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ELISA SANTANGELO RACCONTA LA SUA STORIA: IL TUMORE PUOI VIVERLO ANCHE COME UN DONO

Non te la puoi prendere con nessuno, perché la vita è così. È fatta di cose belle e di cose brutte, alcune inspiegabili. E non ci puoi far niente, devi fartene una ragione e andare avanti.

“Non tutti i mali vengono per nuocere”, dicevano i nonni.

Il tumore, com’è successo a me, in realtà, puoi anche viverlo come un dono. Diciamo una seconda possibilità, che la Vita mi ha dato per crescere e per amarla sempre di più, una sfida e un’occasione per conoscere me stessa. Certo, esistono mille altri modi per farlo, ma siamo padroni del nostro destino solo in parte, ci sono cose che non possiamo controllare, quindi prendo ciò che arriva e cerco di accoglierlo al meglio. Non dimenticherò mai il tuffo al cuore che ho provato appena ho letto “Linfonodo al Mediastino cioè Linfoma non Hodgkin”. In quell’istante qualcosa è irrimediabilmente cambiato in me, non saprei neanche come spiegarlo. Mi sentivo lucida e razionale, durante quella lunga ora nello studio dell’ematologa, ma adesso mi rendo conto che era così, solo perché una parte di me si era distaccata da tutto, come se guardasse la scena dall’esterno, altrimenti avrebbe fatto troppo male assorbire la botta tutta d’un fiato. Ricordo ancora vagamente il susseguirsi di quegli attimi così veloci e concitati, ma allo stesso tempo quasi ovattati e anestetizzati. L’ematologa disegna dei linfociti su un foglio per illustrarmi bene che cosa mi sta succedendo. Parla di 80% di remissioni, che spesso diventano poi guarigioni. Mi dice che sono giovane e forte, che la battaglia comincia dalla testa. Poi commenta che i miei esami del sangue sono perfetti. Ricordo solo che ho risposto di getto “Che culo!” E poi quel senso di assurdità e straniamento nel sentire le parole “Cominciamo domani, non c’è tempo da perdere”. A dire il vero ho rimosso la scena, mi è rimasto solo un vago senso di sbigottimento, perché la realtà è che non sei mai pronta per iniziare la chemio il giorno dopo. Oggi sento che c’è qualcosa di più, rispetto a questo mucchio d’immagini strappate dal giorno più strano e traumatico della mia vita.  Un qualcosa che riesco pienamente a cogliere soltanto adesso, col senno del poi . Che cos’è?  È un’intensa amarezza, tutto qui. Tanta amarezza. Oggi però assaporo in modo più concreto cosa significhi davvero questo amaro: è l’amaro di chi a 50 anni si guarda indietro, vede sé stessa su quella sedia di ospedale, con i capelli lunghi neri e il braccialetto humanitas, e si accorge con un po’ di rammarico, che quella donna non c’è più. Come se, con quel giorno, fosse calato un leggero velo di ombra, che ha spazzato via per sempre una parte di me, un pezzo di vita, portandosi via anche qualche grammo di spensieratezza. Vorrei tanto poter tornare indietro e abbracciare quella donna, che ancora non aveva idea di ciò che la vita aveva in serbo per lei, nei mesi seguenti. Vorrei poterle dire “Guarda che sei sempre tu, sono sempre io, andrà tutto bene!”. Strano questo desiderio: adesso mi sento più forte e più sicura di me, non ho mai smesso di progettare i miei sogni, con una consapevolezza e una gratitudine nei confronti della vita, che prima non conoscevo. Insomma, non vorrei davvero tornare a prima, eppure sento lo stesso questa sorta di attaccamento a quegli ultimi istanti di vita prima dell’inizio della lotta, come se una parte di me volesse difendersi da tutto il peso dell’esperienza, delle cicatrici, dei pezzi da rimettere insieme una volta finito tutto, cosa che è sì bella ma anche faticosa e a volte dolorosa. È proprio questo a causarmi amarezza: il pensiero che in quel preciso istante ogni certezza ha perso forma, facendo prendere bruscamente alla mia vita un’altra piega e rimettendo in discussione, anche se solo inizialmente, i progetti, le priorità, ogni aspetto della mia quotidianità, a partire da lì per 7 lunghi mesi; il pensiero che in un certo senso non si torna più indietro, perché un piccolo angolo della tua mente e del tuo cuore serberà per