Politica

PALAMARA SUI MIGRANTI: CI SONO DUE GIUSTIZIE, QUELLA DI PATRONAGGIO E QUELLA DI ZUCCARO

Pubblichiamo uno stralcio importante del libro “IL SISTEMA” con la lunga intervista di Alessandro Sallusti all’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, oggi, in disgrazia, trasformato in gola profonda. Lo stralcio riguarda la vicenda immigrati.

Passano tre-cinque ore da quel duro documento diffuso dall’Ansa, che lei,

messaggiando con il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, usa ben altri

toni. Vale la pena di rileggere quello scambio di idee:

Auriemma: «Mi spiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministero dell’Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c’entra la procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico, al di là del lato politico. Tienilo per te o sbaglio?».

Palamara: «No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo».

Auriemma: «Peraltro ha ragione Fuzio. Se la frase (di Salvini, N.d.R.) è solamente

questa dove sono le interferenze? Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso,

perché tutti la pensano come lui, tutti. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti, che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti».

Auriemma pone un tema vero, sentito da tanti colleghi che vivono del loro e non partecipano al grande gioco del potere, che non devono rispondere al «Sistema» di quello che pensano, dicono e fanno.

Qual è questo «tema»?

Le posizioni espresse dall’Anm e dal Csm sul caso Diciotti e più in generale sulla gestione dell’immigrazione clandestina sono legittime o costituiscono uno sconfinamento nell’area della politica? È giusto che nel

2018 si debba andare ancora in testa a un ministro per sostituire, integrare o rafforzare l’opposizione politica della sinistra al governo di turno da cui è esclusa? Di questo, al netto della sintesi di un messaggino, sto discutendo

con Auriemma. Gli dico: «Hai ragione». Ma gli dico anche che bisogna fare così perché altrimenti si spaccherebbe il governo dei magistrati, ipotesi che, in quei giorni e su quel tema, è reale.

Però continuano a esistere due Palamara, quello che parla con Auriemma e gli scrive «hai ragione» a criticare Patronaggio, e il suo opposto, quello che al procuratore Patronaggio scrive: «Carissimo Luigi, ti chiamerà

anche Legnini, siamo tutti con te», e «Carissimo Luigi, ti sono vicino, sii forte e resisti, siamo tutti con te».

Il secondo messaggino si riferisce a una minaccia che aveva ricevuto, la mia solidarietà non poteva mancare ed era sincera. Ma non per questo voglio sfuggire al senso della domanda. Esistono tanti Palamara quanti ne

servono per gestire con successo situazioni complesse e delicate. Del resto esistono anche due magistrature e due giustizie, il mio compito in quel momento era quello di tenerle insieme.

Due giustizie?

Certo, due giustizie. Quella del procuratore di Agrigento, Patronaggio, che fa sbarcare gli immigrati e in qualche modo giustifica e protegge il ruolo delle Ong, e che indaga il ministro degli Interni per sequestro di

persona. Poi c’è la giustizia del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che negli stessi giorni e per gli stessi reati, per ben due volte, dà parere

contrario a indagare Salvini; le navi le sequestra e alle Ong fa la guerra,

ritenendole complici degli scafisti, in alcuni casi addirittura indagando i

loro equipaggi per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione

clandestina. Catania e Agrigento distano tra loro solo un centinaio di

chilometri, stesso mare, stesse navi, stesso Stato, stesso ministro e stesse

leggi. Ma le leggi, com’è noto, non si applicano, si interpretano sì in base

alla preparazione, ma anche alla sensibilità culturale, ideologica, politica

dei magistrati, e a volte purtroppo anche alla loro appartenenza.

Rispetto a questo sdoppiamento non mi sembra che il governo dei magistrati sia equidistante, e neppure lei nei fatti lo è. Patronaggio passa

per un eroe, Zuccaro per un avventuriero fazioso.

Se è per questo anche la maggior parte dei giornali, dei partiti e dei

cosiddetti intellettuali segue la stessa strada e si schiera senza se e senza ma

dalla parte di Patronaggio. Chi l’ha deciso? Non c’è uno che dà le carte, c’è un blocco culturale omogeneo che si muove all’unisono e che in

magistratura fa leva su Magistratura democratica, la corrente di sinistra che,

da quando è nata, non ha mai abdicato al ruolo sociale che si è data di

paladina dei diritti al di là delle leggi. Negli anni Settanta, con i famosi

pretori d’assalto, fu la lotta al capitalismo e la difesa a oltranza dei

lavoratori, poi si aggiunse la tutela dell’ambiente e infine, ai tempi attuali, il

tema dell’immigrazione. Risultato? Ci sono situazioni in cui il Parlamento è

scavalcato dai magistrati, le leggi dalle sentenze. Così è andata.

E le altre correnti che hanno fatto nel frattempo?

Magistratura democratica è l’unica che sui temi sociali ha prodotto una

sua elaborazione culturale, cosa mai fatta né da Unità per la Costituzione,

che sta nel mezzo pescando aderenti sia a sinistra sia a destra – e quindi

priva di un marcato tratto distintivo –, né da Magistratura indipendente, che

viceversa enfatizza i temi sindacali tipo gli stipendi, l’organizzazione e i

carichi di lavoro. Tutti cavalli di battaglia del suo leader Cosimo Ferri, che

ha ben capito che i magistrati entrati dopo il ’97 sono colleghi che non

hanno vissuto il ’68: innanzitutto vogliono vivere comodi, non avere

problemi; hanno sofferto per arrivare ad avere la toga e adesso vogliono

godersela, stare meglio e non essere di continuo coinvolti in estenuanti

scontri ideologici.

A Magistratura indipendente era iscritto anche Nunzio Sarpietro, il giudice

di Catania che ha gestito l’udienza preliminare del processo a Salvini.

«Salvini stia tranquillo,» ha detto ai giornalisti il 24 settembre 2020, alla

vigilia del dibattimento «che qui non ci sono Palamara» rispondendo

indirettamente al leader della Lega che pochi giorni prima aveva detto:

«Mi auguro di non trovare a Catania un altro Palamara».

Quello di Sarpietro è un giudizio inquinato da questioni personali. Nel 2015 bisognava nominare il nuovo presidente del tribunale di Catania e

Sarpietro presentò al Csm la sua candidatura. Non passò; con il mio

contributo decisivo gli fu preferito un altro magistrato, Bruno De Marco,

esponente della mia corrente. E mi adoperai affinché la nomina di De Marco venisse confermata nonostante il suo legittimo ricorso al Tar. Se non

sbaglio, dopo quella bocciatura si dimise da Magistratura indipendente. Mi

resta il dubbio che, se invece di essere bocciato fosse stato nominato, quella

tessera se la sarebbe tenuta stretta. Capisco che possa essere risentito, ma

tanto ho imparato sulla mia pelle che osteggiati e beneficiati, quando gira il

vento, uguali sono. Sarpietro mi insulta solo ora che sono caduto in

disgrazia. De Marco peraltro sarà il presidente del collegio dei probiviri che

nel 2020 decreterà la mia espulsione dalla magistratura. Detto questo, sono

convinto dell’assoluta autonomia di giudizio di Sarpietro.

IL SISTEMA