LA PROFESSORESSA LUCIA ACERRA RACCONTA TUTTI I TESORI DELLA SIRACUSA GRECA
Siracusa e i segni della sua storia
La storia di Siracusa è lunga e complessa, fatta di lotte, di calamità naturali e di conquiste; qui i Siculi, i Greci, i Romani, gli Arabi, i Bizantini, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Spagnoli hanno lasciato stratificati e ancora leggibili i segni della loro presenza rendendola una delle mete obbligate per la comprensione della storia della Sicilia e del mondo antico.
“Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande e la più bella delle città greche.
La sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, è inoltre bellissima da qualsiasi direzione vi si giunga sia per terra che per mare e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici. La città è così grande da essere considerata come l’unione di cinque città. Una di queste è l’isola di Ortigia, l’altra è chiamata Akradina, la terza è Tyche, la quarta Neapolis, la quinta è Epipoli”. Cicerone, Verrine II,4,117
LE ORIGINI E LA COLONIZZAZIONE GRECA
La storia di Siracusa è stata in gran parte determinata dalla presenza del mare, dalla forma e posizione del suo territorio e dall’esistenza di numerose sorgenti d’acqua.
I coloni Corinzi guidati da Archia nel 734 a.C. sbarcarono nelle nostre coste e guidati, si dice dall’Oracolo, iniziarono la fondazione della colonia greca che tanta importanza avrebbe acquistata nel corso dei secoli fino a riuscire a competere e sconfiggere la stessa Atene.
Sappiamo che i Greci fondavano le loro colonie in luoghi accoglienti, dotati di insenature naturali adatte al ricovero delle navi e queste caratteristiche erano ben presenti nel nostro territorio ad iniziare da Nord con Santa Panagia e a finire a Sud con i due porti delimitati dall’isola di Ortigia.
Iniziamo la nostra narrazione proprio dalla parte settentrionale della città nella quale possiamo ammirare le testimonianze ancora leggibili di quello che era l’ingresso monumentale alla città greca e le caratteristiche del territorio di Siracusa.
Chi giungeva a Siracusa dalla zona nord poteva ammirare lo spettacolare ingresso della città rappresentato dall’ESAPILON la monumentale porta a sei arcate, a sinistra della quale si trovava la PORTA SCEA (sinistra) ingresso secondario che conduceva alla SCALA GRECA o alla CARRAIA per il passaggio dei carri.
Tutta la parte orientale del territorio di Siracusa è posta sul grande terrazzo di abrasione marina, che da Santa Panagia va lentamente degradando fino alla zona dell’imbarcadero Santa Lucia, il cui processo di formazione ha avuto origine dallo smantellamento della falesia per l’azione erosiva del mare e le fratture provocate dai movimenti della terra sul calcare, risalente al terziario. I blocchi staccati precipitando in mare e premendo sugli strati fangosi hanno favorito la fuoruscita dell’acqua e facilitato la solidificazione in strati sovrapposti ed inclinati che, a seconda dell’età dei cicli di deposito, hanno assunto colorazioni diverse.
Percorso del Syraco
Alla fine di questo terrazzo che delimitava la prima insenatura della costa prospiciente all’isola di Ortigia, adibita sin dai tempi antichi a porto chiamato dai Greci Lakkios e dai Romani Marmoreo, esisteva anticamente una vasta zona paludosa originata dalla foce del fiume Syrako da cui prende nome la città e che era un corso d’acqua a carattere torrentizio il cui percorso è ricostruibile in viale Teracati, via S. Oliveri, viale Teocrito, Santuario, viale L. Cadorna, ex ponte della Madonnina, vicolo II a via dell’Arsenale e che nei periodi di piena allagava un vasto territorio.
L’accumulo dei materiali trasportati dal fiume aveva determinato nel corso dei millenni la formazione di un istmo che univa Ortigia alla palude del Syrako. Questa lingua di terra è esistita fino al 1500 come si può rilevare da documenti redatti da funzionari regi per incarico di Carlo V in vista delle costruzioni delle fortificazioni di Ortigia.
