Politica

IO E TOI BIANCA: QUANTE NE ABBIAMO FATTE INSIEME..

Toi Bianca, il mio giornalista preferito. 60 anni e non

sentirli. O li senti?

Li sento, eccome se li sento, ma non sempre negativamente. A volte mi sembrano un privilegio. E’ come se l’esperienza mi consentisse di cogliere i fatti e cercare di interpretarli in

maniera più intensa, più completa, più ricca di quanto

possano farlo persone che hanno 20 0 30 anni meno di

me. Inoltre non avendo più niente da dimostrare e molto

poco da perdere godo di una libertà pressoché assoluta

nelle cose che scrivo. Libertà interiore intendo, perché ho sempre pensato che le censure le abbiamo innanzi tutto noi dentro la testa. E sono le peggiori. Ps. Grazie per il “giornalista preferito”.

Parliamo di cose che sappiamo, abbiamo vissuto, ci hanno entusiasmato e fatto incazzare. Io ti racconto un ricordo e tu mi dici il tuo. Un gioco da vecchi vissuti. Partiamo del nostro comune amico Gino Foti. So che ha qualche ammaccatura, ma faccio fatica a pensarlo super partes

L’ultima volta che non l’ho visto è stato al funerale di mio padre. Io stavo inevitabilmente in prima fila ed ero pure abbastanza messo male dato che in quel periodo facevo la radioterapia per il tumore alle corde vocali. Mi dissero che era stato in chiesa. Lo chiamai il giorno dopo per ringraziarlo del pensiero per mio padre. Mi disse che non mi aveva salutato apposta perché avevo scritto qualcosa che non andava. Insomma più o meno il senso era questo. Lo considerai un complimento professionale e pensai che quell’uomo non cambierà mai: sempre immedesimato nella parte del cattivo, sempre convinto che Siracusa debba girare intorno a lui. Cosa che peraltro forse è ancora vera.

Con Ettore Di Giovanni eravamo alla cascate del Niagara e ai doganieri canadesi ribadì che lui era capogruppo del Pci. Restò da solo in dogana per quattro ore, fino a

quando tornammo dalle cascate.

Un dolore al cuore la morte di Ettore. La più inattesa. Era la

mia fonte privilegiata quando facevo il cronista, aveva il

rigore politico ma anche il gusto sorridente del gossip. Non ci trovammo d’accordo in tanti anni solo su una cosa: il parco dell’Epipoli. Lui oltranzista della gestione pubblica. Io convinto che un accordo con Frontino fosse opportuno per

consentire la fruizione di quel parco che ancora oggi è di fatto un giardino privato.

Il mio flash con l’onorevole Nicita, sono quattro arancine che mangiò, una dietro l’altra, davanti a me al bar Cappuccio di via Arsenale. Senza battere ciglio.

Io ricordo quando arrivava in redazione con i suoi

ponderosi interventi scritti a mano. Intelligenti, puntuali,

interessantissimi. Ma di una lunghezza improponibile per

un giornale. Si sedeva pazientemente e assieme tagliavamo

il tagliabile. Lavoro lungo e certosino. Per me che avevo

scritto il primo pezzo di “bianca” per il suo arrivo trionfale a

Palazzo Vermexio da Presidente della Regione e il primo

pezzo in prima pagina sulla Gazzetta per la sua condanna

per il processo Isab, era come chiudere un cerchio umano e

professionale con un uomo che era molto migliore di come

l’avevo capito quando ero molto giovane e molto stupido.

All’inaugurazione del museo Paolo Orsi, ebbi la fortuna

di intervistare Leonardo Sciascia. Se ne stava appartato,

con aria truce. Quando mi avvicinai timidamente, mi

puntò la sigaretta accesa addosso e mi disse: “Se lei mi

fa una domanda sulla mafia mi incazzo”

Un giorno suonò il telefono a casa mia. Rispose mia

moglie, che è inglese, allora aveva meno di trent’anni ma

all’Università ad Edimburgo aveva letto “Il giorno della

civetta”. Una voce roca disse: “Sono Leonardo Sciascia”. E

lei di rimando: “Smettila di scherzare dimmi chi sei che ho

tanto da fare”. Insomma ci volle un po’ per convincerla

che era il vero Sciascia e che chiamava a casa nostra

perché una nostra amica scozzese che stava facendo una

tesi su lui e Bufalino gli aveva mandato il nostro numero

di telefono come contatto in Sicilia. La sua polemica sui professionisti dell’antimafia (che oggi potrebbe essere riproposta per i professionisti della moralità politica e dell’ambientalismo) è stata una vetta dell’illuminismo siciliano.

