IL MISTERO DELLA STATUA DI ARCHIMEDE SVANITA NEL NULLA
Questa è una delle tre statue raffigurante il nostro concittadino ” Archimede “.
Questa statua fu donata alla città di Siracusa dal cav. Antonio D’Este, forse allievo del Canova.
Nel 1841 il prefetto partecipa al Sindaco una lettera del Ministero degli esteri dove è detto che il re permette l’accettazione del dono.
Il sarto Giuseppe Giarraffo, sulla barca di padron Natale Cassia, parti per Roma ed il 21 giugno giunse nel porto di Siracusa E la statua raffigurante Archimede ritto e fermo sul piede sinistro in atto di riflessione. La mano sinistra appoggiata ad un cilindro su cui è disegnata una sfera. Nel cilindro sono incise 37 lettere iniziali sulle quali tanti eruditi hanno formulato ipotesi. La statua fu posta nella sala primaria del palazzo del Comune.
Molti ricordano l’evento tramandato. Pare che nel tempo era rimaneggiata, mancante della testa e di una mano. Nessuno, conosce la fine che ha fatto questa statua che in un primo tempo è stata conservata presso il muso archeologico e dopo si è persa ogni traccia.
La storia della donazione venne raccontata minuziosamente da Emanuele De Benedictis nel suo libro Memorie storiche intorno alla città volume III parte seconda capitolo XXXIV cronaca dal 1837 al 1848.
(commento di Matteo Masoli)
CHI E’ ANTONIO D’ESTE
Nacque a Venezia da Liberale nel 1754. Nel 1769 è già documentata la sua presenza nello studio veneziano dello scultore Giuseppe Bernardi, detto il Torretti. Nel novembre dello stesso anno fece la conoscenza di Antonio Canova, allora dodicenne, entrato nella stessa bottega per apprendere l’arte della scultura. Tra i due condiscepoli nacque una reciproca amicizia che costituì il rapporto più importante e più significativo nella vita del D’Este. A Venezia questi frequentò i corsi all’accademia di pittura e scultura. Nell’ottobre del 1773 (o nell’anno successivo), come egli stesso scrisse nelle Memorie di Antonio Canova(ed. Firenze 1864), accompagnò il Canova a Possagno, dove assistette alla creazione della prima opera plastica dell’artista, la statua di Euridice.
A Roma, dove rimase per il resto della vita, il D. giunse nel 1777 al seguito di Giovanni Ferrari, subentrato nella direzione dello studio del Bernardi nel 1774; tra i due si manifestarono presto contrasti che portarono il D. ad abbandonare il Ferrari per entrare nella bottega dello scultore Massimiliano Trombetta (Niero, 1969, p. 30). Nel 1779 si trasferì nello studio di M. Laboureur (dove rimase fino al 1787). In quello stesso anno si sposò con Teresa Arrigoni, come si può dedurre da una sua lettera del 18 ag. 1829 indirizzata a S. Betti, in cui afferma di essere sposato da mezzo secolo (Roma, Bibl. nazionale, ms. A 52,3). Dal matrimonio nacquero i figli Giuseppe (nato a Roma il 19 marzo 1779; Roma, Arch. stor. d. Vicariato, Posizioni matrimoniali 71/1804, VI [notaio Gaudenzi]), che si dedicherà alla pratica dell’incisione sotto la guida di G. Volpato, e Alessandro.