Alla foce del fiume Syrako i Greci posero il primo ponte che collegò Ortigia ad Akradina, secondo quartiere abitato della città, certamente per la brevità del percorso e l’esistenza dell’istmo. I blocchi ritrovati nel fondale ne indicherebbero il tracciato. Dopo la palude del Syrako la costa era bassa e formava la grande baia, antica pianura alluvionale, che costituisce il nostro porto grande. Alla fine del grande arco del porto la costa ridiventa alta e rocciosa e comprende la zona del Plemmirio.
L’isola di Ortigia morfologicamente ha mantenuto quasi gli stessi confini che ha avuto nell’antichità: è intatto il lato Occidentale mentre quello Orientale, esposto all’azione erosiva del mare si è notevolmente arretrato.
La storia della nostra città è legata al mare e luogo simbolo della città è la fonte Aretusa con la sua leggenda che racconta l’amore di Alfeo per la bella ninfa con la quale finalmente poté ricongiungersi proprio in questo luogo.
Il porto grande di Siracusa
La città descritta da Cicerone era stata fondata da Archia di Corinto che giunge nel 734 a.C. ad Ortigia, l’isola adagiata sul mare Ionio, dalla forma di grande uccello da cui deriverebbe il suo nome dal greco antico ortyx, che delimita l’imboccatura del porto grande, antica pianura alluvionale, in cui si versano i mitici fiumi Anapo e Ciane che ricordano le leggendarie ninfe che hanno legato il loro nome alla città.
Il porto di Siracusa tra natura e storia
La meravigliosa insenatura naturale, che costituisce il porto grande di Siracusa, trae origine da un’antica pianura alluvionale ed è delimitata dall’isola di Ortigia e dalla penisola della Maddalena, quella che noi chiamiamo isola perché isola era veramente in era preistorica, come testimonia la sua forma a cuspide, e che è poi divenuta penisola per l’accumulo dei materiali trasportati dai fiumi.
La felice posizione naturale e l’assenza di correnti la resero e la rendono particolarmente adatta agli approdi e proprio per tale caratteristica al suo interno i Greci vi realizzarono fino a sette porti come ci dice Tucidide quando, nel VII libro delle Storie, descrive la tremenda battaglia combattuta tra Atene e Siracusa nel 413 a.C.
Morfologicamente tutto l’arco del porto rappresenta il litorale basso della nostra costa in cui sfociano i fiumi Anapo e Ciane che impaludavano gran parte della costa dando origine alle paludi Lisimelie. Della sua antica condizione la contrada conserva ancora il nome di Pantanelli e la zona umida assieme a quella delle “Saline” è divenuta area protetta assieme al Ciane dopo anni di battaglie delle Associazioni culturali.
Lo scontro tra Siracusa e atene
Divenuta Siracusa la più potente città della Magna Grecia, e vedendo Atene scemare la sua posizione preminente tra le città greche, approfittando di una lotta tra le città di Segesta e di Selinunte, volle intervenire per riaffermare la propria supremazia nel Mediterraneo organizzando la grande spedizione che doveva concludersi con la disfatta dell’armata ateniese per mare e per terra.
Era il 26 luglio del 413 a.C. e all’interno del nostro porto si svolse il primo grande scontro che costrinse gli ateniesi alla ritirata. Ma qualche giorno dopo, il 29 luglio una nuova flotta ateniese di 73 navi si presentò contro i Siracusani che ancora una volta riuscirono a sconfiggere gli attaccanti che rimasero accampati sotto il comando di Nicia. Trascorse un mese e i Siracusani riassettata la loro flotta, erano nuovamente pronti per lo scontro, così quando gli Ateniesi il 27 agosto diedero segno di voler riprendere il combattimento, si mostrarono pronti allo scontro. Ma qualcosa di imponderabile mutò le sorti della giornata, un inatteso e fortuito fenomeno naturale: l’ecclissi di luna che gettò lo sgomento tra le fila degli Ateniesi che lo interpretarono come un cattivo auspicio e si rifiutarono di attaccare. Ma i Siracusani non la pensavano allo stesso modo, anzi approfittando della situazione iniziarono il combattimento che provocò lo scompiglio tra lo schieramento delle oltre 110 navi ateniesi. La battaglia fu cruenta, gli Ateniesi tentarono di fuggire con le navi ma l’ingresso del porto era sbarrato da decine di imbarcazioni, da funi e da catene così che la disfatta fu quasi totale.
