INTERVISTA ESCLUSIVA CON SALVATORE SEQUENZIA SULLA SIRACUSA DI OGGI: ANNIENTATA LA MORALITA’ IMPERVERSANO LE TURPITUDINI
Salvo Sequenzia, perché esprimiamo i grillini? Perché scrivono e s’arrabbiano quelli del Pd che ci hanno portato al punto in cui siamo? Sul serio dobbiamo essere rappresentati da Di Maio e Salvini?
In effetti, i grillini rappresentano soltanto il sintomo di una malattia più vasta che sta colpendo l’Italia e il mondo in un momento di particolare di trasformazione che ha investito la società in ogni campo – dalla politica all’economia, dal mondo della scuola a quello del lavoro, dalla chiesa ai media. In particolare, per limitare la mia riflessione al solo ambito della politica, sono venuti meno i “costituenti” sui quali poggiavano, dal tardo ottocento, le piattaforme della rappresentanza politica: forme e regole del gioco sono improvvisamente implose, partiti e movimenti tradizionali si sono dissolti o hanno cambiato pelle; e si sono estinti, o sono usciti di scena, anche gli attori e gli interpreti di quel modo di fare politica. Insomma, è venuta meno una classe dirigente, con la sua formazione, la sua etica, la sua prassi. La società italiana, in particolare, si è mostrata indifesa, priva di quegli anticorpi che, solitamente, in un paese “normale” elaborano la cultura, la scuola e la società civile. Probabilmente i grillini rappresentano il frutto di una nuova classe dirigente in incubazione, portatrice di una nuova forma di cultura e di nuove concezioni e percezioni del fare politica dove contano più gli istinti, i bisogni primari; insomma, nuove declinazioni dell’agire e nuovi linguaggi. Con i grillini e con le loro mutazioni genetiche dovremo fare i conti ancora per un bel po’ di tempo. Di Maio e Salvini sono realtà politiche complementari. I populismi sono esistiti da sempre, almeno fin dai tempi dell’antica Grecia: ricordiamo i personaggi di Cleone, di Plafagone e del salsicciaio nei “Cavalieri” di Aristofane. Di Maio e Salvini incarnano le nuove maschere del populismo legate allo spirito dei tempi in cui viviamo. Di Maio ha bisogno di Salvini per gestire il “particulare” di questo momento politico; Salvini ha bisogno di Di Maio per mantenere la sua posizione di influenza all’interno del centro-destra e per rendere conto, da un lato, alla realtà economico-finanziaria che lo sostiene e di cui è espressione (il Tri-Veneto), e dall’altro per cavalcare l’ondata di rancore sociale, di malcontento e di fragilità diffusi in seno alla società.
Il PD si arrabbia perché non è stato in grado di arginare l’avanzata del Movimento 5 stelle e perché sta assistendo, di fatto, alla propria lenta inesorabile fine. Realtà politica ormai autoreferenziale, il PD non esprime ed interpreta più né le tradizionali radici legate al mondo bracciantile, a quello operaista-sindacale e a quello movimentista-contestatario degli anni sessanta, né le tensioni e la complessità della società odierna neoliberista. La variegata nebulosa politica che lo compone è esclusivamente concentrata su strategie per il perseguimento e la gestione del potere fine a se stesso ed è dilaniata da una guerra intestina a tutti i livelli.
Visto da Siracusa il sindaco di Floridia mi sembra una brava persona purtroppo anonima. Visto da Floridia come ti sembra il sindaco di Siracusa?
Il sindaco di Floridia è un “federatore” silente, coraggioso e ostinato, animato da buone intenzioni, che continua ancora a credere, nonostante tutto, nel suo sogno di federatore di una forza politica eterogenea e trans-ideologica, una coalizione di aggregati provenienti da destra e sinistra in grado di poter amministrare una comunità fuori da schemi e da logiche vetusti. Il sindaco di Siracusa nutre lo stesso sogno. Ovviamente, le sue intenzioni e le sue pratiche sono assai diverse e recondite, come pure le sue mire e i suoi gregari.
I beni culturali siracusani vengono gestiti da privati scesi dal nord e anche in maniera ambigua. Non parliamo poi delle proroghe.
