QUANDO LA BELLA PILLIRINA ASPETTO’ INUTILMENTE IL MARINAIO INNAMORATO
Ancora miti e leggende. Partiamo dalla leggenda dell’impiccata di palazzo Montalto e poi altre storie.
A SPIRDUTA
Ma dal palazzo Montalto nessuno mai si è buttato. Il cadavere che nel cortile la leggenda dice che una mattina molto remota dal nostro tempo, vi fu trovato, fu trovato impiccato. Suicidio o omicidio, o meglio donnicidio, visto che si trattava del cadavere di una donna? Nessuno mai lo seppe. Fu lo stesso suo uomo che la stessa mattina volle andare alla caserma dei carabinieri: – Viniti! – disse – Viniti! Me‟ mugghieri è appinnuta a ‟na corda! – E fatela scendere, buon uomo! Diamine, così grande e robusto come siete, non riuscite a farla scendere, che chiamate noi? – Penni da ‟na finestra, a pinnuluni! – E allora chiamate i pompieri! – Ma è morta! Pari ‟na jaddhina appinnuta ô croccu! – Ah, morta è? E chi è stato? – E cu‟ ‟u sapi cu‟ fu? Nuddhu! Ju nun c‟era! Accussì l‟haju truvatu arricugghiènnumi di piscari! Due della benemerita arma subito si mossero e andarono dietro a cumpari Janu. Trovarono la povera donna appesa davvero come una gallina al crocco, o, per dare meglio l‟idea, vista la mole, a un tonno appeso all‟uncino su cui si squarta e si tira su nel palischermo; solo che non era un crocco, un uncino ma una robusta “lenza” da pesca d‟altura, con tanto di nodo scorsoio, che più si tira e più si stringe. Il capo era ben legato alla ringhiera del balcone. La corda era abbastanza lunga, da fare penzolare il cadavere alle folate di vento piuttosto freddo che tiravano la mattinata di Santa Lucia. – Ci teneva a vestir bene la signora! Sembra una matrona! – disse uno dei due, un giovanotto piuttosto smilzo settentrionale: si capiva che non era siciliano perché noi non usiamo quella parola o almeno quella pronuncia. Egli infatti stette ad osservarla attentamente per qualche istante. – Avìa statu ê vespri â cattidhrali! – si limitò a dire cumparì Janu. – E voi come lo sapete? – intervenne a dire l‟altro, mentre il primo rimaneva ancora a osservare il cadavere che penzolava, smosso dal forte vento come una bandiera, cercando di cogliere qualche particolare – Non avete detto di aver rincasato adesso dalla pesca? – Oggi è Santa Lucia e vossia sapi ca chiddhi d‟‟o scogghiu â sira prima vanu ê Vespri sulenni pi divuzzioni â santa patrona ‟i Sarausa! Vossia di unn‟è? – Non importa che voi sappiate di dove siamo! – rispose questa volta lo smilzo settentrionale – Importa invece sapere se si è impiccata o è stata impiccata. I moventi? – Pirchì vinti?- domandò cumpari Janu, che in italiano non era affatto forte – Pi „mpiccarisi nun ha abbastatu sulu iddha? – Ho chiesto i moventi, ossia i motivi, le cause, per cui è stata impiccata o, come dite voi, si è impiccata. Voi che dite? Cumpari Janu, che aveva, come si suol dire, il carbone bagnato, rimase un po‟ in disagio; ma solo un po‟ perché, astuto qual era, furbo come una volpe, si riprese subito e rispose: – E chi ni sacciu! Chi ni pozzu sapiri, iu! Povira Luciuzza! – e fece tale scena, da farsi spuntare le lacrime sul serio – Chi beddhu onomasticu facisti! I due convennero che bisognava avvertire subito il procuratore e l‟esperto di medicina legale: – Mentre io torno in caserma ad avvertire chi di dovere – disse lo smilzo settentrionale, che dei due era il graduato – voi non muovetevi di qua! – ‟A putemu scinniri, ‟ntô mentri? – Ho detto voi non muovetevi di qua! Capito? – E cu‟ si movi, allura?! Si era fatto già giorno e cominciò qualcuno a passare da lì, anche se era giorno di festa. Scorgendo cumpari Janu e il carabiniere, il primo che si trovò a dare un‟occhiata da quella parte fu curioso e domandò: – Chi fu? C‟è cosa, cumpari Janu? – Morta è!… Appinnuta! – rispose sforzandosi di trattenere i singhiozzi, che, in verità, ci voleva più sforzo a farli… – Bih, mischinazza! Comu fu? Cu‟ fu? – E cu‟ avia a ‟ssiri? Iddha stissa, s‟appinniu! ‟N colpu di pazzia, fu, di fuddhania!