Politica

VERSA UN PO’ D’OLIO NELLA FONTE CIANE E VEDRAI LE PERSONE A TE PIU’ CARE

Percorrendo il nostro culturale poetico itinerario attraverso la storia, le leggende, gli scenari paesaggisti, i personaggi e i monumenti più suggestivi del territorio di Siracusa, ci siamo soffermati a parlare dell’albero prettamente siracusano, l’oleandro, narrandone la leggenda ad esso collegata. Un’altra pianta ancora più strettamente collegata alla nostra città è indubbiamente il papiro, da dove già gli antichi egizi ricavavano la carta pregiata, oltre tremila anni addietro. Esso costituisce ancora oggi una delle attrazioni non solo culturali ma anche artistiche, artigianali e turistiche: non vi è, infatti, forestiero che, venendo a visitare Siracusa, non se ne parta senza il suo caratteristico souvenir, senza acquistare un quadretto, un foglietto qualunque oppure un’opera d’arte in carta papiro, il tutto ispirato a motivi mitologici classici o a qualche monumento di Siracusa. Opere d’arte di grande valore artistico sono state eseguite su carta papiro da numerosi pittori, soprattutto quando nel 1969 venne organizzata la mostra delle “ Tre P”, Papiro, Paesaggio, Pittura, al foyer del teatro comunale, a cura del papirologo Antonino Angelino che poi è riuscito a realizzare il foglio più grande di papiro delle dimensioni di cm 400X150: il maxipapiro, record di ogni tempo!

Da parecchi anni Siracusa vanta, per merito di un altro insigne papirologo, Corrado Basile, il Museo del Papiro che il visitatore competente non manca di visitare una volta che visita il Museo Paolo Orsi, che gli sta a fianco, dirimpetto al santuario della Madonna delle lacrime.

Il mito di Ciane

In Ovidio e in Foti

Molti, studiando il latino, avranno fatto conoscenza con Ovidio, le sue elegie (Tristia) e le sue Metamorfosi. Oltre al mito di Aretusa noi troviamo quello della ninfa Ciane, al V libro. Egli narra una leggenda diversa da quella di altri che dicono che fu tanto ardita da uccidere il padre dopo che seppe che egli, reso ebbro da Bacco perchè non aveva voluto rendergli onore, l’aveva stuprata e poi da rivolgere lo stesso pugnale contro se stessa e uccidersi, simbolo della femminilità tenace, decisa e coraggiosa delle siracusane e delle donne moderne tutte. Non tutti conoscono, comunque, ciò che a quel suggestivo mito della più schietta solidarietà al femminile ha decantato uno dei più apprezzati poeti latini, ricco di fantasia e di sentimento, oltre che di raffinatezza stilistica, ha aggiunto la credenza popolare locale che chiama la pianta fluviale “ la chioma di Ciane” appunto perchè il papiro cresce, come detto, esclusivamente lungo le rive e nelle acque di questo mitico ruscello che prende il nome dalla coraggiosa ninfa.

Alcuni tramandano essersi sposata con Anapo, il fiume che vi scorre accanto e che unisce le sue acque a quelle dello “sposo”, allor che entrambi si gettano sulle acque del porto grande, là dove il loro sangue si trasforma in uno degli elementi più preziosi per l’alimentazione umana, il sale, messo a riposare nelle vaste saline.

Le saline purtroppo da alcuni anni non sono più funzionanti, ma le loro paludi ancora attraggono una suggestiva fauna migratoria tutto l’anno: in primavera le nere folaghe che appunto ricordano il regno di Plutone, il dio degli inferi che fu così funesto alla ninfa, con numerose anatre tra cui i Fischioni e le Alzavole; e poi l’elegante Cavaliere d’Italia con il suo caratteristico grido che accenna alla vittoria della bella stagione sull’inverno e il ritorno di Cerere sulla terra e tanti altri….

Mi piace dirlo con i versi di Domenico Foti, uno dei poeti più fini della nostra terra (Ascesa – Casa Editrice G.D’Anna Messina Firenze 1953, pag. 53): Domenico Foti:

Alla fonte Ciane

“Ciane, ra gazza pura,

tralucere mi sembri in fondo all’acque

ricinte dalle sponde, ove il papiro

ondeggia vagamente ai dì d’aprile.

Solo, sperduto, vo pensando intorno

all’innocenza che ti fece ardita,

nel vano sforzo d’impedire il ratto

di Proserpina bella. Ingiusti erano gli dei della tua Grecia ( rapitori di donne!) / nelle vendette contro noi mortali. Or nella polvere giacciono sepolti e la virtù soltanto eterna vive come le cose belle, e splende ognor sulla tua fronte, o Ciane!”

