Politica

DUBBI SPACCIATI PER CERTEZZE, FANDONIE PER RIVELAZIONI. IL COVID E’ STATO ANCHE QUESTO

L’emergenza sanitaria planetaria ha mostrato molti limiti umani, primo tra tutti lo sbigottimento al cospetto di un’epidemia non controllabile in poco tempo. Non eravamo abituati a non averla vinta su tutto ciò che capita nel mondo per così tanto tempo. Non siamo addestrati a subire fenomeni che ci mettono in ginocchio sotto diversi profili. E così abbiamo reagito come chi è impaurito e frustrato. L’aggressività è stata una risposta tipica, ma essa non ha avuto l’architettura classica della reattività, piuttosto quella della risposta autocommiserativa ed assieme arrabbiata con tutte le pieghe rivendicative di molti arretrati umani che si sono slatentizzate in un tonitrante coro di intransigente ospettosità verso le istituzioni. Gli esseri umani se da un lato hanno implorato aiuto, dall’altro alcuni non hanno perso l’occasione di approfittare del marasma per ricercare un proprio utile. Come sanno i ladri professionisti : nel torbido si pesca meglio.

E così ci siamo resi conto che la scienza è imperfetta. Lo sapevano gli addetti ai lavori, lo ha capito più o meno l’intera umanità. Non che lo abbia accettato, ma ha dovuto prenderne atto che non siamo in assoluto al riparo e che la moria di esseri umani ci ha costretti a cambiare abitudini e stili di vita intoccabili. Ed abbiamo assistito ad opinioni cangianti su governi nazionali, registrato ipotesi su bugie ed omissioni internazionali, condite con l’immancabile rivelazione tanto segreta quanto romanzesca: quella del virus costruito laboratorio. Abbiamo ascoltato gli scienziati impreparati in tv, sedotti anche loro dal trucco e dal microfonamento prima della diretta. Niente figli, genitori, parenti. Tutti a distanza. Niente scuola, solo videoconferenze, file nei supermercati, addio ai viaggi, posti di lavoro in fumo. Se non è emergenza questa per l’architettura sociale che pareva indissolubile non si sa cos’altro, oltre una guerra con testate nucleari, possa esserlo.

Siamo stati messi alla prova e a conti fatti non è andata malissimo. Ora il nodo è l’economia mondiale. Perno sul quale abbiamo fondato la nostra stessa esistenza. I graduali allentamenti dei cordoni emergenziali, la rivisitazione della sanità di mezzo mondo ovviamente non preparata ad una pandemia, predicono tuttavia un esito ineluttabile: convivere col virus in attesa di un vaccino. Ma coesistere col Covid-19 fondamentalmente significa una cosa: riprendere la vita di sempre, quella produttiva con precauzioni più teoriche che realizzabili per far ripartire l’economia. E dunque non contare più i contagi ed i morti, assimilandoli ai dati statistici abituali, senza bollettini giornalieri. L’emergenza finisce in due modi. O perché un fenomeno patogeno è stato eradicato oppure perché non se ne parla più.

Certo si può morire di Coronavirus, come di tumore o di malattie cardiovascolari. O si può morire di fame, con i fenomeni di rischio sociale tipici di chi non avendo il pane lo ruba a chi ce l’ha. E dunque prendiamo atto che una pandemia la si può abrogare anche se non sconfitta, mentre con i tempi della sperimentazione si cerca un antidoto. Ovviamente secondo i criteri competitivi della ricerca scientifica nazionale e dei brevetti farmaceutici in grado di far impennare gli utili del Paese arrivato primo a produrre il vaccino. E avremo dimenticato tutto, anche il gran numero di vite umane perse durante questa guerra. Dimenticare per ritornare a com’eravamo in ogni modo e a qualsiasi prezzo. Nel frattempo, come si diceva, abbiamo assistito ai siparietti tragico-comici di tanti personaggi senza arte né parte che hanno cercato una ribalta durante la paura collettiva, somministrando alla gente dubbi spacciati per certezza, fandonie per rivelazioni, interessi di parte, per lo più di bassa levatura, per una spinta solidale incoercibile. Il Covid è stato anche questo.

Roberto Cafiso