Politica

UNA SCOLARESCA COL MAESTRO ENTRO’ NELLA GROTTA E NON RIVIDE MAI PIU’ LA LUCE

Chi può esattamente individuare il punto di defalcazione tra l’episodio autentico di cronaca che si perde nella notte dei tempi e la leggenda popolare che, giunta fino a noi, an-cora si tramanda vestita di fantasia a tal punto che sembra assolutamente incredibile? Siracusa ha una ricchezza straordinaria di tali esempi che sono assurti effettivamente a dignità di mito universale: i più celebrati sono indubbiamente quello di Ciane, quello di Alfeo e Aretusa, quello dell’orecchio di Dionisio…. Che fanno oramai parte della letteratura fantastica di ogni tempo e di ogni conoscenza. Ma ce ne sono tanti altri, più o meno noti, che meritano di essere “ rinverditi”, ricordati, e di rimanere degnamente radicati nella memoria storica del nostro territorio, di cui costituiscono un patrimonio irrinunciabile perché accrescono enormemente la suggestione degli angoli paesaggistici di Siracusa. Il progetto è di diffondere nel modo più scrupoloso la conoscenza obiettiva dei fatti di cronaca, la presentazione e la discussione delle problematiche locali nei più diversi e pluralistici aspetti, l’attenzione ai fatti nostri di ieri, alla storia patria, nell’intento di venire incontro al desiderio dei numerosi cittadini che dimostrano viva sensibilità di apprendere non solo-come soleva dire il Manzoni-il vero, ma anche il verosimile, con contorno di qualcosa di incredibile ma quasi vero, si propone di soddisfare tale sete di conoscenza di luoghi storici, paesaggistici, mitologici, leggendari, di pura immaginazione popolare, cui è legato ciascun angolo del territorio aretuseo.

“La tragedia degli scogli lunghi”, fatto di cronaca di ieri, assurto meritata-mente già a leggenda d’oggi per l’alta valenza umana che essa suscita, nel ricordare soprattutto l’amore che lega gli uomini di mare tra di loro, a qualsiasi classe sociale essi appartengano. Orbene, una delle leggende più suggestive, che riguardano il nostro ambiente, è certamente quella riferita alla grotta che si affaccia proprio davanti agli scogli lunghi: “ ’A ’rutta ‘e’ ciauli”.Sono tre le aperture, veramente, le grotte che tale tratto di costa presenta alla vista di chi è a mare, a poca distanza dal porto piccolo, o anche, in lontananza, dal mercato generale di Piazza Cesare Battisti; ma la leggenda si riferisce a quella centrale.

Ancora oggi, nei dintorni, si aggirano ciaule e colombe. Le ciaule, come ricorderà chi ha letto la celebre novella pirandelliana “ Come Ciaula scopre la luna”, sono dette anche carcarazze e chi ha quella particolare inflessione di voce o sta continuamente a chiacchierare malamente, a pettegolare da cuttigghiara, cioè da donna di cortile, viene detta Ciaulao anche Carcarazza. In lingua italiana, più che corrispondere alla gazza –e mi viene in mente a proposito l’opera rossiniana dalla celeberrima sinfonia “La gazza ladra”, corrisponde alla ghiandaia, incommestibile ma dai colori stupendi, che sembrano quasi di smalto; per questo è tra gli animali protetti. In quei paraggi se ne aggirano tuttora parecchie, come se ne aggiravano fino a Viale Tunisi perché nidificavano sui pini del Condominio La Pineta, prima che, appena un decennio addietro, venissero abbattuti perché contorti e divenuti pericolosi per l’incolumità dei condomini e dei passanti.

In quella circostanza ebbi a notare che per costruirsi il nido, che è di dimensioni piuttosto notevoli, nei confronti degli altri uccelli, la carcarazza sfrutta addirittura il fil di ferro che chissà come riesce anche a piegare! Le ciaule sono oggi in via di estinzione per cui, come accennato, appartengono alle… categorie protette, Ciononostante, i ragazzacci della zona, noncuranti del divieto, ne catturano diverse quando, proprio nella zona circostante la grotta, danno la caccia ai numerosi colombi che assieme a quelle condividono quel territorio dei pressi del cosiddetto “ Monumento all’Italiano in Africa”, gruppo statuario del Romanelli nel complesso di modesto pregio, se si eccettua la suggestiva statua del soldato caduto in terra straniera, di cui tuttavia non possiamo ammirare la bellezza perché custodita all’interno della cappella, che doveva adornare una piazza ad Addis Abeba in Etiopia, ma che non venne mai imbarcato e rimase per anni abbandonato in un angolo dell’ospizio di Via Grotta Santa, per il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale. I monellacci, pur se quel tratto di costa oggi porta un cartello di divieto di accesso per frana, tendono le loro micidiali trappole a base di chicchi di grano come esca, posti al centro di una tavoletta cosparsa di colla, così come si usa oggi fare, al posto della tradizionale lattera, per eliminare topi e ratti. Ciò quando non usano un altro diabolico espediente: l’amo da pesca nascosto dentro una polpettina di mollica; l’ingenuo volatile abbocca, il monellaccio tira il lungo filo che tiene in mano mentre se ne sta nascosto ad aspettare… E addio colomba! Addio bellissima e ingenua ciaula!

