Politica

SALVATORE SEQUENZIA: CANDIDATI NUOVI? MACCHE’, SONO I VECCHI TRASFORMISTI

Salvatore Sequenzia, sei uomo di cultura, noi ti proponiamo un’intervista politica. Insomma, un punto di vista, colto e contemporaneamente esterno, per Siracusa. Siamo quasi alla presentazione delle liste nel capoluogo per rinnovare il sindaco e il Consiglio. Qual è la tua prima impressione?

La mia prima impressione la sintetizzo in una battuta: cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Mi spiego meglio. A una prima analisi degli schieramenti in campo è evidente un travaso di personaggi da una parte politica all’altra, una specie di “commutazione”, con la conseguente nascita, anche, di nuove liste  e di nuove proposte di candidatura  a sindaco che tutto sono tranne che nuove, in quanto dettate da mere ragioni tattiche e non da una concreta volontà di interpretare un reale cambiamento. È la vecchia legge del trasformismo: cambiare costume e mettere in scena un nuovo personaggio per strappare qualche consenso in più.

La “commutazione” politica è una malapianta che alligna nei terreni resi  sterili dall’immobilismo, dall’indolenza, dall’inerzia, laddove non vi è ricambio nella mentalità, nella classe dirigente  e nella classe politica. Ciò accade per una sorta di paura, da parte del contesto sociale, a recepire il nuovo, se non nella misura in cui esso è vissuto con disagio, sospetto e, nel peggiore dei casi, come elemento da sottomettere, fagocitare o annientare.

La politica siracusana ha bisogno non di nuove maschere, di nuove messe in scena delle commedie di sempre, ma  di attori nuovi in grado di smarcarsi da tradizioni, consorterie e reti ormai sfibrate, autoreferenziali, indebolite dalla crisi epocale, dalle tensioni sociali,  dagli scandali antichi e recenti, dai conflitti endemici espressione di un certo provincialismo vissuto, da sempre,  come alibi e come scudo protettivo.

Veniamo alle forze in campo, sia pure con ruoli diversi. Garozzo, Foti, Italia, Moschella, Randazzo.

Garozzo fa un passo indietro e lancia la candidatura di Italia, che vedo come  una operazione di conservazione del potere, un  tentativo di “segnare il posto”  e, allo stesso tempo, di accaparrarsi il consenso dei ceti moderati, di cui Italia è espressione, che guardano sia a sinistra sia  a destra per tutelare i propri interessi.  La candidatura di Moschella oggi appare quella in grado di mettere d’accordo tutto il PD: da Cafeo, Amoddio, Cirone Di Marco e Marziano a Franco Greco e al segretario provinciale Alessio Lo Giudice. Moschella ha anche un patron di rango, Gino Foti, mente politica  raffinatissima ed abile stratega, che in nome di questa candidatura torna a dialogare con Garozzo sperando di incassare il suo appoggio. Randazzo è un candidato elitario, esprime i buoni propositi di un certo civismo aretuseo molto vivace e ispirato, che vuol distinguersi e fare la differenza in un contesto  sociale sonnacchioso, appesantito e paralizzato da troppi astii, veti incrociati, diffidenze.      

Ezechia Paolo Reale ha compattato il centrodx con l’esclusione di Granata.

Reale rappresenta, in un certo senso, per la destra, la “soluzione finale”; una figura  in grado di poter garantire alla coalizione presentabilità, competenza e limpidezza.  

Pippo Gennuso è stato liberato dal tribunale del Riesame, un’arma in più per Forza Italia?

Non entro nel merito delle vicende giudiziarie. Pippo Gennuso è un personaggio che pesa, intraprendente ed occhiuto,  presente sul territorio, con legami ramificati che vanno lontano sino a spingersi in territori inverificabili. È un self made man, un novello Mastro-don Gesualdo uscito fuori non dalla penna di Verga ma da quella di Serafino Amabile Guastella: proviene dal mondo rurale e artigianale rosolinese, ed è espressione di quell’entroterra aretuseo che ha assunto,  storicamente, certe peculiarità della provincia ragusana di cui sente gli influssi. Per conquistare la posizione in cui oggi si trova, Gennuso si è scontrato con personaggi di prima grandezza come Pippo Gianni. Forza Italia non può permettersi il lusso di perderlo.

Vinciullo, Cutrufo, Bonomo, Princiotta..

Vinciullo ha sbagliato e continua ancora a sbagliare. La creatura politica cui hanno dato vita  è un “conglomerato” eterogeneo, ibrido,  una sorta di golem senza anima  e con molti voti da mettere sul tavolo quando il gioco si farà più serrato, per ottenere nell’imminente qualche poltrona o per aspirare a mete prossime venture.