La gestione obliqua dei beni culturali siracusani nasce con la nascita dello stesso teatro greco. Quello siracusano è un malcostume antico, sintomo di ignavia e di mollezza di una città e di una classe dirigente che, da sempre, fatte salve talune singolari eccezioni, ha delegato ad altri l’interpretazione delle istanze di sviluppo, assistendo indifferente al sacco del territorio e alla mortificazione delle vocazioni e delle espressioni più vive della “communitas”. Siracusa avrebbe potuto vivere esclusivamente di cultura, turismo, bellezze naturali; avrebbe potuto, insomma, fondare la sua crescita su declinazioni morbide, sostenibili, compatibili con le vocazioni naturali e storiche del luogo. Invece, ha scelto, condizionata da poteri esterni e con sinistre complicità “dentro le mura”, un modello di sviluppo fondato sulla distruzione, sull’inquinamento, sull’annientamento della bellezza e della moralità. I risultati sono oggi evidenti.
Una volta avevamo punti di riferimento certi: Voza, Piccione, Fillioley, Nicita, Corallo, Consiglio, Lo Bello, Di Giovanni. Poi il degrado, oggi i deputati sono grillini, scarsi e incompetenti, che hanno paura anche di una intervista se la stessa non è aggiustata..
Quando, nella risposta precedente, parlavo di “talune singolari eccezioni”, mi riferivo proprio a personaggi della caratura di Consiglio, di Voza, di Piccione, di Nicita e di Lo Bello, che tanto hanno fatto per Siracusa, per la Sicilia e per l’Italia. Ma, si sa, la Sicilia è arcipelago, non isola; cioè, entità geografica formata da isole fra loro lontane, separate, alla deriva. E Siracusa è arcipelago nell’arcipelago. Noi siciliani siamo ostili e stranieri a noi stessi, chiusi nella nostra mediocrità, incapaci di apprezzare il lato positivo del nostro prossimo, di fare comunità, di comunicare e di scambiare tra di noi il peggio e il meglio che possediamo. Non è un caso che la commedia – che mette in scena i vizi e gli aspetti più ridicoli, mediocri e abietti dell’uomo, a differenza della tragedia, che mette in scena azioni alte e sublimi – abbia avuto origine proprio nell’antica Siracusa. Non si vedono più grandezze tragiche in giro dalle nostre parti; soltanto maschere di commedianti. Non è possibile alcuna catarsi, alcuna purificazione; imperversano soltanto turpitudini.
Nella prima Repubblica, un assessore che sbagliava veniva invitato a dimettersi e veniva avvicendato. Oggi a Siracusa abbiamo due assessori scarsi come Italia e Coppa che non solo si sono riproposti, ma hanno fatto anche carriera: uno è diventato sindaco di facciata, l’altro sindaco di fatto.
É consuetudine dei nostri tempi premiare il peggio, disprezzare il merito.
Tale atteggiamento viene amplificato nella dimensione del politico, dove la genuflessione e il sussiego occhiuto e interessato si sono imposti sulla competenza, sulla progettualità, sulla limpidezza e onestà dell’agire. Come nella nota favola di Esopo, il lupo ha divorato l’agnello adducendo ragioni pretestuose e proditorie. E ne è uscito indenne da ogni condanna, soprattutto morale.
Brogli elettorali a giugno 2018. Avrai letto i fatti, qual è la tua opinione fermo restando che il 27 giugno il Tar decide.
Il “caso Siracusa”, riguardante i brogli elettorali delle ultime amministrative, costituisce un aspetto di quel “ Sistema Siracusa” emerso da indagini e sentenze negli anni recenti. Di fatto, assistiamo a uno scontro fra poteri forti, espressione di caste, consorterie, corporazioni e famiglie influenti per la spartizione del territorio con silenti ambigue complicità. Su tale versante, il bello deve ancora venire, come apprendiamo dalle notizie che ci giungono in queste ultime ore dagli organi di informazione nazionale. A prescindere dalle decisioni del TAR, organismo amministrativo, un dato è certo: a Siracusa vige uno stato di pervertimento del corpo sociale che allarma e che esige una presa di posizione immediata e ferma da parte di ogni dispositivo civile per il ripristino e l’affermazione di uno stato di legalità irriso, calpestato, ferito, negato.
Granata non ha dato all’Inda il piano terra dell’ex convento San Francesco perché il Comune aveva in programma per questo spazio, eventi di alto spessore culturale. Il primo è stato “chi fa la torta migliore” fra tre pasticcerie.
