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SOCI POCHISSIMI E DOPO 600 ANNI FU COSTRETTA A CHIUDERE LA “SOCIETA’ DEI NAVIGANTI”

Le guerre mondiali diedero alla Società il colpo fatale: i marinai, da pacifici mercanti divennero guerrieri, protagonisti di tante vicende belliche.
Il naviglio si assottigliò notevolmente e tanti uomini sacrificarono la loro vita. Anche in queste tristi vicende, i naviganti di Siracusa diedero prova del loro forte senso del dovere e del loro coraggio. Si racconta che durante la seconda guerra mondiale, il cap. Giuseppe Midolo, armatore del m/v “Eraldo” avvistò nelle acque di Capo Spartivento, presso Cagliari, un sommergibile inglese e l’affrontò per speronarlo, costringendolo alla fuga. Tutto l’equipaggio, per questo atto di eroismo, fu encomiato e decorato al valore.
Durante il periodo della ricostruzione postbellica, i superstiti marinai si riorganizzarono recuperando, ove possibile, i loro natanti affondati o danneggiati. Costruirono, così, una piccola flotta di barchette chiamate “pellezzare” ad indicare le riparazioni di fortuna fatte a questi natanti: le vele furono recuperate da vecchi teloni di camion, da tende militari, da paracadute; per gli alberi furono utilizzati i pali telegrafici; i motori ausiliari furono sostituiti da quelli dei camion e dei carri armati.
Furono proprio le “pellezzare” ad avviare un intenso traffico di contrabbando tra Malta e Siracusa che servì, soprattutto, a risollevare le sorti della Società.
Nel 1948 ancora una volta i naviganti siracusani diedero prova del loro spirito di avventura e del loro coraggio, assumendosi, in tutta segretezza, la responsabilità di una missione difficile ma di alto valore morale: tale missione prevedeva che si salvassero centinaia di profughi ebrei raccolti nelle coste della Tripolitania e che, clandestinamente, si trasportassero nel litorale siracusano per poi essere avviati a Roma nei centri di raccolta organizzati da una donna ebrea, Ada Sereni. Come ricorda il cap. Giuseppe Rodante, uno dei protagonisti di questa spedizione eroica, pur essendo consapevoli dell’alto rischio per la vita, l’entusiasmo dei naviganti era alle stelle, tanto che si rinvigorì quell’innato spirito marinaresco un po’ sopito dalla inesauribile decadenza della Società. Tutte le operazioni di salvataggio ebbero successo e presto gli ebrei salvati poterono raggiungere la terra di Israele.
C’è però un altro aspetto da esplorare nella storia dell’antica Congregazione Portus Salutis, ed è quella propriamente religiosa e di devozione. La Congregazione costruì, infatti, quale luogo di culto, nel 1596 la chiesa di Maria SS. di Porto Salvo ubicata nei pressi della Porta della Marina. I fondi per la costruzione della chiesa furono totalmente raccolti grazie alle offerte degli esponenti della marineria del tempo: è questa la più alta testimonianza della fede degli uomini di mare i quali manifestavano la necessità di pregare prima della partenza e al loro ritorno e, pertanto, di avere un proprie luogo di preghiera. Nel volume ottavo, pagina 522, degli annali del Capodieci, custoditi nella biblioteca alagoniana, si legge: “Si termina la nuova chiesa della Madonna di Porto Salvo dentro la Marina, dove fuorvi apposta in memoria una iscrizione incisa in marmo sopra la finestra della suddetta Chiesa che guarda il Porte Clemente Vili et Philippo Hispaniorum et Siciliae Reg Catholico, Dei parae Virgini Mariae a Portu Salvo e Divae Marghritae arca traslatae, nautae prosperai navigationem precante, Ecclesiam collato aer> aedificavere, currentibus anno Domini MDLXXXXVI Per molti secoli fu il luogo di culto e di devozione d marinai siracusani. Ma nel 1878, fu venduta al demanio dello Stato per la costruzione della Dogana. Oscure furono le vicende che portarono alla vendita della chiesa anche se in un verbale del 4 Giugno 1872 dove vie discussa la proposta di cedere alla Intendenza di Finanza la chiesa, si legge: “è stato osservato che la Chiesa attui ha bisogno di grandi riparazioni, molto superiori ai me di cui la Congregazione dispone; che la cessione del locale avendo luogo mercè un canone (quindicimila lire del tempo e 950 lire di i
nteresse annuo!), darebbe alla Congregazione l’agio di meglio provvedere a sussidi per confrati invalidi e ammalati “. Alla notizia della vendita e della conseguente distruzione della chiesa, l’Arcivescovo del tempo, mons. Benedetto La Vecchia protestò animosamente sottolineando che “i luoghi sacri son fuori commercio, d’ogni umano possesso, dominio o proprietà ” e, pertanto, “il giure ecclesiastico concede ai fondatori di Chiese il diritto onorifico del patronato, ma non riconosce in essi alcun diritto di proprietà”. La protesta non fu ascoltata e, anzi, fu subito ribattuta con una lettera dell’Intendente di Finanza dove ricorda all’Arcivescovo che altre chiese furono alienate in passato e che la Congregazione avrebbe continuato a praticare il culto in altra chiesa.
Negli annali del Capodieci, inoltre è scritto che nella chiesa di Porto Salvo vi era una cappella “in cui vi si conserva una antichissima Statua di legno di S. Lucia V. e M. che soleasi portare dal Senato in processione fuori le mura pria del farsi quella di argento “.

Statua lignea di Santa Lucia, custodita nella chiesa di Santa Maria della Consolazione a Belvedere, nella quale i naviganti hanno sempre visto la loro “antichissima Statua di legno di S. Lucia V. e M. che soleasi portare dal Senato in processione fuori le mura pria del farsi quella di argento” (Foto Daniele Aliffi).

Inconfutabile, dunque, la presenza della statua di legno di Santa Lucia nella chiesa di Porto Salvo: eppure nessuno vuole riconoscerne i diritti di proprietà. La statua, infatti, andò smarrita, insieme a tutto il corredo, paramenti ecclesiastici e il magnifico gonfalone donato ai marinai nel ‘400 dalla Regina di Spagna, come giusto riconoscimento del salvataggio di una nave spagnola all’imboccatura del porto. Mentre per il gonfalone le ricerche non hanno condotto a nulla di concreto, quelle per la Statua lignea di Santa Lucia hanno condotto alla chiesa di SS. Maria della Consolazione a Belvedere. L’archivio della società è andato quasi completamente distrutto e non è stato possibile, pertanto, dimostrare la proprietà della statua da parte dei naviganti. Di contro i parroci che si sono susseguiti alla chiesa di Belvedere non hanno saputo dare notizie circa la provenienza della statua stessa.

La Società di Mutuo Soccorso fra i Naviganti di Siracusa è ormai alla fine della sua lunga e travagliata “storia di mare”. Gli ultimi soci superstiti (Giuseppe Rodante, Francesco Castagnino, Antonio Randazzo, Domenico Incardona, Francesco Saccuzzo, Gino Valentino) sono gli eredi di questa indimenticabile tradizione che, per mancanza di fondi e di soci che possano far rinascere la società, hanno deciso di donare alcuni oggetti, gelosamente custoditi, all’Istituto Tecnico Nautico di Siracusa e, il 30 settembre 1997, di chiudere, dopo 600 anni, la Società stessa. Dal verbale di chiusura (n. 120 del 30-09-97) si leggono amare parole di commiato: “Si chiude… per l’impossibilità di poterci autonomamente sostenere nel pagare la pigione del locale… per il miserevole numero dei soci. Ci coglie un grande imbarazzo e dolore, per essere noi, gli ultimi discendenti e superstiti, ad essere protagonisti di tale triste evento”. Ma la Società dei Naviganti, sottolinea l’avv. Corrado Piccione, non può per suo statuto (art. 72 dello Statuto della Società di M.S. fra i naviganti di Siracusa, 1892) essere sciolta “nemmeno per volontà della maggioranza”. Essa, allora, proseguirà nominalmente nell’ambito dell’Istituto nautico ove vengono riposte, da parte dei superstiti, le ultime speranze di una futura rinascita.