La leggenda, dunque, dice che quella grotta penetrava per lunghissimo tratto, all’interno. Forse è vero che si congiungeva con le numerose catacombe circostanti (quella di Santa Lucia, quella di San Giovanni, quella di Vigna Cassia, del Casale…) o, se esse non comunicavano tra di loro, almeno con qualcuna di esse. Stando, questa, quasi a pelo d’acqua, si può congetturare benissimo che, in caso di pericolo, i primi cristiani, durante le persecuzioni dei primi secoli, avessero avuto la possibilità di porsi in salvo fuggendo dalla catacombe e raggiungendo il mare attraverso que-sto sbocco di salvezza.

Fatto sta che, ancora oggi, nonostante le numerose frane, essa penetra profondamente all’interno e vi si possono notare diversi lucernari o prese d’aria che in qualche modo potevano illuminare il lunghissimo percorso sotterraneo. Che essa potesse arrivare addirittura a Catania? La leggenda lo racconta. Fatto sta che ancora oggi è lunghissima, malgrado le numerose frane ne impediscano il procedere oltre un certo punto…Chi intende avventurarsi a visitarne anche solo alcuni tratti, non solo deve munirsi di torcia, di lampadina tascabile –una volta, quando eravamo ragazzi noi, ci andavamo con i lumi a petrolio…-ma anche di un buon gomitolo di filo! Senza di questo, dati i numerosi va e vieni del percorso, che sembra proprio simile a quello delle catacombe, difficilmente uno sarebbe in grado di ritrovare la via di uscita.

Fu proprio per non avere usato queste precauzioni che accadde –non si sa quando ma ci deve essere indubbiamente un fondamento –ciò che si racconta da tantissimi anni, ciò che narra la leggenda. (E’ da notare che i Siracusani veraci usano chiamare via Arsenale tutto il tratto di strada che va da Viale Regina Margherita a Piazza Cappuccini, senza distinguere il secondo tratto che ufficialmente viene denominato Riviera Dionisio il Grande ).  Era una scolaresca, il cui maestro volle condurre i suoi alunni a visitare la grotta; ma ebbe l’imprudenza di avventurarvisi con i suoi ragazzi senza considerare che quello è un autentico labirinto e bisogna usare gli stessi accorgimenti che usò Teseo per liberare, con l’aiuto di Arianna (che gli prestò il filo) i fanciulli che dovevano andare in pasto al terribile Minotauro.  E neanche qui, senza il filo di…Arianna, si riesce a… rivedere il sole se si penetra in quella grotta! Infatti, quelli che sembrano uccelli, ciauli, si dice che ciauli non sono ma solo fantasmi e diavoli! Perciò, meglio starsene alla larga e viene raccomandato.

Tuttavia, alla leggenda, che tramanda quella tragica fine fatta da un’intera scolaresca inghiottita con tutto il maestro da quelle misteriose profondissime fauci, si aggiunge da qualche anno, a cura dei Siracusani Singers, una simpatica postilla, che dice:“ Ora, supra ’a ’rutta ‘e’ ciaulis’ha sistimatu un risturanti ’i lussu…”Lo chef è Pasqualino Giudice, che è celebre in tutta Italia e possiamo anche aggiungere in tutto il mondo, se, di recente, è andato perfino in Giappone a rappresentare la cucina siracusana e a Roma ha approntato una delle più luculliane cene all’ambasciata americana. La canzone finisce raccomandando, sì, di andare alla Grotta famosa, ma dove non si passano guai, cioè solamente al ristorante omonimo, che, con le sue inimitabili pietanze fa tutti soddisfatti e contenti, aggiungendo alle sue ricette un aroma particolare e suggestivo: lo scenario indescrivibile di Ortigia, che è quanto di più fantastico possa esistere, nel più mitico e azzurro dei mari!

Arturo Messina