Nel 1787 il D. aprì un proprio atelier nei pressi della chiesa di S. Ignazio, a lato del palazzo Gabrielli Borromeo. A Roma inoltre frequentò gli studi dei più rinomati artisti ed iniziò a collaborare con il Canova, tramite il quale nel 1790 ottenne l’incarico di scolpire una copia dell’Apollodel Belvedere per il re di Polonia Stanislao Augusto, che venne collocata nel castello di Łazieski, dove tuttora si trova (Lorentz-Rottermuna, 1984, p. 257). Nello stesso periodo iniziò a svolgere l’attività di restauratore nei Musei Vaticani, che continuò fino alla fine del secolo (Missirini, 1824, p. 138). Il D. si dedicò particolarmente a questo genere, come testimonia una sua lettera scritta il 18 apr. 1807 a Pier Antonio Meneghelli, in cui affermava di aver seguito la “via del ritratto” ritenendola “la parte meno difficile dell’arte, cosa che lo dimostra tutte le epoche, essendo il ritratto primo a nascere e l’ultimo a morire” (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Epistolario Moschini). Nel 1795 eseguì due busti del Canova, uno dei quali, in forma di erma (se ne conserva un calco in gesso a Roma, palazzo della Cancelleria), venne tradotto in incisione da Pietro Fontana come antiporta del libro di Faustino Tadini, Le sculture e le pitture di Antonio Canova pubblicate fino a quest’anno 1795 (Venezia 1796). Il D. fece dono dell’altro ritratto (inciso da T. Piroli), in cui il Canova compare in abiti moderni, a Possagno, dove, nel 1798, venne collocato nella sagrestia della parrocchiale (attualmente si trova nella sagrestia del tempio canoviano).
Nei primi mesi del 1795 il D. era a Napoli nella duplice veste di direttore dello studio del Canova e di scultore: diresse i lavori di sistemazione del gruppo canoviano diVenere e Adone nella casa del marchese F. M. Berio (attualmente a Ginevra, villa La Grange) ed eseguì numerosi ritratti a tutt’oggi non individuati (D’Este, 1864, p. 83). Frequentò nel contempo esponenti del mondo aristocratico come il conte C. G. Della Torre di Rezzonico e il principe Onorato Gaetani d’Aragona, il quale commissionò allora al Canova tramite il D. il gruppo di Ercole e Lica (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). Di ritorno a Roma, scolpì il busto di Sir John Francis Edward Acton, che gli era stato commissionato a Napoli, dove lo spedì nel mese di settembre (cfr. catalogo Christie’s, Londra, 8 dic. 1981, n. 130). Nella città partenopea venne inoltre invitato “per fare il ritratto di S. M. la Regina, ma le turbolenze generali fecero cangiare di pensiero a S. M.” (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Epistolario Moschini, lettera datata 18 apr. 1807).
Avendo il Canova nel 1795 terminato di scolpire il Monumento Emo (Venezia, Museo storico navale), il D., incaricato dal Senato veneto di farne incidere il conio, ne affidò l’esecuzione a G. Amerani (Venezia, Civico Museo Correr). Nel 1796-97 scolpì, per la chiesa di S. Marco in Roma, la stele in onore di Leonardo Pesaro, figlio di Pietro Pesaro, ambasciatore della Serenissima nella città papale, morto nel 1796 (Pavanello, 1990, p. 22). Nel 1798 eseguì un ritratto di profilo del Canova, che venne tradotto in incisione da P. Bettelini (nei primi anni dell’Ottocento ne scolpirà un altro pressoché identico, inciso da R. Morghen nel 1805, identificabile, secondo l’ipotesi di Pavanello, 1990, p. 17, nel marmo del Museo nazionale di Cracovia).
