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LUCIA ACERRA: VI RACCONTO TUTTO SULLE LATOMIE, LE ANTICHE CAVE VOLUTE DAI GRECI

Le Latomie erano antiche cave create dai Greci giunti a Siracusa da dove estraevano il materiale lapideo necessario alla costruzione della città. Erano dodici in tutto ma le più note ed importanti sono otto.

Le Latomie di Siracusa con la loro posizione da Est ad Ovest, delimitano il confine della città abitata di cui rappresentavano il cantiere di lavoro per l’estrazione del materiale di costruzione. Si dividono in tre tipi:

A taglio superficiale

A scopo difensivo

Le grandi latomie del periodo classico a sfruttamento continuativo.

Le latomie di superfice, a taglio superficiale delle rocce sfruttavano soltanto piccole balze e sono sparse un po’ dovunque.

Le latomie a scopo difensivo si scavavano dei fossati o si faceva scendere a picco il basamento della muraglia esterna (Castello Eurialo).

Le grandi latomie a sfruttamento continuativo erano cave ad utilizzo intensivo.

Latomia dei Cappuccini è la prima e la più grande, si trova presso l’omonimo largo tra via Politi Laudien, via Puglia e via Delfica. Lo storico Capodieci ci dice che anticamene era chiamata “del Palombino”, poi Silva dei Cappuccini perché donata ai Frati nel 1582, sopra la quale edificarono il loro convento fortificato e la chiesa di “Santa Maria dei Pericoli”.

Latomie Broggi-Casale, poste tra l’inizio di viale Tica e via del Casale, prendono nome dai proprietari, sono tre cave distinte tra loro, messe in comunicazione da gallerie.

Cozzo del Romito e Navantieri per l’espansione edilizia della zona sono quasi scomparse, se ne hanno alcune tracce nelle proprietà esistenti.

Latomia Carratore, chiamata così dal nome dei proprietari, negli Atti notarili è denominata “Latomiuncola di S. Venera, contrada Fegotto”. Vi si accede da viale Teracati tramite un’ampia scala. Caratteristica di questa cava è il suo utilizzo in epoca cristiana quale sepolcreto di molte famiglie come dimostrano i vari ipogei che si aprono in tutte le pareti.

Latomia S. Venera, posta tra la Necropoli Grotticelle e l’Anfiteatro romano vi si accede dal viale Augusto. Secondo il Capodieci il suo nome deriva dall’antica chiesetta di cui non rimane alcuna traccia.

E’ la latomia archeologicamente più importante specie nella parte terminale in direzione di viale Teracati e della salita d’Ambra. Due sono le voragini che si distinguono: l’Intagliatella e S. Venera. La prima veniva anche detta di S. Martino perché proprietà dell’omonima parrocchia di Ortigia per lascito di una nobile famiglia ai suoi parroci. E’ divisa in due zone da un grosso pilone centrale. La più vasta confina con la S. Venera, l’altra con quella del Paradiso.

 La seconda cava, la vera e propria latomia S. Venera è quella più importante dal punto di vista archeologico vi si distinguono tre zone:

La prima è caratterizzata dall’enorme Ficus più alto delle pareti rocciose. Nella seconda nonostante la folta vegetazione si notano numerosi incavi rupestri. Attraverso uno stretto varco si passa nella terza zona

La terza contiene la così detta Tomba di Archimede. La latomia dovette servire come luogo di culto.

Latomia del Paradiso, si trova nei pressi del Teatro Greco tra viale Paradiso e viale Rizzo. E’ una latomia molto vasta, il lato più alto è quello di Nord-Ovest sulla grotta dei Cordari che raggiunge i 47 metri sul livello del mare. La maggior parte della latomia del Paradiso doveva essere coperta come si può notare dal pilone centrale alto 35 metri.

Latomia del Buffalaro posta in prossimità delle mura di Epipoli viene anche indicata come “latomia del filosofo”, probabilmente alterazione del nome del poeta Filosseno, che secondo Eliano vi fu rinchiuso per volere di Dionigi.

 Era l’anno 734 a.C. e Archia, venuto da Corinto, fondava Siracusa, quella colonia greca che nel corso dei secoli sarebbe divenuta la metropoli della Magna Grecia e rivale di Atene e di Roma. Per la sua felice posizione naturale, bagnata dal mare, ricca di sorgenti d’acqua, con un suolo fertile, la città ben presto si estese dall’isola di Ortigia alla terraferma fino a diventare una pentapoli per la cui costruzione il materiale veniva estratto dalle balze rocciose di calcare bianco che caratterizzavano il suo territorio alle pendici degli Iblei. Ma il duro lavoro di “cavatore” non era ben accetto perché faticosissimo per cui ai pochi che lo praticavano furono affiancati gli schiavi e i prigionieri.

