Politica

PERCHE’ GRANATA PROPONE LA GESTIONE DI TRE SITI ARCHEOLOGICI CHE DIPENDONO DALLA SOPRINTENDENZA?

Vivere a Siracusa è certamente bello e per i siracusani non è necessario aspettare la pubblicazione di statistiche che ci confermino quanto già sappiamo. Certo, non tutto è perfetto ma è anche vero che non si può avere tutto dalla vita. Dopo queste massime alla Catalano, rimane solo da aggiungere che tra le varie fortune che abbiamo, c’è anche un’Amministrazione Comunale che tutte le settimane ci fornisce materiale utile per dissertare su ciò che va o ancora meglio, su ciò che non va a Siracusa. Questa settimana la sparata interessante da discutere è quella che il Castello Eurialo, il Tempio di Giove e il Tempio di Apollo dovrebbero essere affidati a qualche associazione per far si che si rendano fruibili al pubblico. Prima di entrare in argomento, vale la pena di sottolineare come da diverso tempo ed in particolare dalla Giunta Garozzo ad oggi, si è particolarmente diffusa tra i politici siracusani, l’ambizione a gestire la cosa pubblica affidandola a privati e se possibile, a privati amici. I Casi da portare ad esempio sono tanti, vedi l’acqua ai privati, il Teatro Comunale gestito da privati, gli Ipogei gestiti da privati, e via discorrendo in particolare su due filoni di attività: I beni monumentali e quelli sportivi. Anche sul tanto agognato Parco Archeologico da gestire in loco, i segnali perché questo avvenga facendo si che dal Palazzo del Comune si gestisca il tutto, sono da qualche tempo chiari e palesi, condendo il tutto con la scusa che i benefici di una gestione locale delle biglietterie andranno a Siracusa e ai Siracusani. Sarà così? Per quello che si è visto sull’argomento, sino ad ora gli affidamenti delle gestioni patrimoniali di beni pubblici, sono stati poco trasparenti e a carico dei cittadini che pagano due volte per goderseli, la prima attraverso la partecipazione alla finanza pubblica con le tasse che si pagano e la seconda con i biglietti o abbonamenti che il privato ti fa pagare per usufruirne. I sostenitori della privatizzazione della gestione dei monumenti siracusani, a sostegno delle loro tesi, ci fanno sapere che senza la privatizzazione il bene, resterebbe chiuso e nessuno potrebbe realmente goderne. E’ una tesi sacrosanta, con il solo limite che il presupposto, per cui i beni monumentali sono chiusi è, che la politica, il gestore pubblico, chi governa, non è stato in grado di tenerli aperti e generalmente, per l’incapacità di chi amministra il bene. A Siracusa abbiamo conosciuto anche soluzioni di gestione di beni pubblici che fanno rabbrividire anche ad agosto e uno per tutti la vicenda del Maniace, del Bar e della Piazza d’Armi ad uso privato, con una vicenda che si trascina tra pastoie burocratiche, Magistratura e altro che non fa cambiare di una virgola la presenza dell’Astronave. Anche la situazione Villa Reimann non aiuta a sciogliere i dubbi su come si gestiscono i beni pubblici a Siracusa e dopo l’arrivo dell’Università Kore che la utilizzerà come sportello per le iscrizioni, rimane la sensazione che il bene sia gestito senza un progetto, alla giornata. Tornando alle tre aree archeologiche che si vorrebbe far gestire ai privati, se non stanno dentro il progetto del Parco della Neapolis e della sua futura gestione locale, è abbastanza noto che il Comune, senza il Parco, non ha nessun titolo per avanzare una proposta come quella fatta essendo attualmente competente la Soprintendenza di Siracusa. Perché farla? Andando per ipotesi, si potrebbe immaginare che qualcuno lanci segnali per far sapere in giro che sull’argomento o si passa da lui o non se ne fa niente. Dando per assodato che Siracusa è una città proiettata in futuro sul turismo come fonte primaria di attività economica, sociale e culturale, la mancanza di una discussione aperta, fortemente pubblica, coinvolgente per i cittadini, inclusiva di tutti i soggetti pubblici e privati che quotidianamente vivono o potrebbero vivere di esso, da  l’idea che lasciando le cose in un limbo di pressapochismo, chiunque può farsi i fattacci suoi.

Enrico Caruso