Politica

LA STORIA DI EMANUELE GIARACA’, UN GRANDE SIRACUSANO CHE FU EDUCATORE, ARTISTA E POETA

La nascita di Emanuele Giaracà e la parentela spirituale col Chindemi

Emanuele Giaracà ebbe con il Chindemi , come abbiamo già detto, una stretta parentela e un’intima corrispondenza di poetici sensi

Infatti Emanuele Giaracà , nato nel 1826, era figlio di una sorella di Salvatore Chindemi, Carmela, andata in sposa in seconde nozze con Salvatore Giaracà, figlio di Angelo Giaracà.

Non solo, ma essendo Emanuele rimasto orfano da ragazzo, Salvatore Chindemi si può dire che gli fece anche da padre, da maestro, da consigliere.

E il Giaracà fu sempre riconoscente all’illustre zio e tra le sue opere , alcune sono di notevole importanza proprio per dimostrare la grande devozione che il nipote aveva per lo zio Salvatore Chindemi.

Appena finita vittoriosamente la II Guerra d’Indipendenza, scoppiata la rivolta a Palermo il 4/41860, sbarcati Garibaldi e i Mille a Marsala l’11/5(1860, lasciato il Piemonte, con numerosi altri compagni esuli, per ritornare in Sicilia , giunto il Chindemi a Palermo, dove il Comitato Siracusano, di cui egli era considerato sempre il capo, decise di inviargli un messaggio di congratulazioni.

Fu proprio il nipote Giaracà, che, oltre a stendere il messaggio ufficiale di congratulazioni, volle comporre per lo zio una lirica di ben 215 endecasillabi. Altra testimonianza di grande devozione per il grande zio Emanuele Giaracà l’abbiamo ovviamente nell’opera storica che egli scrisse sulla vita dello zio: “ Il prof. Chindemi e le memorie storiche di Emilio Bufardeci ” edito con i tipi della Tipografia Pulejo, Siracusa 1869

Giudizio lusinghiero espresso su Giaracà dal Chindemi

La stima che Emanuele Giaracà nutriva per l’illustre zio, di cui emulava sia lo spirito di libertà e di correttezza, sia il grande amore per la cultura e per la poesia, sia ancora l’attaccamento alla propria terra e alla patria, era contraccambiato da Salvatore Chindemi, che amava il nipote

come un figlio e gioiva vedendo che egli era il perfetto continuatore del suo pensiero, del suo comportamento, della sua vasta cultura e della sua arte.

Tra i tanti documenti che lo attestano, c’è soprattutto una lettera che il Chindemi gli scrisse l’11 ottobre del 1859, in cui, fra l’altro, riferendosi alle poesie dal Giaracà pubblicate all’indirizzo dei giovani delle città siciliane, per esortarli all’amore della patria, espone il suo lusinghiero giudizio sul valore artistico del giovane poeta:“ … Riguardo, poi, ai giudizi letterari, ti lodo ancor di più per la bellezza della forma, stile facile, disinvolto, benchè fatigato, ch’è gran pregio, limpida frase, lingua pura ed elegante, e per quella difficile facilità che è virtù grandissima, e sì rara ai dì nostri. Insomma sono contento di te, dei tuoi progressi letterari”

Dalla critica letteraria passava quindi alla considerazione sulle condizioni economiche e di lavoro in cui versava il nipote, esortandolo tuttavia a perseverare nell’arte e nell’abnegazione per il bene della gioventù: “ Ma…ma… che puoi fare se t’incoraggio? Devi pensare a vivere, a sostenere una famiglia, e la professione improba, difficile, faticosissima che oppila, emunge, prosciuga i più profondi intelletti non ti rende che scarsi e meschini guadagni, senza le altre difficoltà che in questo stato la vita letteraria. T’applaudo di sterili plausi”

Gà nel 1851 Emanuele Giaracà, appena venticinquenne, si era conquistata una così profonda stima nel mondo culturale della città per il suo acuto ingegno, per la bontà d’animo, per l’amore che dimostrava per le lettere e la poesia, ma anche per l’educazione dei giovani, che in lui non trovavano soltanto un maestro di stile ,e soprattutto di vita, che gli furono affidati dei delicati incarichi, quali quello di redigere una coraggiosa circolare segreta da distribuire come programma politico tra i patrioti .

Come lo zio, cominciò da giovanissimo a dare lezioni private. E la sua non fu solo lezione scolastica, ma palestra di vita, lezione di spirito libero e solidale, tanto che ben presto la sua casa cominciò ad essere frequentata dai giovani più notabili per intelletto e per moralità.

Se è vero quel che disse Biagio Pascal che il metodo, lo stile, è l’uomo, quello di Giaracà era ritenuto il più valido e seguito anche da chi veniva da fuori perché il professore aveva una carica umana che affascinava chiunque; ognuno sentiva di trovarsi a proprio agio con lui, che non faceva alcuna differenza di ceto e tutti trattava con la stessa cordialità, con la stessa disponibilità, per cui l’imparare da lui era un vero piacere.