Certe pratiche disinvolte nella gestione di siti e di immobili di interesse pubblico e architettonico appartiene alla moda del momento, in cui fare cultura vuol dire “spettacolizzare”, ridurre le iniziative a “eventi” per suscitare il “sensazionale” e andare in contro, in questo caso, – mi si passi la boutade – agli appetiti del pubblico.
Per restare in tema, Villa Reimann è diventata recentemente, e per tre anni prorogabili tacitamente per altri tre, una sede di rappresentanza dell’ateneo Kore di Enna per lo svolgimento di attività al servizio degli studenti siracusani iscritti o che si intendono iscrivere. In parole povere, significa che Villa Reimann è stata trasformata in una segreteria per studenti. Mi domando: ma non sarebbe bastata una stanza al Vermexio per svolgere una attività del genere, anziché utilizzare Villa Reimann, sito votato ad essere sede di un organismo scientifico internazionale di eccellenza del rango dell’ISISC? L’obiettivo, si legge in una nota stampa, sarebbe quello di “frenare l’emorragia di studenti siracusani e siciliani fuori dalla regione ma anche ampliare l’offerta formativa puntando sulla qualità e guardando alle professioni del futuro”. Mi viene da ridere. Invece di realizzare sedi di rappresentanza, sarebbe opportuno, a mio modesto avviso, realizzare biblioteche efficienti, laboratori funzionali, chiamando a Siracusa formatori e insegnanti di grande qualità per discipline come l’archeologia, la numismatica, l’arte antica e moderna, la metodologia della ricerca storica, la biologia marina: insomma, le università non nascono come i funghi, non sono il frutto dell’improvvisazione; sono progetti culturali programmati a medio-lungo termine, si fondano su idee, riflessioni, visoni del mondo e di un luogo, e, soprattutto, su persone capaci che, obiettivamente, in queste operazioni di piccolo cabotaggio non vedo.
La Prestigiacomo sta litigando coi sordi (i grillini all’Ars) per la rete ospedaliera siciliana. Lei vuole l’ospedale di secondo livello subito a Siracusa, i sordi sono per farlo in futuro.
E, mentre la Prestigiacomo e i grillini litigano, la gente muore facendo fila al pronto soccorso dell’Umberto I. È un fatto assodato, ormai, che è in atto un tentativo di minare profondamente la sanità pubblica regionale per favorire servizi e strutture di privati. È il grande affare del momento, su cui hanno investito gruppi finanziari, politici e famiglie influenti. Siracusa e la sua provincia ne pagano lo scotto con disservizi, stato di perenne emergenza e drammi quotidiani.
Baruffe ai vertici della Fondazione Inda. Non trapela, ma fra Mariarita Sgarlata e un altro vertice c’è uno scontro al calor bianco. Fa bene alla cultura e all’Inda?
Ho sempre sostenuto, estremizzando taluni ragionamenti, che la gestione dell’Inda andrebbe affidato a un organismo sovranazionale, per la sua bonifica e la sua “sprovincializzazione”. A parte talune direzioni egregie, l’istituzione è stata mortificata da una miope visione della classe politica locale e dai molti interessi che ruotano attorno alla gestione degli enti culturali in Sicilia e nel resto d’Italia, divenuti trampolini di lancio per carriere blindate, lauti stipendifici e pensionamenti eccellenti. E qui mi fermo per rispetto della gloriosa istituzione.
Ricordo che Salvo Randone, condotto a Siracusa dal suo lavoro di attore e su invito del sindaco pro tempore Fausto Spagna, evitava di pernottare in città. “Meglio evitare, conosco bene i siracusani”. Aveva ragione lui?
Aveva ragione, sicuramente. Come aveva ragione Pasolini a percepire, proprio durante un suo soggiorno a Siracusa, quel “cuore di tenebra” che soggiaceva alla mutazione antropologica che stava avvenendo nell’Italia a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta. Ne ha consegnato una bellissima immagine poetica Manuel Giliberti nel suo “Nerolio”. E Pasolini ne scrive in un reportage assai discusso e pregnante pubblicato nel 1959, dal titolo “La lunga strada di sabbia”. Come a dire: è dagli anni cinquanta che camminiamo ancora su quella strada di sabbia senza scorgere una meta.