Politica

LE SIGNORINE DI CATALOGO E LE SIRACUSANE DEL 1963

Elina Formica Tocchi è una scrittrice di talento; nata e cresciuta a Siracusa risiede a Terni. Abbiamo il piacere di pubblicare un suo articolo, “Le Signorine di catalogo e le Siracusane del ´63”. Ecco il testo:

Le Signorine di catalogo hanno il pregio di una imperturbabile umanità. Inossidabile. A differenza del manichino esposto ai vezzi delle mode e delle stagioni, la Signorina di catalogo ha una sua rigida “privacy”, un decifrabile e persuasivo codice di comunicazione che s’insinua accattivante nelle varie realtà domestiche, si adatta ai ritmi di esistenze assai spesso anonime e spente. Lì, tra mobili di serie ed ansie di magro bilancio, lì si espone ed offre la “sua” merce. Pubblicizza reggiseni, rigide panciere e guepières ferrigne come corazze, all’altra umanità fatta di carne e di emozioni, di strazi e di tormenti.

Queste Signorine di catalogo dell’anno ´63 mi fanno venire in mente altre signorine “tutte forme” che sul reggiseno calibrato e bustino rigido mozzafiato facevano scivolare tubini aderenti. E con borsetta, calze di nylon e capello cotonato “le belle” si insinuavano in rombanti Giuliette o correvano verso il mare dell’Arenella a bordo di una vespa o di una lambretta.

Erano le sorelle “maggiori”, rispetto alla mia generazione.

Ascoltavano la radio, o il grammofono o i primi giradischi. Si lasciavano avvolgere dalle seduzioni dei rotocalchi, dalle passioni del cinema, osservavano incuriosite i programmi della televisione. Erano appassionate di musica: Perry Como, Pat Boone, Neil Sedaka…

Le Signorine del ´63, nella mia Siracusa erano di buona famiglia: precise e curate nell’abbigliamento (il tubino nero), capello tagliato con stile, rossetto rosa corallo, pelle chiara, guance rosate, l’aria leggermente svagata, quasi disattenta. Atteggiamento che, se si accompagnava alle suggestioni della vera bellezza, diventava distacco olimpico ed algida compostezza. I malevoli e gli invidiosi potevano considerarla superbia.

Erano le predilette delle loro mamme: ne condividevano gusti, rispetto delle convenienze, rigidità nei ritmi sociali, accurata scelta di luoghi ed amicizie da frequentare.

Nelle feste da ballo, o di circolo o rigorosamente private si attorniavano di giovani, ugualmente attenti a convenienze, regole e solidità economica.

Talora l’imprevisto turbava il mondo delle Signorine: una passione che rompeva le abitudini di buona educazione, scavalcava opportunità e riserbo, e si offriva senza pudore ai veleni della provincia.

“Lo sai?… non è andata a scuola! Lui l’aspettava… con la macchina… sono andati a Catania… un appartamento affittato… come? dove? lei?…

La passione stravolgeva anche i lineamenti della Signorina. Il viso assumeva un’aria di sfida, il movimento del corpo si faceva più morbido sotto la camicetta bianca e la gonna a pieghe; gli occhi lucidi cercavano quelli dell’amato.

Lui, abbronzato al sole degli “scogli”, con un mare di capelli castani, bello come Paride, l’aria vagamente ottusa di chi si trova protagonista di un romanzo e non sa poi se ci sta così bene.

Ma lei, la Signorina, imperterrita ravvivava col fuoco del suo irrinunciabile amore la vita della provincia, che nel peccato ci cresce, ci gode e di peccato si alimenta. E la passione la rendeva già estranea alle proposte delle Signorine di catalogo, severe, complicate, “metalliche”.

Invece noi – sorelle minori di quel prototipo – “picciridde”, noi vivevamo altri ritmi. C’era un’ansia carica di non sapevamo bene cosa, un fastidio appena avvertibile di regole e compromessi, un gusto del discutere e del ricercare. In molte di noi si avvertiva il bisogno di costruire – a partire da niente – un’esistenza che si reggesse in piedi da sola, senza doversi appoggiare ad alcunché di esterno.

A differenza delle “sorelle grandi”, che regalavano il loro corpo ben modellato a progetti di maternità ed a rituali di matrimonio, noi elaboravamo i primi tentativi di una riscossa al femminile. Individuata fra le pagine di Simone de Beauvoir o sugli articoli del suo compagno filosofo.

Iniziava il rifiuto degli abiti color pastello, del ragazzo tutto “perbene”. Era il momento di Marlon Brando e James Dean.

Cercavamo di diventare visibili a noi stesse: attaccando con grinta tabù e luoghi comuni, prendendo le difese di chi veniva bollato come “ribelle” e come “ragazza di facili costumi”.

Lei me la ricordo ancora. Aveva la coda di cavallo, il seno morbido, camicetta bianca e gonna blu. Aveva un amore grande nel cuore, unico. Ne inframmezzava la consuetudine con altre storie. Non sapeva dire di no. Poi “lui” la picchiava e lei tornava ad amarlo. Non m’importa diceva, di lui, di loro, delle malelingue.

La paura della trasgressione si rimangiò molte di noi. Tornate in famiglia, con le sorelle, le mamme, il buon taglio di capelli, lo smalto alle unghie, l’aria svagata, il ragazzo a posto.

Qualcuna andava via, per altre soluzioni d’esistenza, lasciandosi alle spalle il sorriso fermo delle Signorine siracusane del ´63. Ma loro, quelle del Catalogo intendo, sovrintendevano ancora poggiate a terra o su i banconi di negozio della Signora Strano, a metà di via Roma, davanti al caffè Minerva. A fianco il negozio di alimentari del Signor Calleri: grembiule bianco, matita dietro l’orecchio, la voce rauca e la battuta spiritosa.

Così, tra le tentazioni di una caciotta e la suggestione di un cannolo, si articolavano le vendite di biancheria, intima e no.

La Signora me la ricordo. Capelli castano-biondi, occhi verdi (o grigio celeste). Un’aria quieta e connivente; seduta dietro il bancone ascoltava le richieste, proponeva il modello, dialogava, suggeriva la misura. Tempi impensabili per i nostri giorni. Un buon commercio, una buona comunicazione.

Elina Formica Tocchi