Politica

RIFLETTENDO SUL BULLISMO: EDUCATORI, PRETI O SUORE, DEBBONO PRIMA ESSERE BRAVE PERSONE

Premessa: il bullismo esiste ed è una piaga che affligge praticamente ogni scuola, di ogni ordine e grado, pubblica o privata. La premessa era doverosa oltre che necessaria, in quanto, a questo punto, per presidi ed insegnanti la scelta si restringe: o si affronta il problema o lo si nega. Il negazionismo altrimenti detta “la scelta dello struzzo” (ma vale anche altro epiteto che fantasia non troppo fervida possa suggerirvi) consiste nel NEGARE SEMPRE, oltre ogni evidenza. La ratio di fondo è: questa è una scuola di eccellenza, io dirigente sono attento e scrupoloso, gli insegnanti sono in linea. Qui è “tutto-a-posto”, saranno mica solo “fisime” della madre, il figlio è disadattato, oppure timido. Gettonata anche la minimizzazione, quel “sono ragazzi”, “devono cavarsela da soli”, magari buttato in faccia al genitore che vede il figlio sempre più spento e senza stimoli, atterrito ogni mattina dall’idea di entrare in quella classe. Che dirigenti ed insegnanti lo ammettano o no, i segnali parlano chiaro: incubi nel sonno, malori immaginari, puntualmente smentiti dalla pediatra, telefonate ai genitori per “andare prendere il figlio prima perche’ sta male”, crisi oppositive e comportamenti problema all’ingresso della scuola, ecc ecc.. una lista esemplificativa ma non esaustiva, per chi c’è passato. Vorrei dire questo: in materia di bullismo esistono procedure ed ampia normativa per tutelare la parte sana prima di metterla nelle condizioni di cambiare scuola, trattenendo e “premiando” così i bulli. La dinamiche del gioco libero, nella ricreazione e durante i momenti di aggregazione vanno seguiti, a scuola, al pari della didattica. Non vale il “ammazzatevi”. Un insegnante è inclusivo senza che tante norme o corsi o normativa glielo impongano. Aiuta, tende una mano, rimprovera e spinge al miglioramento continuo i suoi alunni. Un dirigente non può non sapere cosa accade nelle sue classi. Non può non capire che la “teoria del solco”, in uso in criminologia, impera anche nella dinamica relazionale, per cui ciò che di sbagliato si permette oggi è nulla osta per cose più pesanti in futuro. Che il disagio a cui voltiamo le spalle oggi presenterà un conto amaro per l’intera società. Che il passaparola killer coprirà comunque la scuola di infamia, prima o al posto di azioni legali che, presumibilmente, la famiglia, spossata da mesi se non anni di sofferenza, non avvierà mai, felice solo di cambiare scuola e perfino strada. La buona scuola, quella vera, non quella di Renzi, è quella che affronta i problemi, che li previene persino. Quella che non nega il disagio. Che vede in ogni bambino un Bes, che non aspetta l’intervento del genitore o dell’ ASP per intervenire, cui non servono storie familiari strappalacrime di separazioni o malattie terminali per intervenire a favore di un bambino. Quella per cui ogni bambino è “speciale e più degli altri nessuno”, quella che non li raggruppa in settori come al teatro in base ai redditi familiari, che non seleziona amici ed amici degli amici. Perché fare il direttore, il preside, l’insegnante non è mettere timbri. L’empatia o ce l’hai dentro o nessuna abilitazione potrà mai dartela. Prima di essere educatori o preti o suore, scegliamo di essere in primis delle brave persone. Il bullo esiste perché l’ambiente, familiare e scolastico, gli permette di esistere. Non corregge, spesso perfino premia. Mentre le vittime sono costrette a cambiare scuola, i bulli crescono, rafforzati dall’ambiente, da un habitat favorevole di presidi, insegnanti e rappresentanti conniventi. E dei genitori, naturalmente, spesso incredibilmente tracotanti, tamarri, in una parola: bulli a loro volta.

Carmen Perricone