Politica

QUELLA DI QUEST’ANNO SARA’ LA PASQUA DEL VIRUS CORONA

Avanza un’altra primavera, ecco che arriva un’altra Pasqua che sarà ricordata come la Pasqua del Virus  Corona. Anche se in tono minore, i riti religiosi saranno celebrati ugualmente attraverso tv e social, un modo nuovo di partecipazione a cui tutti, anche chi è avanti con l’età, stanno cominciando a familiarizzare. Gli Italiani, lo sappiamo, anche in questo periodo pauperistico, non possono fare a meno di rinunciare alle inveterate tradizioni che, proprio perché dure a morire, vengono perpetrate di anno in anno, di generazione in generazione. I siciliani, ancor di più, nel periodo della quaresima, sono soliti preparare, per la gioia dei bambini, u laureddu dalle origini antichissime, ma dal significato profondo ed intrinseco perché ricorda la nascita, il sacrificio, la condivisione, la speranza. Consiste nel riporre, il primo venerdì di quaresima, semi di lenticchie o cereali o frumento su cotone inumidito e, nel men che non si dica, spunteranno i primi verdi e teneri germogli. Poi, abbellito e adornato con fiori di campo, nastrini e fiocchetti colorati, si dona alle chiese il giovedì santo, il giorno dei sepolcri. Con la messa vespertina, in Coena Domini, ha inizio il Triduo Pasquale, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Gesù, con la tradizionale lavanda dei piedi, esempio di umiltà. Al crepuscolo di questo di’, già le strade brulicano di gente per fare u giru re sepulcri che devono essere “rigorosamente” tre ed è occasione di incontri e chiacchierate e abbrazzi  e vasi e vasuniBi, cu si viri! Quanto tempo ca nun ni viremu! E giù a sciorinare i ricordi che furono. Il venerdì santo è giorno di lutto per i cristiani. Nelle parrocchie, dopo la via Crucis, vi è simbolicamente l’incontro del simulacro della Madonna piangente con il Cristo, morto in croce. Una scena  toccante, straziante perché ricorda il dolore di una madre che riversa tutte le  lacrime, tutto il dolore, tutta la tragicità e la sofferenza per un figlio morto. Un giorno doloroso dove i cristiani sono invitati al digiuno e all’astinenza. Un vescovo siracusano nel 1798, probabilmente Mons. Giovanni Battista Alagona, vietò ai macellieri di vendere carne, tranne agli infermi e a chi presentasse un biglietto  giustificativo firmato dal vicario. Con la domenica di Pasqua vi è l’esplosione dei piatti tipici come acceddu cu l’ova, i panareddi, l’agneddu, i cassateddi di ricotta, i picureddi ri mennula. Piatti semplici, ma dal profumo di casa, vero, genuino, antico che mettono pace nel cuore e che sanno odore di famiglia. E se queste tradizioni sono dure a morire, è perché sono imperiture e suscitano nel tempo sempre le stesse emozioni, oggi come ieri. Ma le usanze non si esauriscono in una tavola imbandita con il tovagliato inamidato della festa. Una testimonianza del tempo che passa, è la nostra memoria. Una volta, i masculi ro scogghiu lo rammenteranno, portavano alla zita un regalo non solo alla propria amorosa, ma anche alle eventuali cognate ancora zitelle e, tanto per non fare torto a nessuno, anche alle suocera per ingraziarsela. I tempi fortunatamente sono cambiati. In meglio, in peggio? Chi lo può dire. E andrà via anche questa Pasqua 2020, in silenzio, senza far rumore, ma carica di tante parole. Sarà una Pasqua diversa, pregna di sofferenza, perplessità, con un tocco di nostalgia, con la consapevolezza che niente sarà più come prima. Tutto cambierà. Ma il Signore risorge sempre, ogni giorno è Pasqua, perché c’è bisogno di speranza, proprio perché non si debba dire che il mondo è un paradiso abitato da diavoli.

Graziella Fortuna