… In men che non si dica, gente ne accorse tanta: quel quartiere è centrale. Tutti a osservare, tutti a domandare: -Comu fu? Cu‟ Fu? – Il perfido cumpari Janu si sforzava solamente di trattenere i finti singhiozzi, asciugandosi con un fazzolettone rosso le lacrime che non spuntavano. Giunse anche don Libboriu, ma sentendo quel chiacchierio e vedendo quella gente, si affrettò a scomparire: lui ne doveva sapere qualcosa: era infatti l‟amante di donna Lucia e immaginò subito cosa fosse accaduto: La sera dei Vespri, infatti, egli era stato in casa di lei, che in cattedrale non vi era andata affatto e si era intrattenuta a letto con lui, sapendo che il marito era andato a pescare e sarebbe tornato solo nelle mattinate. Invece, siccome l‟indomani era la festa di Santa Lucia e la fortuna aveva voluto che pesce ne avesse preso in abbondanza in poco tempo, era tornato che appena era suonata la mezzanotte, portando il pesce a casa. Lei aveva sentito il rumore per la scala e aveva fatto fuggire in fretta l‟amante, dalla porta segreta – sapete che in quei palazzi ce n‟era sempre qualcuna – ma non così in fretta che compari Janu, con la coda dell‟occhio non avesse visto un‟ombra. – Cu‟ c‟era cu tia? – le aveva domandato il marito, che già si sentiva sulla fronte qualcosa che gli faceva prurito… – Nuddhu – aveva risposto donna Luciuzza, mentre si andava un po‟ rassettando. – Comu nuddhu?!… – Nuddhu, ti dicu! Nuddhu! Sula era!… – Ci su‟ allura ‟i spirdi? – Nuddhu, t‟âggiuru! – Dimmi cu‟ c‟era, Luciuzza, sinnò a tia fazzu addivintari spirduta? Lei a dire che non c‟era stato nessuno e lui a insistere a voler sapere chi c‟era stato. A poco a poco cumpari Janu diventò una bestia, una bestia feroce, gli occhi gli diventarono di fiamma; avrebbe voluto prenderla a ceffoni, strapazzarla, massacrarla, ma si tratteneva: era furbo fin troppo per non pensare che quella sarebbe stata capace di andare dai carabinieri, mostrare i lividi, le ammaccature, se non peggio, all‟ospedale, per mandarlo in galera e godersi così il suo amante… – Vidi ca si nun mi dici cu‟ c‟era cu tia, pi quanto è veru ca sugnu ‟n galantomu, ‟n omu d‟anuri, ca certi cosi nun li supportu, ti scannu! E lei sempre a negare; anzi a un certo punto era stata fin troppo provocatrice: – E ammazzimi! Ammazzimi! Accosì finisci in galera, a casa cu „‟n occhiu, ca è cà vicinu! E gli porgeva il collo. Il collo! Fu un lampo! Un‟illuminazione! …Nella stessa stanza c‟erano alcuni attrezzi da pesca, anche un conzo… fili di tutti gli spessori, anche quelli che avrebbero potuto reggere il peso di un tonno anche ben più pesante di un uomo, di una donna, specialmente, come donna Lucia, che sottile e delicata com‟era, non raggiungeva nemmeno il mezzo quintale… Ne scelse uno adatto, di un paio di metri: scorrendo per il collo avrebbe cancellato benissimo le sue impronte! Donna Lucia ebbe un brivido, capì cosa intendeva fare il marito, ma non ebbe più il tempo di fuggire dalla stanza, di gridare, di muoversi, ché quello, da esperto del mestiere, le passò come un lampo il cappio al collo, la trascinò dal letto al balcone che già aveva perso i sensi: legare l‟altra punta della corda al balcone, sollevarla ormai inanime e lasciarla pendere come un pupazzo, era stata questione di pochi attimi. Era uscito nuovamente di casa, portandosi dietro la sporta del pesce prima pescato, era tornato sulla sua barca: mettersi al largo senza che nessuno si fosse accorto di nulla, era stata una cosa da nulla. Sul far del giorno, come faceva al solito, era tornato a casa, era entrato nella camera da letto, dove a quell‟ora donna Lucia continuava, di solito, a dormire, aveva cominciato a chiamarla, prima sottovoce, poi a squarciagola, senza, ovviamente, sentire risposta; quindi era andato in caserma: un piano veramente diabolico! Il piano diabolico funzionò perfettamente in tutti i particolari: nessuno immaginò mai che fosse stato lui a impiccare la moglie: “‟N colpu di pazzia fu, di fuddhania! – tutti si dissero – Poviru cumpari Janu; nun la miritava ‟sta disgrazzia!” “E Don Libboriu?”- direte voi : quello non parlò affatto; riteneva, infatti, che se avesse parlato ci sarebbe andato di mezzo anche lui: – I moventi? – aveva domandato lo smilzo carabiniere settentrionale. Non sapeva che in Sicilia, a quei tempi specialmente, i tradimenti si pagavano salato! Ma non finì lì. Cumpari Janu a letto non sapeva dormire solo: era abituato a dormire con donna Lucia, senza mai essersi accorto che lei da qualche tempo, appena messasi a letto, si voltava dall‟altra parte, dicendogli che si sentiva morire dal sonno e davvero si addormentava subito, che pareva una statua…Cominciò, perciò a soffrire di insonnia, ad avere gli incubi. Appena chiudeva un po‟ gli occhi li riapriva di soprassalto, saltava a sedersi nel letto tutto tremante, gridando: – ‟A spirduta! ‟A spirduta! Che gli apparisse davvero il fantasma