sempre la cicatrice di quel mostro, come a ricordarti che tutto può succedere e che tu sei piccola così. Eppure il ricordo oltre all’amaro è anche dolce. Può sembrare assurdo che si possa conservare un ricordo dolce del giorno in cui ti è stato diagnosticato un linfoma, ma ebbene sì, nel mio cuore è rimasta intrappolata anche questa sensazione. Quel giorno mi ha dato una lezione preziosa, la cui potenza e vitalità non sono neanche lontanamente descrivibili a parole. Mi ha insegnato che puoi ridere, mentre ti viene diagnosticato un cancro, insieme alla tua famiglia e alla dottoressa. Non perché non hai paura o non sei disperata, ma semplicemente perché capisci che la vita deve andare avanti come prima e più di prima, e che tu, alla malattia, puoi ridere in faccia lo stesso, perché la risata, un linfoma non te la può togliere, come non te la può togliere neppure la chemio e la radioterapia. Perché, anche se la tua vita è appena stata stravolta, ti viene fame lo stesso e scopri che, guarda caso, mangiare e bere ti piace ancora, anzi dopo una giornata chiusa in ospedale, tutto prende un gusto ancora più buono e, poi, le battaglie non si cominciano mai a stomaco vuoto. Quel giorno mi ha insegnato che puoi scherzare, camminare e parlare alle tue amiche del cuore come sempre, anche se il giorno dopo comincerai la chemio, perché il mondo, nonostante tutto, non crolla e ciò che era bello e importante prima è bello e importante pure adesso, anzi lo è di più, perché sai che devi goderti ogni cosa, con la consapevolezza di chi inizia a comprendere che nulla ormai è scontato, ma anche con la leggerezza di chi ha semplicemente voglia di continuare a parlare,  ascoltare, camminare, scherzare,  sognare e sperare. Quel giorno mi ha insegnato che puoi sentirti energica e indistruttibile, anche se sei fragile e la tua vita minaccia di cambiare per sempre, perché in quel momento si sprigiona da dentro di te una forza che non pensavi di avere, quella stessa forza che ogni volta che starai male ti porterà a ripetere “Lo faccio solo per vivere, tutto qui, e per mia figlia”. Quel giorno mi ha insegnato che non c’è niente che non possa essere affrontato con il sorriso, con l’affetto, con la perseveranza dei propri piccoli riti e delle proprie passioni, anche in mezzo alla tempesta, perché in realtà lo sai benissimo che niente sarà più come prima, eppure te ne freghi, perché non gliela darai vinta mai e perché solo adesso sai che puoi essere felice lo stesso, che non ti manca niente in fondo. Anche se alla fine quel linfonodo era niente meno che un linfoma, anche se il cocktail di veleno, che ti inietteranno, comincia domani mattina e tu non hai neppure idea dei sorci verdi che ti farà vedere. Quel giorno mi ha insegnato lo stupore nella normalità delle piccole cose, la saldezza nella burrasca, la voglia di andare avanti nella difficoltà, la grinta di fare come se niente fosse. Quel giorno mi ha insegnato la dolcezza che si nasconde in ogni angolo della vita, da una stanza di un reparto di Ematologia, a uno scorcio dell’autostrada al tramonto, dall’emozione di una canzone, a un pianto liberatorio sotto la doccia, dall’affetto delle persone care, alla voglia di poter stare bene e ricominciare di nuovo. Dopo che hai avuto il cancro, dopo che hai guardato dritto negli occhi un medico, mentre ti dice che non sa se sopravvivrai, dopo che hai trovato il coraggio di aprire da sola, la busta dove c’è il tuo referto TAC e  PET e dopo che ti sei guardata allo specchio, senza riconoscerti per mesi e mesi, puoi scegliere due cose:

1-tornare alla vita che ti è stata, per la seconda volta, donata, vivendola al massimo e facendo finta che sia stato tutto solo un brutto sogno; 2-decidere di voler dare un senso, al dolore e la paura. Dovesse anche costare di riviverlo questo dolore, questa paura, ogni volta che racconto la mia esperienza. Mi sento ed ho voglia di farlo. Perché quello che adesso costa a me, non è nulla in confronto alla speranza, al conforto, alla testimonianza che mi auguro di dare a chi, oggi, vive tutto questo. GRAZIE…!!!!!!!

Elisa Santangelo