QUANDO PASSATE DAVANTI ALL’ANTICA MASSERIA, RENDETE OMAGGIO AI 100 CAVALIERI ANTICHI CHE S’IMMOLARONO PER SALVARE SIRACUSA
Spigolando tra le leggende e le suggestive tradizioni popolari che ammantano di fascino tanti angoli del territorio di Siracusa, ce ne sono alcune che ancora oggi stanno in un cocktail di suggestione e fatalità.
Ogni qualvolta si passa di là, specialmente dopo il tramontar del sole, quando le ombre della ficaia cominciano ad assumere certi riverberi che danno vita a strane forme e quelle pale alzate possono sembrare scure divise di soldati con elmi e cimieri, i frutti succulenti dei fichidindia, posti in cima alla più alte ne assumono gli aspetti di pennacchi, bisogna sempre farsi il segno della croce e suonare il clackson della macchina o del motore tre volte… quando si passa dalla masseria dei fantasmi. Recitare sommessamente un requiem per i Murticieddi è anche una consuetudine antica dei contadini e dei pescatori più anziani che abitano o lavorano nei paraggi.
La prima volta che mi trovai a passare da lì non lo sapevo. Dovevo trovarmi alla trattoria del porticciolo della pescosa Ognina in serata, dove mi attendevano due amici che, conoscendo la mia curiosità per le consuetudini e le tradizioni locali, avevano preso accordi con uno dei motopescherecci che operano con il cenciolo che essi chiamano “conzu”. “Vedrai che spettacolo—mi avevano detto – vedere salire, nella rete, quintali di ope tutti in una volta! La luna tramonta, per ora, verso mezzanotte; perciò si partirà tardi. Se non fa buio, le ope non si fanno sedurre dalla luce delle lampare e non si ammassano sotto di esse: sono furbe anche loro!”
Nell’attesa di salire a bordo, avremmo consumato una pizza, una di quelle enormi margherite alle quattro stagioni che dichiaravano essere una specialità. Così, terminate alcune lezioni private di latino che solevo impartire a degli alunni rimandati a settembre, mi avviai, dopo di avere ascoltato le interminabili litanie di raccomandazioni cui mi sottoponeva la mia amata e apprensiva consorte quelle rare volte che uscivo senza di lei.
Superai il bivio della stazione ferroviaria di Santa Teresa Longarini e quindi la scuola sussidiaria dove una volta avevo assistito da commissario, con il direttore Stefano Scapellato, agli esami di fine anno; da qualche giorno appena, dopo decenni di abbandono, essa ospita la Guardia Medica. C’era allora accanto la masseria d’un pecoraio, che poi divenne la Trattoria Bar Messico, chiusa recentemente a sua volta. Giunsi a quella improvvisa maledetta curva a gomito, che ha fatto, anni addietro, anche una vittima: Ciò perchè forse non era segnalata bene o per distrazione del giovane pilota….
Alcuni accaniti superstiziosi o fatalisti vogliono affermare che l’incidente mortale fu provocato dai fantasmi che si aggirano nei paraggi come sarebbero disposti anche a giurare che il compianto titolare dell’Agenzia Viaggi, faccio male a ricordarlo con devozione il signor Fangano?, fu travolto dalla piena, appena giunto sul ponte, uscito dalla macchina dopo d’essersi lasciato dietro il fatale o fatato caseggiato, per non avere ottemperato al rito propiziatorio!
Procedevo con una velocità sostenuta, sperando di recuperare qualche minuto, per non fare attendere troppo i miei amici. Poco prima che, al debole barlume lunare, intravedessi l’enorme sagoma nera del compatto caseggiato che sovrasta tutte le rare circostanti costruzioni, allora soltanto agricole, mi parve di essere completamente accecato dai fari abbaglianti d’un disgraziatissimo automobilista che mi spuntò improvvisamente davanti dalla curva, procedendo al centro della carreggiata. Mi buttai tutto a destra con un sobbalzo di vivo spavento:
“ Criminale! – esclamai, dando una pigiata nervosa al pedale dei freni, contemporaneamente alla sterzata, per evitare di andare a sbatter e fuori pista –
Mi ammazzasti!”.
