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LE CATACOMBE DI SAN GIOVANNI SULLE TRACCE DEL GRANDE PAOLO ORSI

Non conosciamo la denominazione antica di questa catacomba e, a differenza dei cimiteri romani, non riusciamo a ricostruire le tracce dell’esistenza di uno o più martiri cui poteva essere dedicata la necropoli; la dedica a S. Giovanni Evangelista è legata all’intitolazione al santo della basilica soprastante in età normanna. Il giro previsto per visitare la catacomba non è casuale perchè intende seguire le orme del grande archeologo Paolo Orsi grazie a cui l’indagine sul cimitero di S. Giovanni, tra il 1893 e il 1909, ha acquistato una dimensione scientifica dalla quale chiunque voglia conoscere il monumento non potrà più prescindere.

Non diversamente da ciò che avviene nelle catacombe romane, ma con una maggiore monumentalità, il progetto prevede la realizzazione di un vero e proprio piano urbanistico regolare per la città sotterranea dei morti, con uno sfruttamento intensivo di preesistenti strutture idrauliche. Stiamo dunque percorrendo la strada principale – il cosiddetto decumanus maximus – per la cui creazione, infatti, si utilizzò il percorso di un acquedotto di età classica, del quale ritroveremo le tracce lungo tutta questa galleria principale. A differenza dei cimiteri di Vigna Cassia e Santa Lucia, la catacomba di S. Giovanni nasce per servire una comunità che non doveva più nascondere la fede cristiana ed è lo stesso monumento a fornircene la prova con la grandiosità della sua architettura; l’esecuzione materiale di un cimitero di tali dimensioni, che non trova riscontro nei più labirintici cimiteri romani nati nel III sec. quando le persecuzioni non erano ancora scemate, è concepibile solo nel clima di tolleranza nei confronti del cristianesimo, sancito dalla Pace della Chiesa (313 d.C.).

I tipi di sepoltura sono canonici: loculi (cavità rettangolari con il lato lungo a vista) la cui chiusura si effettuava mediante tegole, lastre di marmo o mattoni recanti un’iscrizione; l’arcosolio, un tipo di sepoltura più ricercata costituito da un’arca scavata nel vivo della roccia, chiusa orizzontalmente da una tabula detta mensa e sormontata da una nicchia quadrilunga o arcuata. L’arcosolio conteneva solitamente due corpi, ma poteva avere una capacità doppia e nella forma particolare, che costituisce una prerogativa di Siracusa, anche una ventina di posti. Presente nel cimitero è anche la forma, un sepolcro scavato nel pavimento, tipica della fase intensiva dello sfruttamento di una catacomba, quando la mancanza di spazio indusse i fedeli a utilizzare anche il suolo delle gallerie.

LA REGIONE SETTENTRIONALE

Stiamo quindi camminando nella galleria principale su tombe scavate nel suolo e ricoperte per consentire il camminamento quando, all’inizio della seconda galleria settentrionale, ci imbattiamo in una sepoltura sicuramente privilegiata come ci suggerisce la lastra di copertura del sepolcro con tre fori, indizio di un rito antico che precede l’avvento del cristianesimo e che si protrae nel tempo fino ad arrivare ai nostri giorni: il refrigerium, letteralmente il rinfresco. Nella cerimonia cristiana lo scopo del banchetto funebre è di giovare all’anima del defunto nell’anniversario della morte, il dies natalis dell’anima alla vita eterna. In questo giorno, i vivi si consolano versando vino, latte e miele e altre libagioni al loro caro attraverso i fori ricavati nella lastra di copertura. 

Continuando a percorrere la stessa galleria, dopo aver svoltato nel cubicolo trapezoidale A, proseguendo nella seconda galleria principale – detta del pio Giovanni per un’iscrizione rinvenuta nella quale si ricorda il defunto Giovanni di beata memoria – ci immettiamo in un vero e proprio pantheon sotterraneo per accedere al quale ci serviremo di una monumentale scala d’accesso, sulle cui pareti si distinguono le tracce inequivocabili della presenza in antico di una serie di colonne sormontate da capitelli. 