Dopo la sconfitta a ovest della città, le truppe ateniesi tentarono la fuga via terra verso sud. Dapprima furono annientate le truppe di Demostene e poi quelle di Nicia presso il fiume Assinaro (Falconara) il 10 settembre del 413, giorno ritenuto poi sacro dai Siracusani che lo celebrarono con le feste chiamate Assinare. Il comandante ateniese Nicia venne ucciso e i prigionieri ateniesi gettati a languire nelle Latomie. La mappa mostra il percorso delle truppe ateniesi in fuga da Siracusa.
le paludi Lisimelie e la bonifica
Durante l’assedio di Siracusa da parte degli Ateniesi nel 414 a.C. l’esercito comandato dal generale Nicia venne decimato dalla malaria; la stessa sorte toccò ai Cartaginesi che nel 395 a. C. si erano accampati nei pressi della palude. Sfruttando tale situazione il tiranno Dionigi non ritenne di cingere di mura questa parte della città, come aveva fatto per il resto della Pentapoli.
L’opera di bonifica della palude iniziò nel 1875 con l’utilizzo dei materiali delle demolite fortificazioni spagnole di Ortigia. Le piogge frequenti però determinavano l’allagamento della zona per cui nel 1890 lo Stato intervenne per il risanamento completo dell’area con la costruzione di canali artificiali e il Ciane, che fino ad allora era stato un affluente dell’Anapo, ebbe una foce autonoma.
Il Ciane e il suo paesaggio
Il mito, la storia e la natura hanno reso questo luogo famoso sin dall’antichità attraverso le opere di artisti e le entusiastiche descrizioni di viaggiatori stranieri, poeti ed annalisti per la presenza del Papiro che da secoli vegeta rigogliosamente lungo le sponde del Ciane conferendo al paesaggio una magica atmosfera. Tutto ciò deriva da secoli di trasformazioni, infatti, nell’era quaternaria, quando la Sicilia completò la sua formazione geologica, in questa zona posta a Sud del territorio di Siracusa, si costituì un bacino sulle cui rive si trovavano le attuali contrade: Cretazzo, Cardona, Moldava e Rinaura. Nel bacino si versavano le acque di drenaggio dei terreni circostanti e il piccolo fiume Ciane era alimentato dalle sorgenti Pisma e Pismotta. La zona era dunque un’estesa palude, chiamata Syraka, resa insalubre dalla malaria e dai miasmi emanati dalla vegetazione in putrefazione.
ciane e il ratto di Proserpina
Il mito di Ciane e Anapo è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi; in esso si intrecciano elementi naturali ed esasperate passioni tra fantastiche divinità.
Eliano ricorda le forme e le immagini di Ciane e Anapo, D’Annunzio li canta nelle Laudi, molti altri hanno scritto su questa storia d’amore molto tormentata.
Secondo la leggenda classica, Ciane venne trasformata in fonte per aver voluto impedire il rapimento di Proserpina, la figlia di Demetra che, vagando felice tra i verdi prati della Sicilia, attratta da un fiore straordinario, un profumato narciso fiorito sulle coste di Siracusa, lo coglie; improvvisamente la terra si apre e Plutone, dio degli Inferi, emerso con il suo carro trainato da cavalli neri, la rapisce. Ciane, la bella ninfa sposa di Anapo, tenta disperatamente di impedire il rapimento ma Plutone affonda il suo pesante scettro nella terra e, attraverso la voragine prodotta, sprofonda nel Tartaro portando con se Proserpina. Ciane piange disperata per non essere riuscita ad impedire il rapimento e le sue lacrime di dolore sono tanto copiose che le sue membra, come narra Ovidio, si sciolgono:
“Le ossa diventano flebili, le sue unghie perdono la loro durezza, le parti più delicate del suo corpo, i suoi azzurri capelli, le sue gambe, i suoi piedi si liquefanno tanto che per queste membra delicate la metamorfosi in acqua gelida è rapida; indi il suo dorso, i suoi fianchi, il suo seno scorrono a lungo!”
Il mito di Ciane
Da quel giorno l’acqua del Ciane scorre in quel luogo mitico che ha conservato l’atmosfera magica perché, come dice D’annunzio “è Ciane bella azzurra come l’aria” che scorre nella lenta successione del tempo a ricordare un dolore mai sopito.
