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ANCHE OGGI NELLA BAIA DEGLI DEI IL RICORDO DI UN UOMO LIBERO E’ LA CICATRICE DI MARINA DI MELILLI

Nella Baia degli Dei, Salvatore Gurreri vive nel ricordo di un uomo libero. Una amara realtà che continua ad essere sotto gli occhi di tutti.

Quel che si dimentica, è come se non fosse mai successo, ma una storia non può cadere nell’oblio collettivo perché il tempo incede inesorabilmente, ne’ si può far finta di nulla perché lo scempio, il degrado, il deturpamento, il sudiciume, le malattie sono davanti agli occhi di tutti. Io ero un vanto nell’isola, una bellezza solitaria, un mare glauco, una spiaggia immensa con sabbia fine e bianca e tante conchiglie che mi facevano compagnia. Sentivo voci di genti, schiamazzi, i rombi delle gilere e dei ducati. I primi joubox risuonavano con il tormentone dell’estate e i ragazzi, reduci del ’68, dormivano con le stelle e volevano cambiare il mondo a suon di chitarra. Ho visto sguardi di bellimbusti con i capelli a spazzola e sigaretta in bocca, appoggiati ai pali per ore solo per vedere passare le ragazze in  minigonna. E ‘u zu  Paolino con l’Ape  a vendere i gelati per cinquanta lire.  Aria di cambiamento, si respirava! Io, la Baia degli dei, così mi chiamavano, a Funnucu Novu. Sono diventata una pattumiera. La più sporca. Puzzolente. Laida. Lercia. Nelle viscere custodisco veleno, il più velenoso, il più tossico e si sono ammalati tante creature, figlie di un Dio minore del progresso. Altre non sono riuscite neanche a vedere la luce. Sono stata violentata, stuprata e tutti sono stati a guardare. Io, vittima senza possibilità di appello e con tanti  testimoni a guardare intrigati nei malaffari e nelle  tangenti che circolavano spudoratamente. Piano piano tutti se ne sono andati e sono rimasta sola con il mio lordume.

Il progresso nella provincia siracusana si caratterizza e si identifica con la nascita delle prime industrie che inizialmente sono state accolte come una manna dal cielo in una terra prevalentemente contadina. Tutti ambivano a un posto alla Rasium, alla Sincat, all’Eternit che risultavano essere paladine di un mondo alternativo a quello conosciuto. Silenziosamente cominciarono a inghiottire famelicamente, a fagocitare tutt’intorno. Hanno cominciato ad espropriare e a convincere  la  gente a lasciare la propria casa, il loro mare, le loro radici  per quattro soldi o con in cambio altre abitazioni  nella nascente Priolo, perché volevano divorare tutto. In nome del progresso, l’industria doveva avanzare e  non poteva fermarsi per fare  i suoi sporchi affari. Piovvero soldi, tanti e anche mazzette, tante mazzette, perché quel luogo era un luogo da colonizzare, sfruttare, dissanguare. Tutti lasciarono la propria casa. Tutti, pedissequamente con abnegazione. Tutti tranne uno. Salvatore Gurreri.

Il Gurreri, un tipo tosto, che sapeva il fatto suo, pasta antica, di certo non un don Abbondio. Aveva sentito odore di inganno, di falsità e aveva fatto scappare a gambe levate coloro che si presentavano per invogliarlo a vendere la propria casa, in nome della modernità. A tutti disse no. In poco tempo vide il suo paesello spopolarsi. Affacciato alla sua finestra, scrutava, forse anche con qualche lacrima agli occhi,  le  macchine dei suoi vicini con i bagagliai zeppi di roba andare via. Uno ad uno, tutti andarono via. Rimaneva  solo lui, imperterrito. E intanto si accorgeva che il suo mare non era più blu, vedeva la moria dei pesci che si trascinavano fino a riva, vedeva la schiuma nell’acqua e il fetore che ne usciva. Ma il suo no fu irremovibile e mai si piegò ai soprusi che venivano fatti a lui e alla sua proprietà. Ricevette minacce, intimidazioni, soperchierie, vessazioni. Il suo fu un no per sempre. Il suo no però l’ha pagato con la vita. Fra il 12 e il 13 giugno 1992 fu trovato morto incaprettato dentro la sua Alfa Romeo. Una palese uccisione a firma mafiosa. Aveva vinto la criminalità. Salvatore Gurreri, l’ultimo abitante di Marina di Melilli sarà sempre vivo nei ricordi di ciascuno perché il suo coraggio di uomo libero sia d’esempio. Il potere oligarchico non deve mai subentrare a una res publica, ne’ tanto meno la logica dissacrante del vile denaro può comprare l’onestà. Spesso l’aletheia si nasconde, ma presto tardi emerge, sempre,  e qualcuno la deve  gridare  forte al mondo, anche se sordo. Marina di Melilli è una cicatrice che rimarrà ancora per molto tempo a testimonianza di una civiltà corrotta, volta solo al tornaconto personale.

Graziella Fortuna