Politica

SIRACUSA VINCE CON CARTAGINE E IL TEMPIO DI ATHENA E’ IL SUO BOTTINO

Il Ciane e il suo paesaggio

Il mito, la storia e la natura hanno reso questo luogo famoso sin dall’antichità attraverso le opere di artisti e le entusiastiche descrizioni di viaggiatori stranieri, poeti ed annalisti per la presenza del Papiro che da secoli vegeta rigogliosamente lungo le sponde del Ciane conferendo al paesaggio una magica atmosfera.

Tutto ciò deriva da secoli di trasformazioni, infatti, nell’era quaternaria, quando la Sicilia completò la sua formazione geologica, in questa zona posta a Sud del territorio di Siracusa, si costituì un bacino sulle cui rive si trovavano le attuali contrade: Cretazzo, Cardona, Moldava e Rinaura.

Nel bacino si versavano le acque di drenaggio dei terreni circostanti e il piccolo fiume Ciane era alimentato dalle sorgenti Pisma e Pismotta. La zona era dunque un’estesa palude, chiamata Syraka, resa insalubre dalla malaria e dai miasmi emanati dalla vegetazione in putrefazione.

ciane e il ratto di Proserpina

Il mito di Ciane e Anapo è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi; in esso si intrecciano elementi naturali ed esasperate passioni tra fantastiche divinità.

Eliano ricorda le forme e le immagini di Ciane e Anapo, D’Annunzio li canta nelle Laudi, molti altri hanno scritto su questa storia d’amore molto tormentata.

Secondo la leggenda classica, Ciane venne trasformata in fonte per aver voluto impedire il rapimento di Proserpina, la figlia di Demetra che, vagando felice tra i verdi prati della Sicilia, attratta da un fiore straordinario, un profumato narciso fiorito sulle coste di Siracusa, lo coglie; improvvisamente la terra si apre e Plutone, dio degli Inferi, emerso con il suo carro trainato da cavalli neri, la rapisce. Ciane, la bella ninfa sposa di Anapo, tenta disperatamente di impedire il rapimento ma Plutone affonda il suo pesante scettro nella terra e, attraverso la voragine prodotta, sprofonda nel Tartaro portando con se Proserpina. Ciane piange disperata per non essere riuscita ad impedire il rapimento e le sue lacrime di dolore sono tanto copiose che le sue membra, come narra Ovidio, si sciolgono:

“Le ossa diventano flebili, le sue unghie perdono la loro durezza, le parti più delicate del suo corpo, i suoi azzurri capelli, le sue gambe, i suoi piedi si liquefanno tanto che per queste membra delicate la metamorfosi in acqua gelida è rapida; indi il suo dorso, i suoi fianchi, il suo seno scorrono a lungo!”

Il mito di Ciane

Da quel giorno l’acqua del Ciane scorre in quel luogo mitico che ha conservato l’atmosfera magica perché, come dice D’annunzio “è Ciane bella azzurra come l’aria” che scorre nella lenta successione del tempo a ricordare un dolore mai sopito. Altra tradizione mitica è quella di Plutarco il quale ci narra che Cianippo, padre di Ciane, soleva sacrificare a tutti gli dei tranne che a Bacco e che il dio indispettito si vendicò condannandolo all’eterno desiderio del nettare degli dei. Cianippo dopo averne bevuto molto, ormai ubriaco, preda ad ebbrezza incosciente, complici le tenebre della notte, violentò la figlia Ciane.  Questa non potendo vedere il volto del suo aggressore riuscì a strappare da un suo dito un anello per poterlo poi riconoscere. Dopo qualche anno la città di Siracusa fu colpita da una tremenda epidemia che decimò gran parte degli abitanti, i superstiti si rivolsero all’Oracolo di Apollo Pitio il quale rivelò che gli dei si sarebbero placati a seguito del sacrificio di un empio. Ciane compreso il significato dell’Oracolo e ciò che gli dei volevano, uccise il padre Cianippo, poi, sopraffatta dalla duplice onta, si uccise sul cadavere del padre. Da allora la fonte prese il nome di Ciane per perpetrare nei secoli il ricordo del sacrificio della giovane.

Ortigia

Adagiata a Sud del territorio urbano sulla terraferma, l’isola di Ortigia, centro storico di Siracusa, delimita con la sua posizione i due porti della città: il Porto Grande, la vasta rada originata da un’antica pianura alluvionale, e il Porto Piccolo, chiamato da Greci Lakkios e dai Romani Marmoreo per gli edifici di marmo che vi si specchiavano. Fino al 1500 Ortigia era una penisola, esisteva infatti un istmo legato alla palude originata dalla foce del fiume Sirako che sfociava nei pressi dell’attuale imbarcadero S. Lucia e che per costruire le fortificazioni spagnole, volute da Carlo V, venne tagliato.

L’impianto urbanistico di Ortigia

ll nome Ortigia deriva dal termine greco che significa quaglia, con riferimento alla forma dell’isola che, vista dall’alto, ha l’aspetto di un uccello adagiato sul mare. E’ molto opportuno ricordare che l’importanza archeologica di Ortigia deriva dall’essere uno dei pochi centri storici del Mediterraneo che ha mantenuto nei secoli l’impianto urbanistico greco: l’impianto ippodameo (dall’architetto Ippodamo di Mileto che lo inventò), ortogonale: una via principale (plateia) intersecata da vie secondarie (stenopoi) con andamento a pettine (strigas) che si riscontrano nei vicoli della Giudecca e in via Cavour e che determinano l’impianto a scacchiera degli isolati.

L’impianto viario dall’alto

In Ortigia la plateia era la via Sacra, attuale via Dione, che sarà il cardo in epoca romana e che che congiungeva i due templi più importanti della città quello di Apollo e di Athena,(che aveva orientamento opposto a quello di oggi) e proseguiva fino all’estrema punta dell’isola.

