Fortuna