SCRIVEVA SALVO FERLITO NEL 2011: FACCIAMO UN PRG COMMERCIALE E RIDIAMO DECORO AD ORTIGIA
L’odore forte del caffè m’accolse, avevo poco più di tre anni, e papà ci venne a prendere con la seicento azzurra alla stazione. Il suo incarico al sindacato, la CISL, dopo qualche anno di feroci lotte in concorrenza coi comunisti a Lentini lo portava nel capoluogo. Quella era la nostra città e mi accoglieva bene, almeno profumava bene. Il caffè era torrefatto la sera per esser venduto l’indomani mattina nel negozio di via Roma dei Cocinella, piazza Archimede era tutto un mondo d’odori, il caffè all’angolo con via Roma e poi da tutti i lati quelli dei ristoranti e la rosticceria di Cavalieri. Bellissimo e su diversi piani, poi, il ristorante “L’orologio” sotto il famoso orologio del palazzo oggi della Banca d’Italia. Arrivati a casa, proprio sotto casa mia, ebbi l’impatto con l’universo poetico e con il mondo delizioso di un indimenticabile gentiluomo pasticciere, il sig. Marciante e la sua famiglia formata da sei donne e un nipote, Gianfranco Artale, che continua l’arte dello zio in via del Consiglio Reginale. La via Cavour era il posto dove comprare le scarpe, e l’odore intenso di cuoio ti accoglieva, una volta era la via anche dei seggiai e Elio VIttorini vi passava pomeriggi interi a discutere con l’anarchico Failla. Ortigia era Siracusa e continuò ad esserlo anche dopo il suo progressivo spopolamento. La via Catania diventò Corso Gelone e tutta la città si espanse in una notte verso Priolo, dove vi era il lavoro. Adesso dell’isola degli odori non è rimasto nemmeno il profumo. Ortigia aldilà della dimensione oleografica che appartiene ai ricordi dell’infanzia, guardandola con occhio freddo e informato ha ricevuto un notevole impulso, diluito nel tempo, che hanno visto capitali pubblici e privati nel suo rinnovamento estetico e abitativo. Ovvio che nel frattempo che andava spopolandosi e restaurandosi, se da un lato abbiamo avuto un incremento del valore della proprietà immobiliare, dall’altro vi è stato un progressivo azzeramento della popolazione residente, e la cosa più grave la sua trasformazione antropologica. Da mondo interclassista profumato e puzzolente, rimane sempre non molto pulita ed è abitata dai nuovi proprietari che la vivono stagionalmente o per periodi brevi. Altri prendendo appartamenti a settimane, dormendo nelle piccole pensioni a conduzione familiare o nei suoi alberghi, la vivono di passaggio. La sparizione degli esseri umani è stata dettata da esigenze di mercato e dall’ideologia dominante di chi vi ha speculato. Il suo interclassismo era visto come un elemento contrario al principio del buon investimento e chi si è alternato alla guida della città, democristiani ma poi anche la sinistra moderata per una lunga stagione, non ha pensato di promuovere l’edilizia convenzionata e meno che mai quella popolare nel nostro centro storico. S’è preferito per ragioni che potrei anche immaginare “La Pizzuta” alla “Gancia”, “Mazzarrona” alla “Spidduta” e così andando svilendo il tessuto connettivo sociale della città, deportando gli ortigiani e creando sacche abbastanza invivibili e anche brutte esteticamente. Ma siamo sempre in tempo (almeno si spera) per recuperare e cambiare percorso.
Qui mi collego al dibattito cittadino dell’idea di dare all’INDA uno spazio, e qualcuno aveva pensato al Vecchio Mercato. Io sono fortemente contrario. Il mio amico Roberto Fai proponeva invece di dare alle associazioni culturali siracusane una sede per fare delle attività. Non voglio parlare dell’INDA e non ne ho voluto parlare, né vedere i suoi spettacoli in questi ultimi dieci anni perché ho evitato di essere il bastian contrario della città. Mi son tenuto a debita distanza: occhio che non vede… Ma in questa occasione invito con grande serietà a rifiutare ogni proposta che riguardi il Vecchio Mercato che non sia un progetto a favore della dimensione storica di quella parte di città: che il vecchio mercato sia dato ai commercianti del mercato di Siracusa, che si riapra e che si facciano degustazioni del nostro pesce e dei prodotti tipici, con un ristorante di cucina di mercato e che sia vissuto e diventi un punto di riferimento valido per quei lavoratori.
Che ritorni ad essere quello che era, una struttura commerciale al coperto. Questa idea della cultura che è usata come “napalm” per cancellare la storia, questa tendenza autistica che la città non deve odorare di vita deve finire. Nelle città del nord europa tutto si sviluppa a raggiera dal mercato, che si chiami markt platz o rynek poco importa. Il mercato di Marrakech è tutelato dall’UNESCO e fa parte integrante dei luoghi storici del Marocco. Una città è anche e soprattutto il suo mercato. Diamo un segnale vero alla città, rilanciamo l’area dando un piano regolatore commerciale a Ortigia e allora sì la mano pubblica sarà interessante perché si riuscirà a modellare quel centro commerciale naturale dandogli finalmente (si spera) decoro.
Salvatore Ferlito
(2011