Le latomie erano collocate a ridosso della balza rocciosa che delimita il piano dell’Epipoli e rappresentavano le cave da cui si estraeva la pietra per la costruzione degli edifici cittadini. Si vuole che nelle latomie abbiano lavorato anche i Cartaginesi catturati nella battaglia di Imera del 489 a.C., quando Annibale Barca fu sconfitto da Gelone, tiranno di Siracusa.

Eliano scrive che i cavatori dimoravano nelle latomie per lungo tempo, trascorrevano l’intera vita con le mogli e i figli che ivi nascevano. E’ interessante conoscere la tecnica adottata dai cavatori per estrarre i blocchi di calcare. I segni delle incisioni sono ancora visibili in alcune pareti. Segnato il perimetro del blocco, che aveva la forma di un parallelepipedo, si inserivano nel suo perimetro dei cunei di legno che bagnati si gonfiavano e avevano la forza di fendere il calcare che quindi veniva staccato dalla base. Col passare del tempo la latomia assume diverse funzioni; da cave di pietra per la loro inaccessibilità, diventano prigioni da cui è quasi impossibile fuggire

Era l’anno 412 a.C. e Siracusa, impegnata nella guerra del Peloponneso contro Atene, uscì vittoriosa da un’impresa che le consentì di acquistare prestigio: la sconfitta degli Ateniesi e dei loro alleati nella battaglia navale combattuta all’interno del porto grande. Tucidide, Plutarco e Diodoro scrissero che a seguito di questa vittoria 7000 prigionieri ateniesi vennero rinchiusi nelle latomie. Abbiamo motivo di credere, per la datazione dell’evento, che essi si riferissero proprio alla Latomia dei Cappuccini che è la più grande e la più antica delle dodici latomie esistenti. Questo luogo allora diventa teatro di un’immane tragedia per coloro che vi sono rinchiusi.

Così la descrive infatti lo storico greco Tucidide: “Serrati i ranghi i Siracusani e gli alleati, dopo aver riunito il maggior numero possibile di prigionieri e la più alta quantità di bottino, si ritirarono in città. Tutti gli Ateniesi e gli alleati, presi prigionieri, finirono nel fondo delle latomie ritenute il carcere più sicuro”. Nelle cave di pietra il trattamento imposto nei primi tempi dai Siracusani fu durissimo: a cielo aperto, stipati in folla tra le pareti a picco di quella cava angusta; in principio i detenuti patirono la sferza del sole bruciante e della vampa che affannava il respiro. Poi, al contrario, successero le notti autunnali, fredde, che col loro trapasso di clima causavano nuovo sfinimento e più gravi malanni. Per ristrettezza di spazio si vedevano obbligati a soddisfare i propri bisogni in quello stesso fondo di cava e con i mucchi di cadaveri che crescevano lì presso gettati alla rinfusa l’uno sull’altro, chi dissanguato dalle piaghe, chi stroncato dagli sbalzi di stagione, chi ucciso per altre simili cause, si diffondeva un puzzo intollerabile. E li affliggeva il tormento della fame e della sete (perché nei primi otto mesi i siracusani gettavano loro una cotila d’acqua e due di grano come razione giornaliera a testa).

Per concludere non fu loro concessa tregua da nessuna delle sofferenze cui va incontro gente sepolta in un simile baratro. Per circa settanta giorni penarono in quella calca spaventosa. Poi, escluse le truppe ateniesi, siceliote o italiote che avevano avuto responsabilità diretta nella spedizione, tutti gli altri finirono venduti sul mercato come schiavi. Il dato preciso sul numero effettivo dei prigionieri è difficile da stabilire con rigore comunque non fu inferiore a settemila. Questo riuscì l’evento bellico più denso di conseguenze per i Greci, in tutto l’arco della guerra e, almeno secondo il mio giudizio, il più grandioso in assoluto tra i fatti della storia greca registrati dalla tradizione; quello che garantì il maggior trionfo alla potenza vincitrice e inflisse agli sconfitti la ferita più mortale. Disastrose disfatte su tutti i fronti; tormenti di ogni sorte, acuiti dalla spasimo. Fu insomma una distruzione radicale; è proprio questa la parola; e vi scomparve l’esercito, si dissolse la marina, e nulla si riuscì a salvare. E pochi della folla partita un giorno fecero ritorno a casa. Ecco, questi furono gli avvenimenti sul suolo della Sicilia. (Tucidide, Guerra del Peloponneso 7 III° 87)