Nei primi giorni del maggio 1798, in seguito alla partenza dell’amico da Roma, il D. dovette assumersi “interamente sopra di sé lo studio del Canova, giacché non più si trattava di semplice direzione e consiglio, sibbene doveva prestarvisi a tutt’uomo, e negligentare i propri interessi” (D’Este, 1864, p. 94). L’anno seguente diede prova di totale dedizione al celebre scultore, rifiutando l’incarico che gli veniva offerto il 19 luglio dalla Repubblica francese di “esercitare l’ufficio di scultore, e direttore dei ristauri dei monumenti antichi”, per non abbandonare lo studio e gli interessi dell’amico (D’Este, 1864, p. 97). Al ritorno a Roma del Canova (novembre 1799), chiuse il proprio studio in S. Ignazio, riservandosi “un piccolo locale nel vicolo sterrato delle Orsoline” (ibid., p. 102). Da questo momento entrò stabilmente a lavorare nello studio dell’amico in qualità di direttore e amministratore (i documenti relativi si conservano nell’archivio del Centro studi canoviani a Possagno). Fra gli altri incarichi, egli doveva scegliere direttamente nelle cave di Carrara i marmi destinati allo scalpello del Canova. Durante i ripetuti soggiorni a Carrara “elevò la pianta topografica di quelle miniere: descrisse l’uso del marmo lunense fatto dagli antichi popoli d’Italia; rilevò i classici monumenti in quel marmo lavorati, e sviluppò tutto ciò che le di lui artistiche cognizioni poteano suggerire, dirigendo le sue memorie al Canova, ad Ennio Quirino Visconti, e ad altri distinti soggetti” (ibid., p. 43).
Di questo periodo, ma di incerta datazione, sono un’erma in gesso di Giovanni Volpato (Possagno, Gipsoteca); un’altra in gesso, del senatore Antonio Renier (la cosiddetta erma perduta nella prima guerra mondiale; cfr. Muñoz, 1924-25, pp. 118 s.; Malamani, 1911, p. 14) e, su commissione della famiglia Widmann di Venezia, un bassorilievo in marmo con la Deposizione (ora all’Art Institute di Chicago), copiato da un gesso del Canova (Missirini, 1824, p. 108). Quando nel 1802 Pio VII nominò il Canova ispettore generale delle Belle arti in tutto lo Stato pontificio con sovrintendenza ai Musei Vaticano, Capitolino e all’Accademia di S. Luca, lo scultore affidò al D. e ai figli Alessandro e Giuseppe la sistemazione del Museo Chiaramonti. Nel 1803 il D. scolpì il Sarcofago del cardinale Carlo Rezzonico, già arciprete del Laterano (1780-1799), che venne collocato nella cappella del Crocefisso nel transetto della basilica di S. Giovanni in Laterano. Di forma classicheggiante, il semplice monumento è arricchito da un medaglione sorretto da geni con il ritratto in profilo del cardinale.
Nello stesso anno eseguì, “secondo l’invenzione e direzione del Canova” (Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Epistolario Moschini, lettera datata 18 apr. 1807), un bassorilievo raffigurante il Beato Gregorio Barbarigo nell’atto di distribuire l’elemosina per l’altare della seconda cappella a sinistra nella chiesa di S. Marco in Roma. Nel 1805, aiutato dai figli Alessandro e Giuseppe, portò a termine il riordino del Museo Chiaramonti, di cui assunse, insieme con Alessandro, la direzione. Nel 1807 collaborò con il Canova agli scavi archeologici lungo la via Appia, sui quali stenderà una relazione (pubbl. in Guattani, III, pp. 135-139). Nell’autunno dello stesso anno accompagnò l’amico a Napoli. Sempre nel 1807 venne nominato conservatore dei Musei Vaticani alle dipendenze del Canova, carica che il D. ricoprì anche negli anni dell’amministrazione francese (1809-1814) e nel corso della breve parentesi napoletana (gennaio-maggio 1814). Eletto il 4 giugno 1808 socio onorario della R. Accademia di belle arti di Venezia, nel 1810 fu accolto nell’Accademia di S. Luca a Roma, di cui diventò successivamente consigliere e censore per la classe di scultura. Nel 1811 gli venne affidato l’incarico di conservatore delle pitture vaticane (D’Este, 1864, pp. 438 s.). Il 6 apr. 1814 fu nominato dal prefetto del dipartimento di Roma membro della commissione incaricata di procedere alla verifica degli oggetti farnesiani appartenenti al re di Napoli (Arch. stor. dei Musei Vaticani, 1814-1825, Corrispondenze diverse, cartella IX, fasc. 1, n. 19). Con la restaurazione pontificia il D. diventò direttore dei Musei Vaticani, mentre il figlio Alessandro fu nominato sottodirettore (Ibid., Organizzaz. e affaridei Musei, cartella VII, fasc. 2, n. 16; le nomine ufficiali risalgono rispettivamente al 10 aprile e al 10 giugno 1815; cfr. Pietrangeli, 1985, p. 126, nn. 68 s.).
