Politica

O PRESEPIU, AMORE SENZA FINE

Da piccolo avrei fatto follie per averne uno, sarei impazzito dalla gioia, ma “a me casa” non si usava. Chissà perché? Intanto i miei cugini, più o meno grande, lo avevano tutti. Il presepe. Mi ha sempre affascinato, ma ju non l’aveva! Mio padre in questo non prendeva posizione, affermava quello che diceva mia madre: “Facemu trafucu, p’accussì picca? Mittemu a casa sutt’e supra mancu pi ‘n misi, appoi ammogghia i pasturi nta catta do’ giunnali, smunta ‘a rutta, leva a catta stellata, arricogghi a pannedda (a quei tempi non esisteva domopak) scutòla a sabbia, jetta a pagghia, scippa u lippu, asciuga l’acqua do’ stagnu… per farla breve, a me casa non si fici mai! Ni faceva passari comu si rici: “a valìa”.
Forse sarà per questo, ma quando ne vedo uno, non riesco ad andare via senza prima averlo “mangiato” con gli occhi. Mi diverte chi lo fa in maniera maniacale, stando attento alle proporzioni, i pecuri e i pasturi nichi si mettunu in fondo, inerpicati tipo stambecchi ‘nte muntagni chini di cuttuni sciusu, pardon, di neve. Quelli più grandi devono avere il primo piano per via della prospettiva, e dentro le botteghe i vari artigiani con i loro ferri del mestiere, u “trincettu” po’ scapparu, a “quarara” po’ ricuttaru, u “mantici” per il fabbro. A seconda del costo, i personaggi in causa erano più o meno definiti. Mi spiego meglio: i pastori, ad esempio, erano fatti con mezzo stampo, in poche parole si putevunu mettiri sulu di ‘n latu, ma eranu belli lo stesso, come si dice: ” A puvirtà non è virgogna! “. Il senso di serenità che mi dona è indescrivibile, mi applico così tanto che riesco a cogliere il freddo di “Jnnaru”, quel vecchietto imbacuccato misu davanti a “conca” a riscaldarsi. O l’estasi provata do’ “spavintatu da’ stidda”, si chiama così, quel pastore che non sa spiegarsi la provenienza e la luce della stella cometa e ne rimane incantato. Ma la cosa che mi faceva veramente impazzire, oltre la nascita del “Bambinello” naturalmente, era l’arrivo dei tre Re Magi. Quanto mistero! Senza nulla togliere al “Salvatore”, ma quell’impianto scenico così ricco, la presenza nutritissima di comparse, aspettava loro e solo per un giorno. Arrivavunu senza stress, supra i camiddi, quando tutto era già bello e collaudato, il ruscello funzionava, lo steccato dell’ovile stava additta, a picuredda in cima alla montagna finalmente stava femma, senza chiù arruzzuliari a valle (si ci azziccavunu i peri ‘nto lippu del sentiero). Arrivavunu come si suol dire a “tavula cunzata”. Però portavano oro, incenso e mirra, che poi apro una parentesi (u sappumu in età adulta che cos’era la mirra, per tanto tempo ci fu chi diceva addirittura birra). Non c’è traccia però nei testi che narrano la vita di Gesù, dell’uso che ne abbia fatto di questi doni. Siamo sicuri ca’ ci cunsignanu? E in che quantità ni puttanu? E dopu, perché non c’è più traccia di questi Re che hanno voluto partecipare o presepiu? Non per essere un qualunquista populista dalla facile demagogia, ma sti tri m’assumigghiunu sempre di più a delle persone che noi scegliamo quando ci infiliamo nelle cabine elettorali. Arrivunu a cosi fatti, conquistano la scena, travagghiunu sulu un giorno, promettono e poi scumparunu senza sapiri chi fini fanu iddi, l’oru e a mirra!
Facitimi sapiri a cu stati pinsannu…

Gino Astorina