Nei secoli seguenti la latomia diventa luogo di culto pagano e cristiano, nonché necropoli come ci dicono le varie tombe ancora esistenti. E’ anche testimone dell’invasione degli Arabi che in essa si nascosero quando tentarono la prima volta nell’828 di invadere Siracusa. Il sito riprende la sua importanza nel 1582 quando l’Università di Siracusa concede ai Frati Minori di S. Francesco, i Cappuccini, la balza rocciosa che sovrasta la Latomia per costruirvi il proprio convento fortificato a protezione di questa parte della città che a quei tempi, per la vicinanza del mare, era molto esposta agli assalti dei pirati. Attorno al convento si crea un fossato per superare il quale si costruiscono due ponti levatoi, uno per l’accesso alla chiesa, l’altro al convento. Ai frati viene anche concessa la sottostante Latomia che da loro prenderà nome e per merito loro diventerà un meraviglioso giardino ricco di piante, di ortaggi e di colture di ogni specie. Naturalmente il sito viene arricchito di cisterne, pozzi e sistemi di irrigazione necessari alle coltivazioni. La latomia divenuta un giardino di delizie incanta i visitatori, specialmente i viaggiatori stranieri del Gran Tour che nei loro scritti la indicano tra le cose più belle che ricordano di Siracusa.

Passa qualche secolo e nel 1866, a seguito della legge eversiva della confisca dei Beni ecclesiastici che il nuovo Stato italiano promulga per impinguare il proprio patrimonio, la Latomia e il Convento vengono confiscati, diventano proprietà demaniale e passano all’Amministrazione comunale di Siracusa. Il giardino viene prima dato in affitto alla Signora Laudien proprietaria dell’hotel Villa Politi, poi è gestito dall’Azienda Provinciale per il Turismo che realizza il grande teatro dove verranno rappresentati spettacoli di prosa, di musica leggera e lirica. Da documenti d’archivio sappiamo che il teatro fu chiamato “Teatro di verdure” e che poteva contenere 1700 spettatori. Durante le Rappresentazioni Classiche era consuetudine per gli attori protagonisti delle tragedie, recitare alcune sere nel teatro della Latomia.

Fino agli anni ’70 la Latomia fu curata ed usata, poi nel 1969 per la pericolosità rilevata in una parete rocciosa venne chiusa dalla Soprintendenza in attesa di eseguire i necessari lavori di consolidamento. Dopo 35 anni, nel 2004, la Sezione di Siracusa di “Italia Nostra”, avendo saputo dai responsabili della Soprintendenza che i lavori di restauro erano stati ultimati ormai da parecchi anni, chiese all’Amministrazione comunale del tempo, presieduta dall’On. Giambattista Bufardeci, che prontamente acconsentì, di averla in affidamento per diffonderne la conoscenza e tutelarne la conservazione. Si iniziò allora il difficilissimo lavoro di ripristino degli accessi ostruiti da pareti di rovi alte 5 metri e dal materiale vegetale caduto a terra e il non meno difficile problema del suo trasporto in superficie poiché la latomia si trova a 30-40 metri dal livello stradale. Per la costanza e l’impegno di poche persone desiderose di restituire alla città uno dei siti archeologici più suggestivi, l’impresa che sembrava impossibile fu portata a termine. In 2 anni si ripulirono i 23.000 mq di superficie, si resero agibili i percorsi delimitati dalle staccionate e si poté riaprire il sito al pubblico.

Tutto questo è durato 10 anni e nel sito si sono realizzati splenditi spettacoli nel piccolo teatro della grotta per il quale assieme all’Associazione “Lighea” di Francamaria De Monti si è realizzata ogni estate la rassegna “Latomiarte” che ha visto la presenza dei più bei nomi del teatro di prosa contemporaneo con appuntamenti quindicinali attesi dal numeroso pubblico che gradiva gli spettacoli e soprattutto l’atmosfera incantata che solo quel luogo sa creare.

Con i giovani Narratori di Italia Nostra veniva realizzata tutti gli anni la “Passio crucis”, spettacolo lirico musicale anch’esso di grande suggestione. Ma il culmine del successo si ebbe con la rassegna “Latomia sotto le stelle” che consisteva nelle narrazione della storia della latomia accompagnata dall’ esecuzione di brani musicali in un percorso itinerante con soste nei punti più suggestivi.