Per l’arrivo di Bettino Craxi al supercinema Verga, La

Sicilia doveva mandare l’inviato da Catania, invece, per un disguido, all’ultimo minuto ci andai io. Con la faccia tosta del cronista rampante, mi spacciai per socialista e chiesi una dichiarazione a Craxi chiamandolo compagno. Mi rispose “scrivi cosa vuoi, ma non farmi fare figuracce”. Un grande.

Da giovane pensavo tutto il male possibile di Craxi, che

vedevo come il corruttore dei miei ideali socialisti. Poi ho

rivisto il mio giudizio e oggi penso che lui e quella classe dirigente del PSI (De Michelis, Martelli, Signorile, Manca e via dicendo) fosse di una eccezionale qualità politica. E di politici, anche in ruoli importantissimi, nazionali e internazionali ne ho conosciuti in questi anni…

Insieme al mio amico Alessandro Zappalà, portammo il grande Maurice Bejart al Comune, da un amministratore locale. Quando gli annunciai che in sala di aspetto c’era Bejart, il tizio fece la battuta. “Ma cu iè? Na caramella come a Dupour?”

Diciamo che cultura e politica nella Siracusa di fine ‘900 non erano termini che si frequentavano molto. Oggi forse ancora di meno. Cioè io credo che oggi esista, anche grazie ad un sistema mediatico eccezionalmente più diffuso e

capillare di 20 anni fa, una conoscenza di fenomeni e personaggi della cultura molto maggiore del passato. In politica però poi a tutti i livelli troppo spesso troviamo personaggi che lottano e perdono la battaglia con il congiuntivo. Di Maio docet.

Per anni Concetto Lo Bello prima di andare in assicurazione passava al giornale. Affacciava la testa e col

sorriso stampato diceva ogni giorno: “Malanti (che poi ero io) comu siti?”

Era l’eccezione Lo Bello. Un ufo nella politica siracusana. Forse perché in realtà non era un politico ma un primattore, un mattatore della scena pubblica. Ha lasciato a questa città strutture e vocazione sportiva che resteranno per sempre. Viene ricordato troppo poco per essere un grandissimo siracusano,

Salvo Barberi, sindaco e amico carissimo. Il mio flash è lui, assessore all’urbanistica, che avendo ricevuto minacce, andava in giro con due cani che erano più alti di lui

Il mio flash è di una mattina d’estate quando, non so per

quale motivo, arrivai presto al Comune e c’era lui, allora

sindaco, già operativo sul ponte di comando. Faceva un

gran caldo e mi chiese: “Toi te la prendi una cosa dal bar?”

“Grazie Salvo – risposi io – una cosa fredda però”. Quando arrivò il ragazzo del bar mi passò un bicchiere colmo di

caffè freddo. Lo svuotai in un sol sorso. Ma non era caffè.

Era amaro Averna. Passai una delle mattine più alticce e

svogliate della mia vita.

Ci sarebbe da andare avanti per un bel pezzo, facciamo

l’ultimo ricordo. Uno dei miei miti, il professore Lino

Romano. “Ho fatto mille battaglie – diceva – ma ne avessi vinta mai una”. Ma continuava a farle. Un grande maestro.

A proposito di maestri io ricordo Umberto Bassi, genovese,

mio primo direttore al Diario. Fu lui che un giorno, doveva

essere luglio o agosto del ’78, pubblicò per la prima volta

un mio pezzo in prima pagina. Era la storia del mio pellegrinaggio al Comune fra impiegati accaldati e meandri della burocrazia alla ricerca di una copia del Prg. Lo lesse Enzo Argante, che guidava la cronaca di Siracusa, ricordo lo

stanzone della redazione semideserta. Lo portò al direttore che stava nella scrivania in fondo. Io guardavo di nascosto temendo un cazziatone. Alla fine scrisse qualcosa di lato sul foglio del mio pezzo e lo restituì a Enzo che venne verso di

me e mi fece vedere cosa aveva scritto il direttore: “Per la prima”. Provai felicità purissima.

Ma prima di finire sul filo dei ricordi, anche se so che sto

andando troppo lungo vorrei ricordare Nino Consiglio, il

politico con cui forse ho avuto la maggiore affinità

intellettuale, un rapporto di amicizia e stima, credo

reciproca, vero, profondo. Penso ci accomunassero

soprattutto i nostri difetti cui eravamo entrambi

affezionati: l’arroganza intellettuale, l’intolleranza verso i

cretini, un carattere non accondiscendente. Ma forse

anche qualche lato positivo: la generosità nel considerare

le miserie umane. E poi condividevamo una grande

passione: Bruce Springsteen. Comunque sì i 60 anni si sentono, e soprattutto, leggendo questo pezzo, li avranno sentiti gli altri.

Ecco.