Altra tradizione mitica è quella di Plutarco il quale ci narra che Cianippo, padre di Ciane, soleva sacrificare a tutti gli dei tranne che a Bacco e che il dio indispettito si vendicò condannandolo all’eterno desiderio del nettare degli dei. Cianippo dopo averne bevuto molto, ormai ubriaco, preda ad ebbrezza incosciente, complici le tenebre della notte, violentò la figlia Ciane.
Questa non potendo vedere il volto del suo aggressore riuscì a strappare da un suo dito un anello per poterlo poi riconoscere. Dopo qualche anno la città di Siracusa fu colpita da una tremenda epidemia che decimò gran parte degli abitanti, i superstiti si rivolsero all’Oracolo di Apollo Pitio il quale rivelò che gli dei si sarebbero placati a seguito del sacrificio di un empio. Ciane compreso il significato dell’Oracolo e ciò che gli dei volevano, uccise il padre Cianippo, poi, sopraffatta dalla duplice onta, si uccise sul cadavere del padre.
Da allora la fonte prese il nome di Ciane per perpetrare nei secoli il ricordo del sacrificio della giovane.
Ortigia
Adagiata a Sud del territorio urbano sulla terraferma, l’isola di Ortigia, centro storico di Siracusa, delimita con la sua posizione i due porti della città: il Porto Grande, la vasta rada originata da un’antica pianura alluvionale, e il Porto Piccolo, chiamato da Greci Lakkios e dai Romani Marmoreo per gli edifici di marmo che vi si specchiavano. Fino al 1500 Ortigia era una penisola, esisteva infatti un istmo legato alla palude originata dalla foce del fiume Sirako che sfociava nei pressi dell’attuale imbarcadero S. Lucia e che per costruire le fortificazioni spagnole, volute da Carlo V, venne tagliato.
L’impianto urbanistico di Ortigia
ll nome Ortigia deriva dal termine greco che significa quaglia, con riferimento alla forma dell’isola che, vista dall’alto, ha l’aspetto di un uccello adagiato sul mare. E’ molto opportuno ricordare che l’importanza archeologica di Ortigia deriva dall’essere uno dei pochi centri storici del Mediterraneo che ha mantenuto nei secoli l’impianto urbanistico greco: l’impianto ippodameo (dall’architetto Ippodamo di Mileto che lo inventò), ortogonale: una via principale (plateia) intersecata da vie secondarie (stenopoi) con andamento a pettine (strigas) che si riscontrano nei vicoli della Giudecca e in via Cavour e che determinano l’impianto a scacchiera degli isolati.
L’impianto viario dall’alto
In Ortigia la plateia era la via Sacra, attuale via Dione, che sarà il cardo in epoca romana e che che congiungeva i due templi più importanti della città quello di Apollo e di Athena,(che aveva orientamento opposto a quello di oggi) e proseguiva fino all’estrema punta dell’isola.
Lo stenopos principale, che diverrà il decumano romano comprendeva le attuali via Amalfitania e via Maestranza e intersecava la via sacra, l’incrocio delle due vie ha determinato nei secoli la divisione dei quattro quartieri medievali di Ortigia: la Graziella (quartiere dei pescatori), la Giudecca (quartiere degli Ebrei), i Bottai (quartiere dei commercianti), Duomo- Castello (quartiere nobiliare).
La porta urbica
A seguito di alcuni lavori di rifacimento della sede stradale sono stati ritrovati interessantissimi reperti risalenti all’età dionigiana, V sec. a.C. Sono tracce delle antiche fortificazioni di Ortigia nelle quali è possibile riconoscere due strutture quadrangolari che delimitano una porta a doppio fornice, sicuramente una delle porte d’ingresso alla città.
Il tempio di Apollo
E’ il più antico tempio dorico dell’Occidente greco (VI sec. a.C.) scoperto nel 1860 perché prima inglobato nell’area della caserma spagnola (quartiere vecchio) ivi esistente e definitivamente portato alla luce tra il 1938 e il 1942. E’ un periptero esastilo di m 58 x 24,50, con 6 colonne nei lati brevi e 17 in quelli lunghi, le proporzioni e la fattura delle colonne confermano la sua arcaicità. Come la maggior parte dei templi greci, fu successivamente trasformato in Chiesa bizantina di cui rimane la porta ad ogiva ricavata nel muro della cella e in Moschea araba, come testimonia l’iscrizione esistente sul muro della cella, ed in fine divenne chiesa del SS. Salvatore che poi demolita fu inglobata nella caserma spagnola.