L’insegnamento non era mai per lui fine a se stesso

L’insegnamento , la cultura, l’arte, per Emanuele Giaracà non erano fini a se stessi.

Dallo zio Salvatore Chindemi aveva perfettamente imparato che non si fa arte per arte, né serve a niente la cultura se non riesce a formare l’uomo.

Tante volte aveva sentito dire dall’illustre parente che a nulla vale saper disquisire con eleganza, sciorinare conoscenze da enciclopedia , esplodere giochi pirotecnici di parole fatte di vento se poi manca l’uomo, se poi non si è persone che abbiano non solo ricchezza di mente ma anche e soprattutto di cuore e di azione.

Era tutta una didattica nuova, che anticipava quella di tanti pedagogisti contemporanei, perché prima d’ogni cosa c’era la persona, alla cui formazione umana, sociale politica, globale egli mirava, facendo leva sull’ascendente di cui godeva su tutti, grandi e piccoli, persone notabili e semplici lavoratori.

Dobbiamo anche dire che oltre ad avere ricevuto tale lezione dallo zio, egli aveva conosciuto un altro insigne docente innovatore: il prof. Giuseppe Xibilia, un uomo che aveva reso ai tantissimi suoi allievi amabile l’applicazione allo studio e all’impegno con il suo modo di fare, di esporre, di vivere.

Egli stesso, dopo che lo Xibilia ebbe a mancare, colpito dal colera nel 1854, volle scriverne una monografia, in cui appunto poneva in rilievo le rare qualità di animo che sublimavano quelle della mente e gli rendevano un prezioso servizio alla delicata missione educativa.

Egli stesso gli riconobbe il merito di avere indicato la nuova via per arrivare al cuore dei giovani e istillare loro i veri ideali, che sono quelli religiosi e quelli della libertà.

Il giudizio che sul Giaracà espresse Raffaele Barbiera

Se Salvatore Chindemi espresse il suo giudizio entusiasta su suo nipote Emanuele Giaracà riguardo l’arte e la poesia, altrettanto entusiasta fu quello di Raffaele Barbiera, che del Giaracà tracciò un breve ma chiaro ed obiettivo ritratto morale mettendo in rilievo le qualità dell’uomo e dell’educatore:

“ Il Giaracà si diede all’insegnamento privato mentre correvano tempi oscuri. Egli non era designato come pericoloso ribelle al pari del Settembrini, ma nutriva sentimenti liberali ed eccitava ad amare il paese natio quando era delitto di morte volergli bene. Per lui, la Patria non era solo la sua Siracusa sparsa di rovine e di memorie antiche, non era la Sicilia, ma tutta l’Italia; e tale sentimento è notevole in un Siciliano e di allora, poiché le barriere erano alte fra regione e regione, e una men larga idea di nazionalità sedeva in non pochi cervelli… Il Giaracà esercitò nella sua città natia un’influenza patriottica e letteraria salutare. Noi non ne teniamo mai conto e forse il Ministro della Pubblica Istruzione non ha pensato nemmeno lui, quanto influenza un professore animoso, dotto, amato, può esercitare sulle generazioni. Ho detto generazioni e mantengo la parola. Vi sono professori che, fermi al loro posto, si son visti passare davanti due, tre generazioni e in ognuna di esse hanno lasciato la lucida loro impronta. Vi sono umili professori di liceo che hanno esercitato più influenza sulla pubblica istruzione e su qualche cosa di più importante e di più alto dell’istruzione pubblica che qualche mezza dozzina di rumorosi ministri. Nature semplici, cuori retti, che odiano i clamori e senza ambizioni si spesero e si spendono tuttavia per i giovani. Napoleone I ha detto che i grandi uomini sono come le meteore del cielo, le quali si consumano per illuminare la terra: si potrebbe dire, certi maestri, come Giaracà, sono lampade che si consumano per accenderne altre.”

Nel 1861 quando l’Accademia di Studi di Siracusa divenne Ginnasio, il Giaracà fu chiamato ad insegnarvi come incaricato; poi divenne reggente e nel 1865 titolare, Vi insegnò storia e italiano fino a quando il Ministero non lo nominò preside dello stesso Ginnasio Liceo nel 1877. Egli fu eletto anche consigliere comunale e partecipò a tutte le più importanti decisioni prese in quel consesso fino al 1880. Si spense prematuramente, a soli 55 anni, tra il compianto di tutti il 5 gennaio 1881. A lui fu dedicata anche la biblioteca del Liceo Scientifico “Orso Mario Corbino” e Paolo Rio, il più prestigioso preside che abbia avuto quella scuola, poeta, autore di numerose raccolte di liriche, giornalista forbito, ne volle scrivere anche una biografia.

Arturo Messina