Politica

PALAMARA SPIEGA PERCHE’ IL CSM IGNORA GLI ESPOSTI CONTRO I MAGISTRATI “VICINI” A MONTANTE

Pubblichiamo uno stralcio del libro “Sistema” con il giornalista Sallusti che intervista l’ex presidente dell’Anm, Palamara. Un libro scandalo con notizie scandalo messe nero su bianco. Sono in molti ad aspettare una inchiesta parlamentare su come venivano, e forse vengono, fatte le nomine in magistratura. Ma fino ad oggi nonostante le dirompenti dichiarazioni del “gola profonda” Palamara..

Nel luglio del 2019, Virgilio sarà indagato per vecchi fatti di corruzione giudiziaria nell’inchiesta che porta n carcere, tra gli altri, il faccendiere Piero Amara, Giuseppe Calafiore e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, che di lei è stato grande amico.

Non ero certo l’unico magistrato a frequentare Virgilio, e neppure Centofanti. Tra me, Centofanti e Pignatone, per esempio, c’era un vero rapporto amicale trasparente e alla luce del sole, che coinvolgeva anche le nostre famiglie e in particolare le signore. Luigi De Ficchy, che da procuratore di Perugia aprirà l’inchiesta su di me, aveva addirittura invitato Centofanti alla festa di laurea del figlio alla Casina Valadier, uno dei ristoranti più noti di Roma. Oggi tutti sembrano aver rimosso, ma le cose sono andate così.

Torniamo alle nomine. Dopo Palermo arriva quella di Napoli.

Siamo nel 2017, per la procura partenopea sono in corsa Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia in carica, Andrea Orlando – i due si erano conosciuti a Napoli, quando il primo era procuratore aggiunto e il secondo commissario del Pd campano –, e Federico Cafiero De Raho, procuratore di Reggio Calabria. Su Melillo ci sono forti dubbi, in quel momento è un magistrato distaccato e ovviamente targato politicamente Pd. I miei colleghi Unicost di Napoli non lo vogliono e fanno quadrato attorno a Cafiero De Raho. Io mi trovo tra due fuochi, da una parte la mia corrente, dall’altra gli ottimi rapporti personali sia con Orlando sia con Melillo, che da consigliere Csm spesso consultavo per capire gli umori del ministero. È un momento delicato: da Napoli, per mano del pm Woodcock, era infatti partita un anno prima l’inchiesta Consip che puntava – neppure troppo velatamente – a colpire il premier Matteo Renzi e il suo Giglio magico, Luca Lotti in testa. Il clima è avvelenato anche da un’altra questione, quella della proroga, non concessa da quel governo, allo spostamento in avanti di un anno dell’età pensionabile dei procuratori, norma che colpisce tra gli altri il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo. Il quale in un’intervista parla di un suo «legittimo dubbio» che Renzi voglia punirlo e mandarlo in pensione anzitempo per non aver fermato Woodcock su Consip. In realtà la mancata proroga è fortemente voluta dagli stessi magistrati interessati a quei posti, tra cui lo stesso Melillo, che nella sua qualità di capo di gabinetto del ministro della Giustizia ha ovviamente seguito la questione. La mancata proroga quindi spalanca a Melillo le porte della procura di Napoli, e peggiora la mia posizione, come dicevo, tra due fuochi. Della nomina di Melillo a Napoli parlo anche direttamente con il ministro Orlando, e conveniamo che la prima mossa da compiere è fare rientrare subito Melillo in magistratura, in modo da disinnescare le perplessità della sua corrente, quella di sinistra, sui fuori ruolo promossi d’ufficio. Per me resta il problema della parte napoletana di Unicost, che per motivi correntizi tiene duro su Cafiero De Raho. Ma come sempre accade in questi casi…

Non mi dica che entra in azione il cecchino.

Proprio così. Questa volta si tratta di documentazione molto dettagliata sulla vita privata di Cafiero De Raho, fatta avere direttamente al Csm da qualche manina. Carte che pregiudicano, o comunque minano in modo grave, la possibilità di una sua nomina a Napoli. Su questi sviluppi sono in stretto contatto con Marco Minniti, in quel momento potente ministro degliInterni targato Pd, molto attento alle questioni che riguardano la Calabria, il suo feudo, e quindi al destino di Cafiero De Raho, che come detto è in quel momento procuratore a Reggio. A lui a quel punto interessa, come risulta anche dalle numerose chat tra di noi, un accordo che porti Melillo a Napoli e salvi Cafiero De Raho – «il soldato Cafiero», come me lo definisce in una chat – spostandolo alla Direzione nazionale antimafia. Cosa che si realizza grazie a un accordo tra le correnti, nonché a una pressante azione dello stesso Cafiero.

Lei ritiene quindi che l’intervento di un politico di peso come Minniti, per di più in quel momento ministro degli Interni, sia stato decisivo per la nomina di Cafiero alla Dna?

Nessuno, leggendo le mie chat, ha fino a oggi sollevato il problema, e questo ben spiega che lo sdegno non dipende dal metodo in sé ma dai nomi coinvolti: Minniti non è Lotti, tanto per intenderci. Sta di fatto che Cafiero De Raho, nell’ottobre del 2017, come da accordi con Minniti, viene nominato alla Direzione nazionale antimafia, non prima di aver superato un pericoloso scoglio, la prestigiosa e inattesa candidatura per quello stesso posto del procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato. Ma anche Scarpinato, fortemente sostenuto dalle correnti di sinistra, all’ultimo incappa in un problema che giaceva dormiente al Csm dal 2016. Guarda caso, qualcuno a quel punto se ne ricorda e mette la documentazione sul tavolo. Parliamo dell’inchiesta che ha portato prima all’arresto e poi alla condanna in primo grado a 14 anni di carcere di Antonello Montante, il presidente di Confindustria Sicilia paladino dell’antimafia, che aveva organizzato una rete spionistica per controllare il sistema politico-economico siciliano e trarne indebiti vantaggi. Nel fascicolo mandato al Csm si fa riferimento a un foglio trovato durante la perquisizione a Montante, con in dettaglio i voti che Scarpinato avrebbe dovuto conseguire nel plenum del Csm che nel 2013 lo nominò procuratore generale di Palermo. Per quella vicenda il pubblico ministero di Catania Rocco Liguori, che indagava sul caso, decise l’archiviazione per un «comportamento discutibile che però non costituisce reato» con le seguente motivazione: «Il Montante dichiarava che il dottor Scarpinato non gli aveva mai parlato di quella sua candidatura e, in merito alla piantina dell’immobile sito nel centro di Palermo di proprietà di parenti del dottor Scarpinato, lo stesso Montante dichiarava di essersi sì interessato all’acquisto, ma di non aver dato seguito all’affare».

Gli esposti arrivati al Csm su questa vicenda non decolleranno mai, non solo quello su Scarpinato, ma neppure quelli su altri suoi colleghi invischiati in «presunti favori chiesti al Montante per parenti e amici», come si legge nelle carte, tra i quali, oltre a magistrati del calibro di Lucia Lotti, Salvatore Cardinale, Sergio Lari, c’è anche Antonio Porracciolo, che, ironia della sorte, sarà nella commissione dei probiviri dell’Anm che decreterà la mia espulsione.

Al Csm, insomma, il traffico è impazzito: ci sono fascicoli che avanzano e altri che si fermano.

Con quei nomi in campo non c’erano le condizioni politiche per poter approfondire e prendere decisioni. Ma in generale le procure del Sud sono un mondo a sé, e lo capiremo meglio parlando dei casi Ingroia e Di Matteo a Palermo e Woodcock a Napoli.

IL SISTEMA