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ECCO COME IL MONUMENTO DEI LAVORATORI IN AFRICA ARRIVO’ A PIAZZA CAPPUCCINI, A SIRACUSA

Il monumento ai caduti in Africa è stato progettato nel 1938 da Romano Romanelli. L’opera, destinata alla città di Addis Abeba in Etiopia, è stata realizzata in epoca fascista per ricordare la campagna per la colonizzazione dell’Africa Orientale.

La conquista dell’Etiopia, portata a termine nell’arco di sette mesi (ottobre 1935 – maggio 1936), è la conseguenza pratica delle mire imperialistiche di Mussolini e della necessità di rilanciare il prestigio del regime fascista. La guerra di Etiopia fu accompagnata da una propaganda martellante che insisteva sulla necessità per l’Italia di avere un “posto al sole” e di trovare un sbocco economico per la sua popolazione. L’impresa fu condotta ricorrendo ad ogni crudeltà nei confronti delle popolazioni locali, incluso l’utilizzo di gas asfissianti.

Le vicende della seconda guerra mondiale e la perdita delle colonie ne fermano la partenza. Più tardi, nel 1952, il governo decide di portare l’opera di Romanelli a Siracusa, in Sicilia. Siracusa è scelta come destinazione dell’opera in quanto, durante il periodo fascista, il porto della città aretusea era considerato il più importante trampolino per le colonie.

Il fatto che il monumento sia espressione del periodo fascista, epoca da cui si vorrebbero prendere a ragione le distanze, suscita all’epoca perplessità e dubbi sull’opportunità o meno di montarlo. Dopo una lunga discussione su dove collocarlo fu lo stesso autore Romano Romanelli, ad individuare come luogo ideale lo slargo che si trova su piazza dei Cappuccini, proprio a picco sul mare. Romanelli dà disposizione anche su come deve essere montato, ovvero con la punta (la prua) rivolta verso il mare, in direzione dell’Africa Orientale. Il monumento, prima di trovare una destinazione, rimane a lungo abbandonato in depositi e magazzini, e così diversi pezzi che lo compongono sono rubati o addirittura distrutti.

Il monumento è costituito da una struttura solenne, articolata e retorica come molte costruzioni di epoca fascista. E’ realizzato in marmo di Carrara (i bassorilievi) e pietra bianca e ricorda la forma di una nave. Nella parte posteriore sono incisi i nomi delle località dei due fronti, fronte sud e il fronte nord, dove, tra il 1935 e il 1936, sono avvenute le più importanti battaglie della campagna italiana nell’Africa Orientale.

Il monumento comprende sei statue in bronzo che rappresentano i corpi militari dell’esercito italiano, della marina e dell’aviazione che hanno partecipato alla guerra coloniale; le truppe indigene dell’Africa Orientale Italiana (i cosiddetti àscari), che hanno combattuto al fianco degli occupanti, e i lavoratori italiani in Africa. Le statue in bronzo sono state realizzate da Romano Romanelli, ad esclusione di quella del lavoratore.

Il sesto bronzo raffigurante un lavoratore portava tra le mani un piccone che, in seguito ad un atto vandalico, è stato distrutto e gettato tra gli scogli. Il bronzo originale realizzato da Romano Romanelli è andato perduto negli anni in cui il monumento era conservato nei depositi della dogana. La versione attualmente presente nel monumento è stata realizzata da un allievo di Romanelli. Per rispetto nei confronti del maestro la statua è stata realizzata di dimensioni più piccole rispetto agli altri bronzi. Del monumento fanno parte diversi bassorilievi che lo circondano orizzontalmente, realizzati sempre da Romano Romanelli su lastre di marmo di Carrara. I bassorilievi rappresentano scene di battaglia, mezzi militari, scene di lavoro, etc.. All’interno del monumento è stata realizzata una cappella votiva dedicata al legionario italiano caduto in Africa Orientale. Si tratta di una sala di quindici metri per cinque circa, rivestita alle pareti con lastre di marmo rosso. All’interno è presente una scultura che rappresenta un soldato caduto in Africa, di cui quasi tutti ignorano l’esistenza poiché la cappella è chiusa all’accesso del pubblico.

La qualità artistica dei bronzi e dei bassorilievi, la complessità dei simboli rappresentati e della forma architettonica, ne fanno un’opera d’arte che merita di essere tutelata e valorizzata. Un’opera d’arte che va difesa anche perché ci ricorda un periodo della nostra storia che mai più vorremmo si ripetesse.

commento suggerito da Roberto Capozio

Nel testo sono riportate informazioni fornite dal dott. Marco Goracci durante una lezione svolta nell’aprile 2013 presso l’Istituto industriale “Fermi”