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I GIOVANI EROI DEL “CONTE ROSSO” SONO RICORDATI CON UNA LAPIDE NEL MONUMENTO DEI CADUTI IN AFRICA

Quando le bianche e spumeggianti onde fragorosamente e violentemente si infrangono sulle coste, sembrano sussurrare e dire e raccontare misteri oscuri e segreti che nessuno  può rivelare. Sono custodi di storie e intrighi, storie di uomini e di eroi, di marinai e navigatori. Verità drammatiche, tragiche, dove la ragione non sa trovare alcuna spiegazione  e dove l’uomo porta con se’ gli arcani dell’ignoto. Se la costa potesse raccontare…quante storie potrebbe narrare. È proprio lì, nelle glauche acque che lambiscono  Capo Murro di Porco, nello splendido specchio d’acqua del Plemmirio, in piena seconda guerra mondiale,  un’incursione navale vide la morte di tanti soldati italiani. Una storia caduta nell’oblio, ma tragicamente vera e che eminentemente i più giovani devono conoscere, per non dimenticare. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania nazista contro Francia e Inghilterra. Era convinta che la guerra potesse finire in un lampo, anche perché dipendeva strategicamente dai tedeschi, un popolo militarmente forte e ben organizzato e Benito Mussolini, capo del governo italiano, voleva affiancare la Germania nella vittoria per ottenere vantaggi territoriali. Ahimè, non fu proprio così! Ogni guerra porta morte e distruzione, rovine e dolori, non ci sono vinti né vincitori e la guerra in Italia durò per ben cinque lunghissimi anni.

Era il 24 maggio 1941, nello splendido specchio d’acqua del Plemmirio, esattamente alle ore 20.53, il transatlantico italiano “Conte Rosso” venne colpito e affondato in soli cinque minuti con tutti gli uomini a bordo. Il “Conte Rosso” era salpato da Napoli per andare nel Nord Africa, in Libia, per trasportare truppe e soldati, ma fu intercettato da “Upholder”, un sommergibile inglese che con soli due siluri lo colpi,  inabissandolo per sempre. Morirono un numero esorbitante di uomini, ben 1267, tra marinai e soldati. I naufraghi  che riuscirono a sopravvivere rimasero tutta la notte nel mare freddo e nero, all’addiaccio, in attesa di essere salvati. Quando arrivarono i soccorsi, furono trasportati ad Augusta e a Siracusa. In queste cittadine i civili, pur nelle ristrettezze che  una guerra comporta, fecero comunanza verso i militari sopravvissuti, chi con un po’ d’acqua, chi con una minestrina calda, chi con parole di conforto. Si assistette a una vera e propria gara di solidarietà di povera gente tra derelitti e disperati. Oggi il “Conte Rosso” giace, a meno che le forti correnti che caratterizzano le profondità di quella zona di mare non l’abbiano spostato, nel fondale. Ancora lì, con la sua storia tragica ed orrenda. 

E l’Upholder? Il comandante fu insignito per l’attacco e per l’affondamento del “Conte Rosso” con la “Victoria Cross”, un importante riconoscimento inglese. Successivamente però, il 14 aprile 1942 l’Upholder  mentre cercava di attaccare un altro convoglio italiano nella zona di Tripoli, fu affondato dalla torpediniera italiana “Pegaso”. Per commemorare la caduta di tutti quei giovani eroi del “Conte Rosso”, la città di Siracusa ha posto una lapide presso il monumento ai “Caduti d’Africa” nei pressi del Largo dei Cappuccini, affinché  il ricordo rimanga  vivo di ciò che una guerra può provocare. 

La guerra annichilisce chi la fa e chi la subisce, abbrutisce i cuori, brucia ogni seme e ogni speme, spegne ogni attesa, ammutolisce, impietrisce, demolisce, raggela, paralizza, folgora, umilia. La guerra è una follia a cui non ci si può mai rassegnare.

Graziella Fortuna