I grillini con la candidata semisconosciuta.

I grillini non hanno bisogno di candidati individuabili, definiti. È  il “brand”, il marchio,  che li identifica e li spinge. L’elettorato ha bisogno di “brand”  croccanti ma friabili, come la pastafrolla. I “brand” dei partiti storici sono ormai scaduti, “fuori commercio”. Chi va a votare si affida all’uomo qualunque, purché si faccia carico della rabbia, della delusione, della contestazione fine a se stessa, dei rancori e delle rivendicazioni. Il grillismo è come un parafulmine, attrae sciami di consensi, una energia immensa che però raramente riesce a tradurre in energia costruttiva e propositiva nella pratica di governo e di amministrazione. Ma  questo è il loro momento. Finché dura la tempesta per loro c’è speranza!

Reale parla di lavoro e di disoccupazione, di possibili rimedi con interventi diretti del Comune.

Tutte frottole. Conosciamo bene la tragica  situazione in cui versano oggi  gli enti locali, soprattutto nel Mezzogiorno e in Sicilia. Ridotti da una tassazione indiretta a rimpinguare le casse dello stato centrale, a malapena i comuni riescono a gestire l’ordinaria amministrazione e a garantire ai cittadini, con gravi insufficienze, i servizi essenziali. Il lavoro, l’occupazione e le occasioni di sviluppo sono l’esito di politiche integrate che chiamano in causa, innanzitutto, “alleanze” forti e consolidate sul territorio, una seria progettazione che coinvolga tutti gli attori sociali – imprenditoria, professioni, finanza e investitori, scuola, cultura e società civile –  e una programmazione di interventi studiati, capillari  e di ampio respiro.

Bisogna finirla con l’illusione dei posti di lavoro tirati fuori dal cappello a cilindro della pubblica amministrazione. Un atteggiamento del genere tradisce una visione datata, figlia del vecchio consociativismo degli anni settanta e delle disinibite pratiche del malcostume politico degli anni ottanta che hanno portato alla deriva populista degli anni novanta e al deragliamento etico-culturale che vive oggi la società.

Il sindaco di Augusta ha attaccato i giornalisti di WebMarte.

Il giornalismo serio è baluardo di civiltà, garanzia di libertà, di informazione e di democrazia. A nessuna forma di potere può essere consentito impunemente di tappare la bocca alla coscienza critica di una comunità. L’arroganza, i soprusi, la corruzione e le imposture perpetrati dal potere, in ogni tempo e luogo, si combattono con l’informazione, con la comunicazione, con la circolazione delle idee e con l’esercizio di critica. Soffocare il diritto di critica è sintomo di violenza totalitaria ed è un messaggio pesantemente diseducativo che non dovrebbe mai provenire da un rappresentante delle istituzioni.

Il governatore Musumeci vuole fare la battaglia per la defiscalizzazione della benzina in Sicilia, una sconfitta annunciata?

Ci hanno provato in tanti, fallendo. La storia della Sicilia è costellata da forme di sudditanza vera e propria – e da pesanti complicità – di una certa classe politica nei confronti di  caste, camarille e “agenzie” di influenza economico-finanziaria. Ricordiamo la tragica fine di Enrico Mattei; ricordiamo la “defenestrazione” di Santi Nicita dalla presidenza della Regione, che va letta, oggi, alla luce della documentazione storica,  come punizione e ammonimento al politico siracusano che tentava di affrancare  la sua provincia dalle mire di potenti gruppi industriali, e non come esito di uno sciagurato caso di compromissione, come è stato camuffato per decenni; ricordiamo le battaglie condotte su questo versante, fra gli altri,  da Pippo Gianni e da Claudio Fava. Pasolini, nell’incompiuto Petrolio, fu lucidamente e tragicamente presago delle trame sinistre che si infittivano sull’isola per il suo sfruttamento. Quello di Musumeci – mi auguro di no –  sarà un ulteriore conato fallito. Non per sua incapacità e mancanza di volontà, ma per la “mollezza” e la permeabilità del contesto in cui egli si trova.    

Siracusa e provincia. Chi vince e chi perde? Non solo sotto l’aspetto politico ovviamente.

A vincere sarà sempre lo stesso atteggiamento mentale, culturale e antropologico che, a prescindere da schieramenti, coalizioni ed eletti, è votato al fatalismo, al facile arrembaggio, alla paurosa miopia provinciale, deleteria ed esiziale, alla gestione del quotidiano e dell’emergenza.

A perdere, ancora una volta, sarà Siracusa e i siracusani, che avranno perso una buona occasione per cambiare rotta.

E le pietre del teatro greco, aduse a tragedie e a commedie dall’alto dei loro secoli, stanno silenziosamente a guardare…