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UN BOVIDE SU LASTRINA CALCAREA, OGGI ESPOSTO AL MUSEO PAOLO ORSI

Nel siracusano troviamo la rappresentazione di un bovide reso in maniera naturalistica, inciso su una lastrina calcarea proveniente dalla Grotta Giovanna, ora esposta al Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” (nella foto allegata). La figura dell’animale è sproporzionata, con la parte anteriore più grossa rispetto a quella posteriore, tale tuttavia da rendere la figura più dinamica, secondo una caratteristica che si ritrova anche nell’arte paleolitica franco-cantabrica. Per questo reperto disponiamo di una datazione assoluta, in quanto proviene da strati datati col metodo del radiocarbonio all’Epigravettiano recente (12.000-10.000 a.C).

All’Epigravettiano finale, anche in questo caso con precisi riferimenti stratigrafici, si data la raffigurazione di un bovide reso in maniera rigida, inciso su una grossa pietra calcarea nella Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo. Tale incisione ci riporta all’ultima fase dell’Addaura, dove troviamo bovidi schematizzati, rigidi, sovrapposti alle figure umane (nella nota rappresentazione variamente interpretata come scena di acrobati o scena di sacrificio umano), e quindi posteriori ad esse. Il bovide di Cala dei Genovesi si data fra il 10.000 e T8.000 a.C: è quindi posteriore alla figura di Grotta Giovanna. Si può dunque osservare un’evoluzione nella rappresentazione delle figure animali da una resa naturalistica ad una resa schematica, così come avviene nell’arte franco-cantabrica (in cui rientra la famosa Grotta di Lascaux in Dordogna, con i cicli più importanti di arte paleolitica in Europa) per cui si ricordano gli studi di Leroi-Gourhan. Lo studioso fa un’analisi sull’evoluzione nella rappresentazione delle figure di cavalli, provenienti da contesti cronologici sicuri, analoga a quella qui riportata per i bovidi: anche nell’arte francese si passa da un modo primitivo di rappresentare l’animale a un momento più evoluto, naturalistico, per poi arrivare a figure rigide; infine si abbandona il naturalismo, per realizzare figure schematiche, simboliche, così come avviene nell’arte italiana. L’arte paleolitica siciliana rientra dunque nel quadro culturale mediterraneo.

Una successiva evoluzione nelle rappresentazioni artistiche vede il passaggio a figure ulteriormente schematizzate, astratte. Si ricorda, a tal proposito, che a Grotta Giovanna sono stati rinvenuti tantissimi reperti con incisioni lineari e nastriformi (nella foto allegata in alto a dx), segni forse simbolici, che sono ricorrenti nelle fasi più tarde del Paleolitico sia in Francia che in Italia e che si trovano anche nel periodo successivo, l’Olocene. Nel caso specifico di Grotta Giovanna ci sembra possibile ipotizzare che i segni ricorrenti di linee ondulate o incrociate siano da riferire alla rappresentazione dell’acqua, che ben si inquadrerebbe in un culto delle acque all’interno della cavità carsica attiva. E’ a questo periodo, ovvero alla cultura mesolitica, che si possono probabilmente attribuire i due ciottoli dipinti con linee e bande parallele, provenienti dalla Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo. Si tratta di un’arte astratta, molto diversa rispetto a quella naturalistica paleolitica, un’arte che è espressione di un contesto culturale nuovo.

Il Mesolitico si colloca nel periodo post-glaciale. Il clima è cambiato, divenendo sempre più simile all’attuale; con esso è cambiata l’economia di sussistenza e di conseguenza l’industria litica: tipica di questo periodo è la tecnica del microbulino per la realizzazione delle cosiddette armature geometriche, punte di freccia molto sottili adatte a colpire soprattutto piccoli animali, ad esempio uccelli. E’ dunque testimoniato per questo periodo l’uso dell’arco. L’economia di sussistenza vede inoltre un incremento delle attività di pesca e raccolta.

Scavi molto importanti per la conoscenza del Mesolitico della Sicilia sono soprattutto quelli di Grotta dell’Uzzo nel trapanese, per la quale si dispone di datazioni al radiocarbonio e di puntuali dati archeozoologici: il Mesolitico della Grotta dell’Uzzo si data fra l’8.000 e il 6.000 a.C. Importanti testimonianze sono poi quelle del Riparo della Sperlinga di San Basilio nel messinese e di Grotta Corruggi nella cuspide sud orientale della Sicilia, per la quale sono stati fondamentali gli studi di Bernabò Brea.

Il territorio di Pachino, in particolare la zona di Grotta Corruggi e Grotta Calafarina, assume una grande importanza in questo e nei periodi successivi. E’ la zona dei pantani, del lago Morghella, una zona umida, sia allora che adesso, sicuramente importante dunque per la caccia all’avifauna. In questo territorio è documentata inoltre la raccolta dei molluschi. Si ricorda che nella zona ad est del lago Morghella è stato individuato un grande villaggio neolitico nel sito di Vulpiglia che ha restituito, fra l’altro, immondezzai con numerosi reperti malacologici a testimonianza della sopravvivenza dell’economia di raccolta. Si tratta dunque di un territorio che riveste notevole importanza anche nelle fasi più tarde della preistoria, caratterizzate da rilevanti cambiamenti, ma anche da una forte continuità culturale.

Lorenzo Guzzardi

Dirigente  Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa