“JE T’AIME, MOI NON PLUS” PER INCOLLARSI CON LA RAGAZZA DESIDERATA
I 78 giri erano considerati roba da matusa” (abbreviazione di Matusalemme), e quindi se ne stavano sempre nelle custodie. Certi pezzi venivano suonati anche 3-4 volte di seguito, e vi spiego perché. Intanto ricordiamoci che, nonostante l’impazzare di molte canzoni con ritmi trascinanti, tipo twist, rock’ n roll o il famigerato “hullygully” (alligalli, in inglese maccheronico), quelle maggiormente predilette erano i “lenti”, che venivano definiti “balli della mattonella”, volendo così evidenziare il fatto che si stava ben attaccati l’uno all’altra e si sperava che la musica durasse per un tempo infinito… Davvero perfetto per questo scopo, a partire dall’estate del 1969, era “Je t’aime, moi non plus” cantata (anzi, sospirata) da Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Questo pezzo notissimo, osteggiato inutilmente dalle varie censure, conteneva sostanzialmente i sospiri dei due amanti durante una bella “performance” amorosa, con una musica di sottofondo dotata di un ritmo a dir poco invitante. Tuttavia, non era mai il primo pezzo che si metteva sul giradischi. Si iniziava sempre con Peppino di Capri (A Saint Tropez, oppure Speedy Gonzales) oppure un rock (Rockaround the clock) o altro, poi, se a gestire la musica c’era qualcuno “attento”, si passava dopo un po’ ai lenti per culminare con “Je t’aime, moi non plus”. All’improvviso poteva succedere che la mano malandrina di qualche mamma padrona di casa abbassava o spegneva del tutto la luce, ed a quel punto chi aveva acchiappato quella giusta se la teneva stretta stretta sino a che non finiva di suonare, almeno per la quarta volta, quel disco assassino. Fu proprio un disco appassionato, “Quanto t’amo” cantato da Johnny Halliday, quello che fece da sottofondo al mio (maldestro ma chiaro) dichiararmi verso una bella ragazza mora con lunghe trecce… proprio nell’autunno del 1978, durante una festa organizzata per una mia licenza da militare. Io sì che ho fatto “l’autunno caldo”, altro che storie!! All’improvviso si riaccendeva la luce, spesso perché la mamma che l’aveva abbassata era stata colta da scrupoli, altre volte perché qualcuno di quelli o quelle che “non pittavano” si dichiarava (comprensibilmente) stufo dell’atmosfera che si era creata e ricorreva alla torta, alle paste o alle bevande per affogare i dispiaceri negli zuccheri. Non mancava mai, in ogni festa che si rispettasse, la persona “in crisi”. Poteva essere un ragazzo, che faceva così per suscitare l’istinto materno nelle ragazze e ottenere quell’attenzione altrimenti negata, oppure una ragazza, magari “bruttarella” che non otteneva le sperate occhiate e tanto meno un ballo lento nella penombra. Eppure, ci sarebbe stata la soluzione per entrambi, perché c’erano brutti che potevano andare benissimo per quelle un po’ meno avvenenti e viceversa, ma la natura umana gioca brutti scherzi, manco a dirlo. Quasi sempre la ragazza “bruttarella” perdeva le bave dietro qualche bel ragazzo che nemmeno la filava, mentre lo sfigato con occhiali e brufoli di chi si innamorava? Ma della più “figa”, naturalmente. Risultato: crisi esistenziali a più non posso, con pianti nell’angolo o nella stanza accanto alla sala, oppure scene di ogni genere per attirare l’attenzione.
Il momento della Spazzola…
Arrivava allora il momento in cui il cretino di turno proponeva il gioco della spazzola e si presentava proprio dall’innamorato cotto dandogli la spazzola nel momento in cui quest’ultimo stava per avvicinare la ragazza ancora di più… mentre il braccio sinistro stava lasciando la mano per cingere il fianco, assieme al destro, per non lasciarle via di scampo. Quel tocco sulla spalla, con la spazzola, lo risvegliava… il tempo di mandare al diavolo l’imbecille che aveva osato interrompere quel sogno che stava per diventare realtà… Lei si staccava, forse a malincuore e sollevando le spalle si metteva a ballare con un altro… Ma al ragazzo dispettoso che aveva osato rompere l’incantesimo, immediatamente, veniva riconsegnata la spazzola, con lo sguardo serio che faceva capire di girare al largo! Poi i due “innamorati” si allontanavano per andare fuori a prendere un po’d’aria.
Mi vengono in mente le parole, a mio avviso perfette, di una notissima canzone di Paolo Conte, “Via con me”. Ad un certo punto egli dice alla donna a cui dedica la canzone: “…non perderti per niente al mondo lo spettacolo di arte varia di un innamorato di te”. Un genio Paolo Conte. In questa frase c’è tutto. Come riuscivamo a diventare scemi noi maschietti infervorati! Che bello era, però, quel periodo! Esisteva ancora una cosa importantissima dell’animo umano, ora sempre più rara: il corteggiamento…
Salvatore Battaglia
Presidente Accademia delle Prefi