Politica

LA FORLEO SU PALAMARA: IL PROBLEMA VERO E’ QUELLO DI POTERSI GUARDARE ALLO SPECCHIO

Il Tar prima e il Consiglio di Stato poi accolsero i ricorsi di Forleo che fu reintegrata a Milano. Prima ancora era stata assolta dalla sezione disciplinare del Csm dall’accusa di aver violato i suoi doveri per i contenuti dell’ordinanza con la quale, nel luglio del 2007, chiese alle Camere l’autorizzazione all’uso di intercettazioni che riguardavano alcuni parlamentari, tra cui D’Alema, Fassino e Latorre nell’ambito della stessa vicenda. Insieme ad oltre cento colleghi, Forleo ha firmato qualche giorno fa una lettera in cui si chiede al Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e al togato del Csm Giuseppe Cascini, di «smentire in modo convincente» il racconto di Luca Palamara che li ha chiamati in causa direttamente. In questa intervista ci tiene non tanto a fare la diagnosi del male che ha infettato la magistratura quanto a proporre una cura in un dialogo con la politica.

Dottoressa Forleo, Palamara nel suo libro l’ha definita “l’eretica” che ha osato sfidare certi poteri. Alla luce di quanto venuto fuori in questo ultimo anno e mezzo cosa si sente di dire?

Non ho sfidato nessuno, semmai è stato qualcun altro a sfidare me, o meglio il mio operato e con esso l’autonomia e indipendenza della magistratura, senza evidentemente immaginare che a distanza di anni e grazie a un trojan inoculato nel cellulare di uno dei protagonisti di quella e di altre vicende, si potesse pervenire ad una confessione su quanto realmente accaduto. Io ho fatto quello che avrei fatto con qualunque altro potenziale indagato, mettendo inevitabilmente nero su bianco che l’autorizzazione a utilizzare le conversazioni intercettate era necessaria anche per consentire l’iscrizione nel registro degli indagati di taluni parlamentari che all’evidenza risultavano complici dei reati contestati, dato che l’unico elemento a loro carico era costituito da quelle conversazioni. È evidente che l’iscrizione avrebbe dovuto farla l’Ufficio del pm, come è altrettanto evidente che si sarebbe trattato di atto dovuto per il principio di obbligatorietà dell’azione penale, e ciò a prescindere dallo sviluppo successivo del procedimento. Tanto poi non è accaduto, nonostante il Parlamento avesse dato il via libera all’iscrizione, ma io ormai ero stata spedita a Cremona per “deficit di equilibrio”: cosi si giunse a scrivere in quella vergognosa pagina della magistratura italiana. Ora il dottor Palamara ci fa comprendere senza mezzi termini perché dunque costituivo un “pericolo” e che era necessario spostarmi “di peso” in altra sede. Non mi rimane che ringraziare il tempo, che è sempre galantuomo.

Fabrizio Cicchitto ha dichiarato che la sua vicenda, come quella di altri suoi colleghi, mette in evidenza «che nel sistema non c’era solo una sistematica intesa fra le correnti per l’assegnazione dei vari incarichi nella magistratura ma anche almeno dal ‘92-94 fino al 2013 uno scientifico uso politico della giustizia che scientificamente privilegiava la sinistra sia sul terreno dell’attacco sia sul terreno della difesa». È d’accordo?

Posso solo dire che mentre negli anni novanta l’attacco al magistrato libero proveniva solo dall’esterno, ossia dal potere politico, dal 2007 in poi i veri attacchi sono arrivati dall’interno della magistratura associata. Che poi tali attacchi abbiano colpito chi si stava occupando di certe forze politiche “vicine” a certa parte della magistratura, è storia. In altri termini, è saltato il principio costituzionale sancito nell’art.101 anche per volere di alcuni vertici dell’ordine giudiziario.

Il professor Vittorio Manes da queste pagine ha detto: «Bisognerebbe prendere atto che l’amministrazione del giustizia è un “servizio”, una “public utility” dove i magistrati sono “civil servant” e i cittadini gli utenti; e che, specie in materia penale, un obiettivo minimo di civiltà impone di assicurare uniformità e parità di trattamento». Quanto siamo distanti da ciò in questo momento?

