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O TALIU RI SAN GIACOMO: A FACCI DISPIRATA DI GIUSEPPINA CHE AVEVA PERSO IL SUO BARTOLO

Giuseppina apriva le finestre e le appariva quel mare glauco e cristallino che si abbracciava delicatamente al cielo azzurro. Nell’aria un afrore  carico  di salsedine che profumava di fresco e che faceva pensare alla stagione estiva che prorompente si insinuava tra le vie assolate do scogghiu. Si perdeva con lo sguardo tra quelle leggere bianche e spumeggianti onde che lentamente si infrangevano nella costa come una geremiade sempre uguale, sempre la stessa e che trasportava il suono della risacca. Era felice. Avrebbe sposato il suo Bartolo Caraco’, figghiu ro ‘custureri, ma lui aveva deciso di essere un pescatore. Uomo tutto d’un pezzo era, i chiddi di na vota, che conosceva solo casa e lavoro. Avevano comprato casa a crirenza, a tanto o misi, proprio lì “o taliu ri San Giacomo’, all’affaccio di quel mare che a taliallu, u pinseru si piddeva. Era piccola la loro casina, ma abbastanza per accogliere una famigliola. Doveva essere solo sistemata qua e là perché il proprietario, ormai solo vedovo e anziano, se n’era andato a vivere dalla figlia alla burgata. Ma lì, in quella casa, ci aveva lasciato l’anima con tutti i ricordi dentro, e soprattutto aveva lasciato la sua Miluzza. Se n’era andata così lei, senza dare fastidio, nel silenzio di un tardo pomeriggio autunnale, mentre sfirruzzava seduta, mesta e china, nella sua poltrona. Fimmina ri bon’anima ao statu! Giuseppina aveva un tormento che non aveva confessato a nessuno. Da quando lei e Bartolo avevano deciso la data do sposaliziu, una vicchiaredda in sogno, tutte le notti le appariva e le diceva: – Giuseppina, nun ti maritari, lassulu iri a Bartulu, lassulu lassulu. Giuseppina si svegliava trafelata e piena di sudore e cacciava quel sogno che tutte le notti la turbava. Pensava che era frutto della sua immaginazione, della stanchezza per i preparativi e non dava peso a quella vecchina tutta rugosa e curva. Le nozze avvennero e furono bellissime. Giuseppina aveva i capelli adornati con rametti di fiori d’arancio,  un vestito confezionato con merletto bianco e un nastro che designava una vita sottile. Fu offerto ai vicini e agli invitati calia e simenza, mustazzoli, uova ruri, pani cunzatu, biscotti all’anice  e bicchierini di rosolio per brindare alla lunga vita degli sposi. Era iniziata per loro la stagione della vita in cui non poteva regnare tristezza.

Bartolo, u piscaturi, ogni mattina alle quattro usciva da casa per calare  le reti. Era nu misteri ruru e non  si sarebbe arricchito con quel lavoro, ma era onesto e dignitoso e a iddu chistu importava. Ad aspettarlo, al ritorno, c’era sempre Giuseppina, a sposina. Giuseppina, a quei sogni ci pensava ancora. Erunu na camula ca macinavunu no ciriveddu e ora no sonnu a vecchina ci riceva: Giuseppina, nun ci fari figghi cu Bartulu. Nooo! Nun ci ni fari! Un sogno sempre lo stesso, sempre uguale. A vicchiaredda stava seduta sospesa su una poltrona sopra la porta a sentenziare sempre le stesse frasi. Giuseppina non voleva dare spazio a quelle parole, ma in cuor suo era sempre più turbata. Non era immaginazione la sua, lei la vedeva e la sentiva veramente quella vecchina! Perché quelle parole, si chiedeva! Perché?

Si ripromise di parlarne con il suo Bartolo, ma poi ci ripensava e non raccontava  nulla. – Perché darci pensieri a stu cristianu!- Si diceva! E rimandava sempre. La vita di coppia continuava a  procedere serenamente. Mancava solo ‘ncaruseddu e u picciriddu, all’annu appuntu, arrivò. Giuseppina, appena  sicura della sua nuova condizione,  non vide l’ora di correre a dare la notizia a Bartolo. Apri’ la finestra. Entrò un refolo di vento agghiacciante. Era un vento da nord che pareva annunciare una tempesta. Il mare in collera. Il vento aveva raddoppiato la sua forza. Nel cielo  un lampo lo aveva squarciato in due. I pescatori rientravano tutti, uno ad uno. Qualcuno diceva che una buriana così non si era mai vista. Giuseppina faceva come na pazza. Avanti e narreri. A vaccuzza di Bartolo nun si vireva. La sera avanzava, buia e cupa, e il cielo nero e la pioggia e il vento. Lampi che falciavano i visi come lame taglienti, tuoni. Bartoloooo, Bartolooo. Nenti. Giuseppina piangeva e urlava e a sentirla era uno strazio, una pena indicibile, mentre le bianche onde schiumose  impennavano e ingoiavano ogni cosa senza ritegno, senza distinzione. Mastru Petru, la prese per le spalle e ci rissi: – Vattinni, vattinni  a casa! E lei capi’. Impazziu. Dispirata com’era,  andò verso il suo Bartolo, miseramente, inghiottita e ingoiata dal turbinoso. Fu un attimo e Giuseppina fu risucchiata in un mare famelico, in un mare bramoso.

L’alba mestamente spuntò paciosa come sempre. E il mare appariva placido, mansueto, imperturbabile come un bambino svegliato dopo un  sonno ristoratore. Le onde si inseguivano, bianche, morbide, spumose, come se niente fosse successo. La vita continuava, ma senza Giuseppina e Bartolo intrecciati per sempre in un unico tragico ineluttabile destino.

Quel tratto di strada che è il belvedere San Giacomo a Siracusa, bellissimo e suggestivo, tanti, i più vetusti,  lo conoscono come “facci a dispirata”, ma i giovani che saranno gli eredi della nostra storia, delle nostre radici meritano e devono sapere perché anche le leggende e le storie più inverosimili, hanno un loro fascino che rendono immortale un luogo tale da renderlo unico mitico e imperituro nei ricordi di quanti hanno a cuore la propria città.

Graziella Fortuna