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SETTEMILA PRIGIONIERI ATENIESI FURONO COSTRETTI A SOPRAVVIVERE NELLE LATOMIE

Era l’anno 734 a.C. e Archia, venuto da Corinto, fondava Siracusa, quella colonia greca che nel corso dei secoli sarebbe divenuta la metropoli della Magna Grecia e rivale di Atene e di Roma. Per la sua felice posizione naturale, bagnata dal mare, ricca di sorgenti d’acqua, con un suolo fertile, la città ben presto si estese dall’isola di Ortigia alla terraferma fino a diventare una pentapoli per la cui costruzione il materiale veniva estratto dalle balze rocciose di calcare bianco che caratterizzavano il suo territorio alle pendici degli Iblei. Ma il duro lavoro di “cavatore” non era ben accetto perché faticosissimo per cui ai pochi che lo praticavano furono affiancati gli schiavi e i prigionieri. Si vuole che nelle latomie abbiano lavorato anche i Cartaginesi catturati nella battaglia di Imera del 489 a.C., quando Annibale Barca fu sconfitto da Gelone, tiranno di Siracusa. Eliano scrive che i cavatori dimoravano nelle latomie per lungo tempo, trascorrevano l’intera vita con le mogli e i figli che ivi nascevano. E’ interessante conoscere la tecnica adottata dai cavatori per estrarre i blocchi di calcare. I segni delle incisioni sono ancora visibili in alcune pareti. Segnato il perimetro del blocco, che aveva la forma di un parallelepipedo, si inserivano nel suo perimetro dei cunei di legno che bagnati si gonfiavano e avevano la forza di fendere il calcare che quindi veniva staccato dalla base. Col passare del tempo la latomia assume diverse funzioni; da cave di pietra per la loro inaccessibilità, diventano prigioni da cui è quasi impossibile fuggire.

La Latomia prigione degli Ateniesi sconfitti nel 412 a.C.

Era l’anno 412 a.C. e Siracusa impegnata nella guerra del Peloponneso contro Atene uscì vittoriosa da un’impresa che le consentì di acquistare prestigio: la sconfitta degli Ateniesi e dei loro alleati nella battaglia navale combattuta all’interno del porto grande. Tucidide, Plutarco e Diodoro scrissero che a seguito di questa vittoria 7000 prigionieri ateniesi vennero rinchiusi nelle latomie. Abbiamo motivo di credere, per la datazione dell’evento, che essi si riferissero proprio a questa latomia perché la più antica. Questo luogo allora diventa ancora una volta teatro di un’immane tragedia per coloro che vi sono rinchiusi.  Così la descrive infatti lo storico greco Tucidide:

“Serrati i ranghi i Siracusani e gli alleati, dopo aver riunito il maggior numero possibile di prigionieri e la più alta quantità di bottino, si ritirarono in città. Tutti gli Ateniesi e gli alleati, presi prigionieri, finirono nel fondo delle latomie ritenute il carcere più sicuro”. Nelle cave di pietra il trattamento imposto nei primi tempi dai Siracusani fu durissimo: a cielo aperto, stipati in folla tra le pareti a picco di quella cava angusta; in principio i detenuti patirono la sferza del sole bruciante e della vampa che affannava il respiro. Poi, al contrario, successero le notti autunnali, fredde, che col loro trapasso di clima causavano nuovo sfinimento e più gravi malanni. Per ristrettezza di spazio si vedevano obbligati a soddisfare i propri bisogni in quello stesso fondo di cava e con i mucchi di cadaveri che crescevano lì presso gettati alla rinfusa l’uno sull’altro, chi dissanguato dalle piaghe, chi stroncato dagli sbalzi di stagione, chi ucciso per altre simili cause, si diffondeva un puzzo intollerabile. E li affliggeva il tormento della fame e della sete (perché nei primi otto mesi i siracusani gettavano loro una cotila d’acqua e due di grano come razione giornaliera a testa). Per concludere non fu loro concessa tregua da nessuna delle sofferenze cui va incontro gente sepolta in un simile baratro. Per circa settanta giorni penarono in quella calca spaventosa. Poi, escluse le truppe ateniesi, siceliote o italiote che avevano avuto responsabilità diretta nella spedizione, tutti gli altri finirono venduti sul mercato come schiavi. Il dato preciso sul numero effettivo dei prigionieri è difficile da stabilire con rigore comunque non fu inferiore a settemila. Questo riuscì l’evento bellico più denso di conseguenze per i Greci, in tutto l’arco della guerra e, almeno secondo il mio giudizio, il più grandioso in assoluto tra i fatti della storia greca registrati dalla tradizione; quello che garantì il maggior trionfo alla potenza vincitrice e inflisse agli sconfitti la ferita più mortale. Disastrose disfatte su tutti i fronti; tormenti di ogni sorte, acuiti dalla spasimo. Fu insomma una distruzione radicale; è proprio questa la parola; e vi scomparve l’esercito, si dissolse la marina, e nulla si riuscì a salvare. E pochi della folla partita un giorno fecero ritorno a casa. Ecco, questi furono gli avvenimenti sul suolo della Sicilia. (Tucidide, Guerra del Peloponneso 7 III° 87 ).

Lucia Acerra