La leggenda “ufficiale”, dunque narrata dal poeta di Sulmona, dice che Proserpina e Ciane passeggiavano festosamente,

scherzando come due indomite puledre lungo le rive del lago di Pergusa, quando, all’improvviso, furono scorte dal re degli inferi Plutone. Egli era emerso dal profondo della terra furtivamente, con il suo fuligginoso carro trainato da neri possenti cavalli. Ad un suo imperioso cenno i focosi equini rampanti rimasero immobili come se fossero diventati di bronzo. Egli rimase lungamente ad osservare, da sopra il carro, le due spensierate ninfali fanciulle che saltellavano liete scegliendo fior da fiore in quella ubertosa campagna sicula screziata da mille colori. Di una si invaghì, che gli sembrò più dolce e delicata, docile e cedibile alle sue lusinghe, mentre l’altra, Ciane, gli apparve più energica, risoluta e indomabile. Ed energica, risoluta e indomabile si dimostrò invero la fanciulla siracusana, rappresentante, ante tempora, del temperamento dinamico, fermo e schietto delle Siracusane. Quando, spronati gli infernali rampanti cavalli e mosso il carro, andato incontro, fulmineamente, da tergo, alle fanciulle e afferrata per un braccio quella prescelta, la trasse sul veicolo, Ciane ebbe il tempo di avvedersene e con tutte le sue forze si oppose. Avvenne un’animata colluttazione: Plutone tirava per un braccio Proserpina da una parte, nel tentativo di caricarla definitivamente, ma Ciane tirava dall’altra, non meno vigorosamente, con tutte le sue forze di fanciulla alla…status prado! E sicuramente ce l’avrebbe fatta ad avere la meglio e salvare la compagna, anche perchè il Dio degli Inferi non era certo più un giovanotto nel pieno delle forze, mentre quella era una robusta e muscolosa contadinotta selvatica….

La metamorfosi di Ciane

trasformata in fiume

La ragazza avrebbe, dunque, potuto salvare la giovane e sventurata amica, impedendo al Dio voglio di rapirla e condurla sposa nel regno dei morti, se costui non fosse stato…. un dio! Non potendo vincere lealmente, ricorse al suo po tere soprannaturale… infernale: formula magica e trasformazione in fiume! Che concezione avevano, ai tempi remoti, gli uomini riguardo gli dei! Li immaginavano peggiori dei mortali, vendicativi, vogliosi, stupratori.

Vi ricordate il sommo Giove a che cosa non ricorse per scapricciarsi su Alcmena, mentre il povero Anfitrione era in guerra e rischiava la pelle combattendo valorosamente contro i Meliboi? Per ingannarla ricorse addirittura al travestimento: con la complicità del dio ruffiano per antonomasia, Mercurio, dio dei truffaldini, prese le sembianze del povero Anfitrione. La povera Anfitrione cedette alle sue voglie ignara, con tutto il suo amore, dopo tanto tempo di… digiuno, credendo di abbracciare il suo diletto sposo!

Così il Dio dei Morti potè rapire Proserpina, che porto via come sposa nel regno degli inferi, di cui la fece regina. Non ci interessa ricordare che il mito aggiunge che Cerere, o Demetra, la madre di Proserpina, ottenne la grazia che la propria figlia diletta rimanesse con lo sposo sei mesi, durante i quali la terra assumesse un aspetto desolato proprio per piangere della sua assenza (autunno e inverno ) e ritornasse da lei gli altri sei mesi, in cui la terra per la gioia fiorisse e fruttificasse.  E’ bello riferire ciò che la leggenda comune non dice ma che aggiunge la credenza locale antica riguardo quella circostanza e quel mito: il Dio Nero, nella colluttazione, nel tentativo di allontanare la ragazza che si era attaccata disperatamente al carro per salvare la compagna, strappò i capelli all’ardita Ciane. Per questo quando subì la metamorfosi, Ciane, a ricordo del suo coraggioso gesto di ribellione contro la violenza, ebbe la chioma più bella e rigogliosa, che non può vantare nessun’altra pianta: in cima all’esile pianta del papiro spuntò il più bel ciuffo vegetale! Questa è la chioma di Cerere. Ma i nostri nonni avevano aggiunto un codicillo alla già affascinante e fantastica leggenda: credevano che chi si recava alla sorgente, che è appena a 7 chilometri dalla città, e versava alla suggestiva sorgente del ruscello un boccetta d’olio puro, guardando il fondo attraverso la macchia che si formava, pensando alla persona più cara, la propria madre, il proprio uomo, la propria donna, poteva vederla apparire nello specchio d’acqua limpida e trasparente come cristallo liquido. La forza della suggestione poteva anche allora funzionare: che la vedessero comparire veramente?

Io sarei tentato di provare: voi no?

Una visita alla sorgente è, del resto, una delle escursioni più interessanti che il

turista possa programmare, soprattutto perchè essendo oramai una riserva privilegiata, si ha l’opportunità di ammirare uno degli spettacoli floristici e faunistici più rari. Ci si può andare per un tortuoso viottolo che fiancheggia il ruscello, lasciando la macchina nell’apposito parcheggio fra Faro Calderini e faro Carrozzieri, da dove si gode la stupenda visione di Ortigia che vi giace distesa di fronte. L’escursione più meravigliosa tuttavia è quella fatta a bordo di una barca che lentamente percorra controcorrente tutto il tratto del fiume tra il folto della vegetazione e il canto dei rari uccelli migratori: è qualcosa di veramente eccezionale, che tanti turisti affermano essere anche unico perchè è lì che la visione paesaggistica si fonde nel modo più perfetto con la leggenda e suscita le sensazioni più…. sensazionali.

Arturo Messina