All’interno della rotonda, cosiddetta di Antiochia per l’iscrizione incisa e rubricata sul sarcofago a blocchi che emerge dall’anello di tombe scavate nella roccia, merita di essere menzionato un arcosolio caratterizzato da una disposizione a terrazzamento delle sepolture, “a cascata”, avente non solo un chiaro intento scenografico ma anche un preciso riferimento alla concezione cristiana che mette in connessione la morte e la rinascita alla nuova vita per mezzo dell’acqua vivificante.

La regione orientale

LA CATACOMBA DI SAN GIOVANNI: LE REGIONI ORIENTALE E MERIDIONALE

Alla fine della terza galleria nord, girando a sinistra, rientriamo nel decumanus maximus per soffermarci davanti alla decorazione pittorica di un arcosolio isolato e riservato ad un’unica, importante sepoltura, presumibilmente appartenuta ad una vergine siracusana perchè la parete mostra i segni di un vero e proprio palinsesto, una sovrapposizione di pitture ed epigrafi dipinte e graffite che non facilitano l’individuazione del proprietario originario del sepolcro. Limitandoci alle immagini della parete superiore dell’arcosolio, è possibile leggere una scena canonica in cui la defunta, posta al centro, è accolta dagli apostoli Pietro e Paolo sullo sfondo del giardino paradisiaco per iniziare la vita ultraterrena. Su tutto domina il Cristo, affiancato dalle due lettere apocalittiche alpha e omega – che stanno a indicare che Cristo è il principio e la fine di tutte le cose -, che pone una corona sul capo della defunta. Nel pannello inferiore è contenuta una monumentale iscrizione in otto linee, dipinta entro una cornice a fascia larga, da cui emerge che il dedicante è il fratello Siracosio, guidato alla luce dalla defunta.

Ripercorriamo la galleria principale in senso inverso e imbocchiamo la seconda galleria a sinistra che ci condurrà nella regione meridionale del cimitero. La prima delle tre rotonde che caratterizzano questo settore della catacomba prende il nome di Marina per la presenza di un’iscrizione graffita sull’estradosso del terzo arcosolio a destra e datata al primo venticinquennio del V secolo. Nella breve galleria meridionale, senza sbocco, che si diparte dalla rotonda di Marina si distingue il presunto arcosolio del vescovo Siracosio, citato in un epigrafe rinvenuta in una fossa terragna limitrofa nella quale si dice che i defunti acquistarono volutamente il sepolcro vicino a quello del vescovo appena nominato. È quindi solo un’ipotesi quella che vede nell’arcosolio con lastra incisa, ancora in situ, la sepoltura nobile di un rappresentante della gerarchia ecclesiastica; si distinguono chiaramente il cristogramma dotato delle due lettere apocalittiche alpha e omega e due barche a forma di pesci.

Dalla rotonda di Marina una galleria conduce alla seconda rotonda, detta di Adelfia, e al nicchione che accolse la sepoltura di una donna di rango senatoriale, moglie di un alto funzionario della corte imperiale, sepoltura rappresentata da uno dei pochi sarcofagi a doppio registro conosciuti in tutto il mondo cristiano antico.

Il sarcofago si presenta nella cassa come un vero e proprio riassunto delle più importanti scene tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, mentre al centro e all’interno di una conchiglia sono presenti i ritratti di due coniugi defunti. Il testo dell’iscrizione, collocata sul coperchio del sarcofago, fa riferimento soltanto alla donna e non a entrambi i coniugi: «Qui giace Adelfia clarissima femina, moglie del conte Valerius».

Dalla rotonda di Adelfia raggiungiamo la rotonda dei sarcofagi, caratterizzata dalla presenza di sette casse di sarcofagi interamente scavate nella roccia. Ciò che sorprende è naturalmente la concentrazione di queste sepolture monumentali al punto da far pensare che esse potessero appartenere ad una comunità religiosa.

L’ultima tappa del nostro viaggio sotterraneo è il cubicolo di Eusebio, che ha una struttura diversa dagli altri spazi privati della regione meridionale della catacomba, ma sembra ricavato comunque dall’allargamento di una cisterna preesistente. Il nome Eusebio deriva, ancora una volta, da un’iscrizione rinvenuta sulla sepoltura monumentale a tre livelli visibile alla sinistra del cubicolo, che merita di essere ricordato anche per un’altra testimonianza, con un valore particolare per i siracusani: il rinvenimento di un’epigrafe, quella di Euskia, attestante il culto di Santa Lucia nel V secolo.

TRATTO DA: http://www.catacombesiracusa.it/index.htm