di donna Lucia, chi lo può dire? Si alzava dal letto, invaso dal terrore, accendeva il lampadario, pensando che con la luce il fantasma sparisse… ma no! Il fantasma lo doveva avere dentro, nella coscienza; andava in cucina , a prendersi una “carmìna”, due, tre… fino a stordirsi, ma il fantasma gli era sempre davanti agli occhi! Si aggirava di stanza in stanza per la casa, pallido e stralunato che pareva lui stesso uno spirito. Allora si vestiva in tutta fretta e usciva di casa, sempre cercando di sottrarsi alla terribile visione mentre, tremando come una foglia, arrivato in piazza vi si aggirava attorno finché incontrava qualcuno, che vedendolo così stralunato gli domandava cosa avesse; egli allora si stringeva forte a lui e con un fil di voce, stremato, pallido e madido di freddo sudore,gli diceva : – ‟A spirduta! ‟A spirduta! Furono pochi giorni, o meglio poche notte, chè l‟ultima fu ancora più terribile. Appena chiusi gli occhi sobbalzò con il cuore in gola e così com‟era, in mutandoni fuggì di casa, questa volta urlando come un forsennato: – ‟A spirduta! ‟A spirduta! Cu iddha mi voli! Cu iddha!… Siccome era appena la mezzanotte e parecchi non erano andati a letto, accorsero a quelle urla: lo videro barcollare mentre con tutto il fiato che aveva in gola andava gridando: -‟A spirduta!…‟A spirduta!…Vattinni! Cadde e non si mosse più: un infarto lo aveva fulminato. Da allora quell‟angolo di Ortigia venne chiamato con il nome con cui oggi tutti lo conosciamo. Ma lo spirito non l‟ha visto mai nessuno.
IL PUPARO SIRACUSANO
Un allievo di Socrate, l’ateniese Senofonte, ci parla di un puparo, un siciliano di Siracusa, che con le sue marionette rallegrò il convito offerto da Callia in onore di Autolico, vincitore di una gara atletica. Al convito, che sarebbe avvenuto nel 421 a.C., era presente anche Socrate, che richiese al puparo siciliano di fare ballare le sue marionette, ed egli eseguì la danza di Bacco e Arianna. Terminato lo spettacolo, Socrate gli chiese che cosa desiderasse per essere felice: il puparo di Siracusa, con arguzia tutta siciliana, gli rispose: “Che ci siano molti sciocchi, perchè essi, accorrendo allo spettacolo dei miei burattini, mi procurano da vivere”.
IL TESORO DI CALAFARINA
La grotta di Calafarina si trova presso Pachino a Marzamemi, il cui toponimo deriva dall‟arabo Marsa-al-haman, che significa il “porto delle colombe”.Una leggenda locale afferma che dentro la grotta di Calafarina gli arabi, sconfitti dai normanni, prima di partire per l‟Africa, ammucchiarono i loro ingenti tesori, ivi trasportati con 100 muli; e vi sgozzarono i loro schiavi mori, per lasciarli come guardiani di questa travatura. A Pachino si assicura che, nelle notti di tempesta, si sentano ancora le grida di questi sventurati guardiani.Perché non provate voi a liberarli, col vantaggio di diventare ricchi?
A PILLIRINA
La costa est della penisola della Maddalena, così chiamata per l’esistenza un tempo su di essa di una chiesetta dedicata appunto a Maria Maddalena, è anche nota dai Siracusani come ‘a Piddirina, la Pellegrina. Il nome si ricollega ad una leggenda di pescatori, secondo cui, un tempo, un giovane marinaio ed una giovane fanciulla erano soliti incontrarsi in tutte le notti di luna piena nella grotta posta in fondo alla Cala della Pillirina per amarsi appassionatamente su di un letto di alghe. Un brutto giorno, anzi una brutta notte, la giovane si recò come sempre nella grotta per aspettare il suo bel marinaio, ma questi non si fece vedere nè allora, nè mai più (come peraltro pare sia uso frequente fra i suoi colleghi). La giovane non si diede per vinta e da allora andò pellegrinando più e più volte nei dintorni della grotta, ma sempre invano. I pescatori raccontano che ancora oggi, bordeggiando nei pressi della grotta nelle notti di luna piena, sia possibile vedere racchiusa in un fascio di luce lunare la povera Pellegrina, che aspetta invano il suo giovane marinaio.
GIUFA : TIRATI LA PORTA
‘Na vota la matri di Giufà si ‘nni ju a la Missa e dissi a sò figliu: – Giufà, vaju a la Missa; tirati la porta e mi veni a truvari a la chesa. Giufà, comu niscíu sò matri, piglià la porta e la misi a tirari; e tira e tira, tantu furzau ca la porta si nnì vinni. Giufà si la càrrica ‘n coddu, e va a la Chiesa a jittariccilla davanti di sò matri: – Ccà cc’è la porta!… Naturalmenti so matri ci detti ‘na bonna fracchiata di lignati. Su’ cosi di fari chisti?