Il tempio di Athena
Il tempio dedicato ad Athena fu costruito agli inizi del V° sec a.C. Periptero esastilo con 6 colonne di ordine dorico sui lati brevi 14 su quelli lunghi, alte m 8,60 e larghe 2, era posto su uno stilobate con tre gradini perfettamente visibile all’esterno.
La sua magnificenza e ricchezza stupì Cicerone che ne fece una descrizione entusiastica delle sue porte d’avorio e oro e dei dipinti alle pareti raffiguranti i re e i tiranni di Sicilia e le vittorie di Agatocle sui Cartaginesi. Il grande scudo dorato della dea, posto sulla sommità del tempio, poteva scorgersi da molto lontano e faceva da faro ai naviganti.
La fonte Aretusa
La fonte Aretusa prende nome dalla ninfa che Artemide trasformò in sorgente per sfuggire all’inseguimento dell’innamorato Alfeo
La POLITICA DI GELONE
Le città Siciliote del V secolo furono governate da tiranni che avevano però caratteristiche diverse da quelle delle città greche. Il tiranno era pertanto colui che si distingueva tra la classe politica e l’aristocrazia ed era in grado di ricoprire un ruolo socio politico nella società e tendeva al raggiungimento di un nuovo equilibrio dando un forte impulso all’economia e all’incremento territoriale. Questa politica permise ai tiranni di Sicilia di superare il particolarismo delle città greche, di stringere alleanze e realizzare una nuova forma di coesione territoriale. In Sicilia queste alleanze ebbero carattere matrimoniale; Gelone della famiglia dei Dinomenidi, stabilita la capitale a Siracusa e ottenuti i poteri dittatoriali dai “Gamoroi” come “Stratega autokrator”, sposò Demarete figlia di Terone tiranno di Agrigento e riunì sotto il suo comando: Siracusa, Gela, Agrigento, Imera e Nasso. Nel 484 a. C, Terone occupò Imera costringendo alla fuga il tiranno Terillo che chiese aiuto ai Cartaginesi. Lo scontro fu inevitabile tra i tiranni greci difensori della propria civiltà e gli altri considerati traditori e alleati dei barbari.
I Cartaginesi entrarono ad Imera, ma per uno stratagemma di Gelone furono sconfitti, tanto che lo stesso Amilcare preferì uccidersi gettandosi nel fuoco piuttosto che tornare in patria sconfitto. La Grecia d’Occidente otteneva così un’importante vittoria liberando la Sicilia dal pericolo dei barbari. Secondo Erodoto la battaglia di Imera si combatté lo stesso giorno della battaglia di Salamina, secondo Diodoro invece lo stesso giorno della battaglia delle Termopili.
DEMARETE
Gelone impose ai Cartaginesi una pesante indennità di guerra ma grazie all’intervento della moglie, la regina Demarete alla quale avevano rivolto le loro suppliche gli ambasciatori cartaginesi, impose solo il pagamento di 2000 Talenti come indennizzo delle spese sostenute per la guerra e la costruzione di due templi. Fu così costruito a Siracusa il tempio di Athena a spese dei Cartaginesi. Si racconta che la regina Demarete abbia preteso ed ottenuto che nel trattato di pace si includesse una clausola che decretasse l’eliminazione del sacrificio del primogenito giunto al primo anno di età come era in uso presso i Cartaginesi.
Questi per ringraziare la regina Demarete di avere ottenuto più miti condizioni di pace, le regalarono una corona d’oro del valore di 100 Talenti che, come ci tramanda Erotodo, Demarete fece tramutare in argento e coniare una moneta del valore di 10 Dracme, il DEMARATEION. Questa splendida moneta, quasi una medaglia commemorativa della vittoria di Imera ha inciso nel dritto un bellissimo profilo di donna che rappresenta Aretusa, attorno al quale si rincorrono quattro delfini. Nel retro una quadriga a quattro cavalli su cui scende la Nike (la vittoria alata), al disotto degli zoccoli un leone simbolo dei Cartaginesi e della loro sconfitta.
Lucia Acerra