Egli continuò nel frattempo la sua attività di scultore. Per la casa veneziana del conte L. Cicognara eseguì due vasi ornamentali copiati dall’antico: il primo nel 1807 e il secondo nel 1809 (Cicognara, 1823, p. 130). Nel 1808 scolpì un busto delCanova per il conte Pezzoli di Bergamo (Guattani, III, p. 139) e, due anni dopo, un altro busto dell’artista per Gioacchino Murat (Napoli, Museo nazionale). Nel 1810 eseguì il ritratto di Pietro Lupi (Roma, Museo di Roma); nel 1812 i busti del Baronee della Baronessa Daru (Montpellier, Musée Fabre) e, molto probabilmente nello stesso anno, l’Autoritratto che, nel 1839, venne donato dal figlio Giuseppe all’Accademia di belle arti di Venezia (ora alle Gallerie dell’Accademia). A partire dal 1815 iniziò a scolpire, per incarico del Canova, una serie di ritratti di personaggi illustri destinati al Pantheon di Roma (dal 1820 nella Protomoteca capitolina): le erme di Andrea del Sarto e Giambattista Piranesi (1816), di Girolamo Tiraboschie di Alessandro Verri (1817), di Annibal Caro (1818). A tale serie si aggiungerà nel 1825 il ritratto “ad vivum” di Leone XII, scolpito dal D. su commissione degli arcadi.
Il 7 ag. 1816 il Canova, presidente della commissione consultiva allora creata per controllare e arginare l’esportazione di opere d’arte dallo Stato pontificio, nominò il D. consulente.
A partire da questi anni le cariche onorifiche di cui venne insignito via via si moltiplicarono. Il 22 marzo 1817 venne nominato membro onorario dell’Accademia romana di archeologia; il 7 novembre socio onorario della R. Accademia di belle arti in Carrara; il 14 nov. 1829 membro dell’Arcadia con il nome di Euforbo; il 12 agosto 1830 socio onorario dell’Accademia di lettere, scienze ed arti economiche della Valle Tiberina Toscana (Bibl. ap. Vaticana, Deposito, B. 291, collocazione provvisoria).
Dopo la morte del Canova (13 ott. 1822), che a suggello dell’amicizia per il suo fedele collaboratore ne aveva modellato fra il 1820 e il 1822 il ritratto (cfr. Pavanello, 1976, n. 344), il D. cominciò a scriverne la biografia. Uno dei motivi che lo indussero a tale impresa fu la pubblicazione nel 1824 del volume di M. Missirini Della vita di Antonio Canova, da cui emergeva una figura dell’artista possagnese molto diversa da quella da lui conosciuta. Il D., con il suo memoriale, si proponeva così di tracciare per iscritto, dopo averlo fatto tante volte nel marmo, il vero ritratto dell’amico. L’importante lavoro (Memorie di Antonio Canova) uscì postumo a Firenze nel 1864, a cura del nipote Alessandro D’Este.
Tra le sue ultime opere si segnalano in particolare due gessi: una statua di Tito Livio, modellata nel 1825 (donata nel 1837 alla città di Padova dal figlio Giuseppe e attualmente conservata nel liceo classico “Tito Livio” di Padova), e un’altra, molto probabilmente dello stesso periodo, di Archimede (Siracusa, Museo nazionale).
E di questa scultura che dovrebbe essere nel museo di piazza Duomo nessuno sa più nulla.