Nonostante l’impegno dei tantissimi colleghi che amministrano la giustizia nell’unico interesse di rendere un servizio al cittadino, quanto è accaduto a seguito dell’attivazione di quel trojan e a seguito della pubblicazione degli innumerevoli messaggi rinvenuti sul telefono del dottor Palamara ci porta a concludere che siamo lontani anni luce da quel modello di cui parla il professor Manes.

Qualcuno vuole ridurre Palamara a capro espiatorio. Lei cosa ne pensa?

Spero che si faccia chiarezza al più presto su quello che è emerso dall’indagine di Perugia e che il dottor Palamara non sia il solo a pagare, rappresentando all’evidenza uno dei tanti anelli di quella che altri colleghi anche su queste pagine, hanno definito “cupola”.

La parola chiave dell’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata “credibilità”. La magistratura è davvero pronta ad intraprendere il cammino di redenzione o sono solo messaggi di facciata? A suo parere, come si può sconfiggere il “sistema”?

Proprio per il carattere diffuso delle patologie emerse, che hanno investito anche i vertici del potere giudiziario (alcuni dei quali com’è noto, sono stati costretti a dimettersi), ritengo che la cura non possa che provenire dall’esterno. Penso ad una commissione parlamentare d‘inchiesta ma penso soprattutto ad una riforma che sottragga l’organo di autogoverno al potere delle correnti, che da centri di confronto culturale si sono via via trasformati in centri di spartizione clientelare del potere, giungendo ad essere complici dell’isolamento del magistrato che osava ed osa pensarla diversamente. Per riacquistare credibilità e per avere la garanzia di magistrati davvero autonomi e indipendenti, io ed altri sempre più numerosi colleghi chiediamo quindi che i componenti del Csm siano eletti in base a candidature non controllate dalle correnti, ma costituite da magistrati estratti a sorte in base a dei criteri prestabiliti, escludendo ad esempio i magistrati più giovani e quelli con censure disciplinari. Ancora, e mi riferisco alle proposte del movimento “Articolo 101”, penso anche a un sistema di rotazione degli incarichi direttivi tra i più anziani del singolo ufficio. Era il 2008 quando dicevo che se non si è “sostenuti” da una corrente non si può aspirare a nessuna nomina, a nessun incarico: già allora ero l’”eretica”, la “donna dai facili applausi” come qualche signore della magistratura associata mi definì con toni, a mio avviso, misogini. A distanza di oltre dieci anni, la nuda realtà emersa dalla messaggistica del telefono del dottor Palamara, oltre che dalle sue stesse parole, mi conferma che non avevo vaneggiato.

Nessuna riforma è possibile senza la volontà politica: secondo Lei avrà finalmente questo coraggio?

Penso che sia venuto il momento che anche la classe politica tutta “prenda coraggio”, anche nel suo stesso interesse, onde evitare che – come si è visto anche in noti messaggi sempre estratti dal telefono del dottor Palamara e concernenti l’allora Ministro dell’Interno – alcune forze politiche possano essere danneggiate dalla “vicinanza” di taluni vertici del potere giudiziario a forze politiche di segno opposto.

Lei in passato, parlando della sua vicenda, ha detto: «Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti». Crede che adesso ci sarà più solidarietà tra voi colleghi danneggiati o il sistema fa ancora paura e nessuno si esporrà?

Ora come allora mi fa paura il “silenzio degli onesti”, ossia dei tantissimi magistrati perbene che per i più vari motivi non osano mettersi contro il “sistema”. Capisco i più giovani e i loro timori, ma mi rimane incomprensibile il silenzio di chi non ha nulla da temere. Qualcuno ci accusa di fare il gioco del “nemico” e di contribuire a gettare fango sulla categoria: mi chiedo, ironicamente, a quale “nemico” e a quale “tipo” di fango ci si riferisca. Concluderei lanciando un messaggio ai giovani colleghi e citando una famosa frase di Indro Montanelli: «Non esitate a lottare per quello in cui credete. Perderete, come ho perso io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne: quella che ingaggerete ogni mattina di fronte al vostro specchio».

Angela Stella

(Il Riformista