Lo stenopos principale, che diverrà il decumano romano comprendeva le attuali via Amalfitania e via Maestranza e intersecava la via sacra, l’incrocio delle due vie ha determinato nei secoli la divisione dei quattro quartieri medievali di Ortigia: la Graziella (quartiere dei pescatori), la Giudecca (quartiere degli Ebrei), i Bottai (quartiere dei commercianti), Duomo- Castello (quartiere nobiliare).

La porta urbica

A seguito di alcuni lavori di rifacimento della sede stradale sono stati ritrovati interessantissimi reperti risalenti all’età dionigiana, V sec. a.C. Sono tracce delle antiche fortificazioni di Ortigia nelle quali è possibile riconoscere due strutture quadrangolari che delimitano una porta a doppio fornice, sicuramente una delle porte d’ingresso alla città.

Il tempio di Apollo

E’ il più antico tempio dorico dell’Occidente greco (VI sec. a.C.) scoperto nel 1860 perché prima inglobato nell’area della caserma spagnola (quartiere vecchio) ivi esistente e definitivamente portato alla luce tra il 1938 e il 1942. E’ un periptero esastilo di m 58 x 24,50, con 6 colonne nei lati brevi e 17 in quelli lunghi, le proporzioni e la fattura delle colonne confermano la sua arcaicità. Come la maggior parte dei templi greci, fu successivamente trasformato in Chiesa bizantina di cui rimane la porta ad ogiva ricavata nel muro della cella e in Moschea araba, come testimonia l’iscrizione esistente sul muro della cella, ed in fine divenne chiesa del SS. Salvatore che poi demolita fu inglobata nella caserma spagnola.

Il tempio di Athena

Il tempio dedicato ad Athena fu costruito agli inizi del V° sec a.C. Periptero esastilo con 6 colonne di ordine dorico sui lati brevi 14 su quelli lunghi, alte m 8,60 e larghe 2, era posto su uno stilobate con tre gradini perfettamente visibile all’esterno. La sua magnificenza e ricchezza stupì Cicerone che ne fece una descrizione entusiastica delle sue porte d’avorio e oro e dei dipinti alle pareti raffiguranti i re e i tiranni di Sicilia e le vittorie di Agatocle sui Cartaginesi. Il grande scudo dorato della dea, posto sulla sommità del tempio, poteva scorgersi da molto lontano e faceva da faro ai naviganti.

La fonte Aretusa

La fonte Aretusa prende nome dalla ninfa che Artemide trasformò in sorgente per sfuggire all’inseguimento dell’innamorato Alfeo

La POLITICA DI GELONE

Le città Siciliote del V secolo furono governate da tiranni che avevano però caratteristiche diverse da quelle delle città greche. Il tiranno era pertanto colui che si distingueva tra la classe politica e l’aristocrazia ed era in grado di ricoprire un ruolo socio politico nella società e tendeva al raggiungimento di un nuovo equilibrio dando un forte impulso all’economia e all’incremento territoriale. Questa politica permise ai tiranni di Sicilia di superare il particolarismo delle città greche, di stringere alleanze e realizzare una nuova forma di coesione territoriale. In Sicilia queste alleanze ebbero carattere matrimoniale; Gelone della famiglia dei Dinomenidi, stabilita la capitale a Siracusa e ottenuti i poteri dittatoriali dai “Gamoroi” come “Stratega autokrator”, sposò Demarete figlia di Terone tiranno di Agrigento e riunì sotto il suo comando: Siracusa, Gela, Agrigento, Imera e Nasso. Nel 484 a. C, Terone occupò Imera costringendo alla fuga il tiranno Terillo che chiese aiuto ai Cartaginesi. Lo scontro fu inevitabile tra i tiranni greci difensori della propria civiltà e gli altri considerati traditori e alleati dei barbari. I Cartaginesi entrarono ad Imera, ma per uno stratagemma di Gelone furono sconfitti, tanto che lo stesso Amilcare preferì uccidersi gettandosi nel fuoco piuttosto che tornare in patria sconfitto. La Grecia d’Occidente otteneva così un’importante vittoria liberando la Sicilia dal pericolo dei barbari. Secondo Erodoto la battaglia di Imera si combatté lo stesso giorno della battaglia di Salamina, secondo Diodoro invece lo stesso giorno della battaglia delle Termopili.

DEMARETE

Gelone impose ai Cartaginesi una pesante indennità di guerra ma grazie all’intervento della moglie, la regina Demarete alla quale avevano rivolto le loro suppliche gli ambasciatori cartaginesi, impose solo il pagamento di 2000 Talenti come indennizzo delle spese sostenute per la guerra e la costruzione di due templi. Fu così costruito a Siracusa il tempio di Athena a spese dei Cartaginesi. Si racconta che la regina Demarete abbia preteso ed ottenuto che nel trattato di pace si includesse una clausola che decretasse l’eliminazione del sacrificio del primogenito giunto al primo anno di età come era in uso presso i Cartaginesi. Questi per ringraziare la regina Demarete di avere ottenuto più miti condizioni di pace, le regalarono una corona d’oro del valore di 100 Talenti che, come ci tramanda Erotodo, Demarete fece tramutare in argento e coniare una moneta del valore di 10 Dracme, il DEMARATEION. Questa splendida moneta, quasi una medaglia commemorativa della vittoria di Imera ha inciso nel dritto un bellissimo profilo di donna che rappresenta Aretusa, attorno al quale si rincorrono quattro delfini. Nel retro una quadriga a quattro cavalli su cui scende la Nike (la vittoria alata), al disotto degli zoccoli un leone simbolo dei Cartaginesi e della loro sconfitta.