Ma come spesso accade nelle nostra città, l’Amministrazione nel 2014 decise di non rinnovare la concessione all’Associazione e il 30 settembre di quell’anno ebbe fine questa bellissima esperienza ricordata ancora da tutta la città. All’Associazione la soddisfazione di avere gestito nel migliore dei modi il sito, con continui interventi manutentivi delle pareti rocciose per i quali era incaricata una ditta specialistica di Catania che rendeva sicuri i percorsi per i visitatori. Ora, la latomia è chiusa e tutto il lavoro di riordino e di ripristino è andato perduto. Si sa che è stata inclusa in un megaprogetto già finanziato per il quale sono stati incaricati gli Uffici competenti comunali e questo non ci rassicura affatto e chi sa per quanto tempo passando da lì dovremo vedere quel cancello chiuso

Sull’alto basamento in conci di arenaria esistente alla fine della Riviera Dionisio il grande, una lapide collocata nel 1949, composta da Mons. Ignazio Immordini, ricorda il quarto centenario della venuta dei padri Cappuccini e la dedicazione della chiesa alla Madonna dei Pericoli. Della croce esistente sulla sommità, che si dice colpita da un fulmine, da diversi decenni non rimaneva che la parte inferiore contorta. Nel progetto di rivalutazione dell’area, l’Amministrazione comunale, accogliendo la proposta di Italia Nostra, fece realizzare una copia della croce in ferro battuto su disegno della prof.ssa Pina Cannizzo, riproducente quella originaria, che fu ricollocata nel basamento il 3 luglio 2004.

Questa zona della città è stata sempre caratterizzata dalla presenza della Latomia dei Cappuccini e del Convento e che dopo la confisca dei Beni Ecclesiastici del 1866 subì diverse destinazioni d’uso fin quando nel 1931 poté riprendere la funzione originaria.

La Croce e il basamento si riferiscono alla consuetudine di collocarle in prossimità dei Conventi a ricordo delle Missioni Cittadine, tridui di predicazioni a conforto della fede fatte dai padri predicatori detti Missionari. Andando indietro nel tempo troviamo altre notizie sulla zona in un documento della Soprintendenza del Distretto di Siracusa che ho consultato all’Archivio di Stato: la delibera n. 1071 del 25 febbraio 1847 del Decuriato nella quale si propone l’esecuzione di un progetto per la costruzione di un “pilastro di memoria” da innalzarsi tra le due strade dei Cappuccini e del Camposanto allocato quest’ultimo nell’attuale via Torino. La somma occorrente, di Ducati 103, secondo il progetto redatto dall’Ing. Ignazio Giarrusso su incarico del Sindaco Emanuele Danieli si sarebbe dovuta prelevare dal fondo delle opere pubbliche. Alla richiesta di esecuzione dell’opera sono allegati con data 18 giugno 1846 il disegno dei due fronti del pilastro e il progetto in cui sono minuziosamente indicati i materiali da impiegare e i costi. Per il pilastro doveva essere impiegata “la migliore pietra da taglio dell’Asparano” e la superfice dei quattro lati doveva essere ornata di festoni e da due lapidi in marmo di Carrara.

Non sappiamo se tale progetto fu mai realizzato per cui si può ipotizzare che al posto del pilastro di memoria di così raffinata fattura si sia optato per il basamento in pietra. La mancanza della lapide centrale, malamente divelta, ci impedisce di datare con esattezza la costruzione del basamento la cui collocazione sembra comunque indicare il limite del territorio urbanizzato dopo la costruzione delle due vie per i Cappuccini e il Camposanto. Questa la traduzione della lapide collocata nel basamento come da progetto ideato dalla Sezione di Italia Nostra, in occasione dell’ultimo intervento, composta in latino dal prof. Sebastiano Amato di cui trascrivo la traduzione:

“PER VOLONTA’ DELLA CIVICA AMMINISTRAZIONE QUESTA CROCE DELLE SANTE MISSIONI RICOSTRUITA COME LA PRECEDENTE ANDATA DISTRUTTA, VIENE COLLOCATA SUL BASAMENTO ORIGINARIO PER PERPETRARE NEL TEMPO LA SUA SANTA FUNZIONE A CONFORTO DELLA FEDE

SIRACUSA 3 LUGLIO 2004.

Lucia Acerra