Ci credereste se vi dicessi che per tutta risposta mi parve di avvertire delle strane risate?
Avrò forse preso, sotto le ruote, un grosso ramo secco, che si trovava ai margini della strada, piuttosto angusta e con muri a secco ai lati alquanto sconnessi, qualche pietra dei quali era staccata e giaceva nella panchina non pedonale… Ma il rumore che avvertii mi fece una terribile impressione!
Volli fermare la macchina, sia per rendermi effettivamente conto di ciò su cui avrei forse urtato, il cui crepitio mi era sembrato una scarica di risate, sia per riprendermi un po’ dallo scampato pericolo e dallo choc provato. Non mi parve di notare alcunchè contro cui avessi urtato; ma non saprei dirlo con certezza, visto che i deboli raggi della luna crescente non arrivavano a farmi distinguere esattamente ciò che eventualmente c’era sotto la vettura o poco prima. Fu allora che notai, dietro di me, il badiale edificio abbandonato e l’estesa folta ficaia: ebbi degli strani brividi, ma sarà stato quasi sicuramente l’effetto dello spavento provato…
Mi rimisi in marcia, dopo aver dato l’ultima occhiata a quello scenario piuttosto insolito, che giudicai lugubre, e che mi fece tanta impressione da potersi definire panico.
“ Ma che faccia da funerale hai questa sera!”
Fu la frase con cui mi accolse, piuttosto preoccupato, Ciccio, uno degli amici
Ti senti male?”
“ Per forza – risposi io – Per poco non ci scappava il morto e voi avreste avuto di che aspettarmi!”
Ma cosa t’è successo? Parla!
Un folle, un criminale, uno di quelli che la patente non dovrebbero vederla nemmeno stampata in fotografia, per poco non mi acceca con i fari e non mi manda fuori strada contro un muro?
Ma quando? Dove?
A un chilometro circa da qui. Ero quasi arrivato. Là dove c’è quell’enorme caseggiato abbandonato che pare una caserma!
Ah!…I fantasmi! I fantasmi ci sono lì, che fanno certi scherzi a chi non li rispetta!
E fu così che mi narrarono la storia o, forse, piuttosto, la leggenda. La tradizione popolare dice, infatti, che un giorno, durante una delle tante guerre che si combatterono in Sicilia un battaglione di soldati a cavallo si aggirava in perlustrazione, avendo come punto di stazionamento proprio quella specie di caserma.
Ad un tratto dalla torre di avvistamento di Cuba, sita a qualche chilometro di distanza, fu segnalato che si vedeva un lontano luccichio di armi. Compresero che si trattava di un grosso esercito nemico che veniva ad assalire Siracusa. Bisognava fermarli fino a quando uno dei cavalieri fosse giunto ad avvertire i Siracusani affinché si tenessero pronti a sostenere l’assalto dei nemici.
E fu così che quel centinaio di baldi cavalieri siracusani seppero valorosamente affrontare un folto esercito nemico e fermarlo giusto il tempo che Siracusa fosse avvertita e corresse alle difese. Tutti, ad uno ad uno, caddero sotto le lame degli spietati nemici; ma con il loro olocausto, come i Trecento delle Termopili, riuscirono a salvare la città. Ad essi furono resi, quindi, grandi onori funebri e fu data loro sepoltura dove, da quel tempo vegeta rigogliosa la ficaia che, concimata con le ceneri degli eroici cavalieri, produce i più gustosi fichidindia della contrada.
Quel caseggiato, che fungeva da loro stazionamento, fu abbandonato e fu ritenuto come il sacrario dei valorosi combattenti per la salvezza della patria. Ma i leggendari cavalieri continuano ad aggirarsi nei paraggi e nella masseria, così come gli eroi greci caduti per la libertà della loro patria, sono visti in bagliori di luce nella notte dai naviganti che costeggiano quelle rive dell’ Ellade.
E pretendono, in memoria della loro impresa memorabile, il tributo d’un saluto dal passante: tre segni croce, tre suoni di clackson, una preghiera. E chi di là passa deve compiere il rito, altrimenti..
Arturo Messina