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SIRACUSA INTITOLO’ DUE STRADE A DAMONE E PITIA, ECCO LA STORIA DELLA LORO AMICIZIA

Damone e Pitia, un’amicizia  oltre la morte.

Un legame imperituro che oggi i giovani difficilmente sanno riconoscere, connessi nella loro individualità

La terra del grano, la’ dove i raggi del sole sfiorano delicatamente e insistentemente ogni luogo e ogni dove, era abitata ai tempi dei tempi, dagli antichi greci che la colonizzarono e portarono benessere ed opulenza.

Essi trovarono qui terreno fecondo e fruttifero, un mare dalle acque immobili, chiare e azzurre, un astro giocoso e giocondo, una terra placida, fertile, variopinta. Una terra pero’ abitata da tiranni d’assalto che si alternavano a seguito di  feroci e devastanti vicende.

Uno di questi autocrati fu Dionisio, uno dei despoti più cattivi che mai la storia potesse  immaginare. Era il tiranno dei tiranni e sebbene avesse portato Siracusa ad una grande espansione territoriale, con il popolo era veramente spietato.

Per avere il controllo della situazione, fece costruire una cava di pietra buia, stretta ed umida dalla forma ad esse, tale da sembrare un orecchio e dove il perfido Dionisio faceva rinchiudere tutti i prigionieri.

Questa grotta aveva una curiosa particolarità, quella di generare un potente eco, così Dionisio avvicinandosi ad una fessura, poteva sentire tutte le conversazioni dei prigionieri. Per lo più, ovviamente maldicenze, e lui  a sentirle, diventava sempre più malvagio e, a quel punto, adirato più che mai, come solo i tiranni sanno fare, prendeva due o tre, a volte persino quattro uomini e li dava in pasto ai cani.

Voi capite bene che un tipo così non godeva affatto di una buona reputazione. Così  tutti i cittadini versavano in uno stato di inquietudine e diffuso malcontento. Ma guai a contraddirlo o a manifestare palesemente qualcosa contro di lui!

Anche Damone e Pitia, due ragazzi scalmanati che insieme ne combinavano di tutti i colori, parlavano male e avevano da ridire su come Dionisio governava.

“Uno così, diceva Pitia baldanzosamente, non può che portare arretratezza e discordia”.

E si discuteva e si discuteva, ora di quanto fosse pericoloso e spietato  Dionisio, ora di quanto fosse ingiusto il suo modo di governare.

Come fu e come non fu, queste chiacchiere arrivarono un giorno all’orecchio di Dionisio, così con il fumo che gli usciva dagli occhi e con le sue barbute e canute gote, dall’alto del suo potere, ordinò ai suoi soldati di arrestare Pitia e portarlo al suo cospetto.

“Per tutti i numi e gli dei dell’Olimpo, chi è  costui che osa parlare di me dicendo peste e corna?

Non sa che colui che ha fatto grande la città, è degno di onori e di gloria? Portate al mio cospetto questo Pitia. Passerà i suoi anni alla garrota o, peggio ancora, sarà dato in pasto ai cani”.

Bofonchio’ l’ adirato Dionisio.

Fu così che Pitia fu condotto davanti al tiranno senza proferir parola. Accanto a lui c’era il fedele Damone, l’amico di sempre a dargli sostegno.

“ Dimmi –  disse Dionisio  – perché osi diffondere maldicenze su di me, quando invece dovresti avere riconoscenza e rispetto per il tuo sovrano. Guardie, mettete alla garrota quest’uomo, gettate le chiavi e…sì, preparate i cani”.

A questo punto l’amico Damone, a difesa di Pitia prese, esitando e tentennando, la parola: “ Sire, abbiate pietà di quella donna che  ha partorito il suo unico figlio e aspetta pazientemente il suo ritorno. Impazzirà  di dolore quando non lo vedra’ più. Prendete me al suo posto. La mia morte non sarà pianta da nessuno. Non ho una madre, ne’ una moglie che piangeranno le mie spoglie”.

“Damone, che dici mai”! Ribatte’ Pitia,  stupito dalle parole dell’amico! “Cosi’ non farai altro che complicare la situazione”!

“Sono deciso  e  sicuro di quello che affermo.  Sia così, Sire. Prendete me e lasciate libero Pitia”.

“Stolto di un cane, come puoi pensare che il tuo amico Pitia possa ritornare e salvarti dalla morte. Ma sia. Imprigionerò te e lascerò libero Pitia. Se è questo il volere degli dei”. Sentenziò lapidariamente il despota.

“Damone, amico mio, – disse Pitia – ti prometto che ritornerò in tempo e adempirò al mio supplizio. Saluterò colei che mi ha messo alla luce e tornerò a liberarti”.

Detto questo andò via, mentre Damone fu portato alla garrota.

Fu così che Pitia tornò a casa a salutare la madre.

Ma voi sapete, i luoghi a quei tempi non erano facili da raggiungere, non c’erano strade, ne’ stradine, ne’ ponti e così, lenti lenti passavano i giorni, le settimane e pure i mesi. E Pitia non tornava.

Sempre più difficile si faceva la situazione di Damone che inerme, solo e solitario, aspettava l’arrivo del fraterno amico.

Dionisio non poteva più attendere, così un giorno, diede ordine di organizzare la cerimonia  del supplizio generale, una sorta di festa popolare dove i cittadini potevano assistere alla macabra esecuzione.

Il giorno del martirio era arrivato e di Pitia neanche l’ombra.

Ormai tutto faceva pensare che fosse scappato lontano e che avesse lasciato Damone solo con i guai che non erano i suoi.

Tuttavia, era pronto per il sacrificio. Sarebbe morto per la salvezza dell’amico, ma non ne soffriva.

Un amico, chi c’è l’ha, è per sempre. Del resto la sua morte non l’avrebbe pianta nessuna e nessuno si sarebbe accorto della sua morte. Un perfetto equilibrio di sintesi. La fine della sua vita sarebbe stata uno spettacolo per i cittadini, un motivo di festa, un modo per dire a tutti che chi vuole male al proprio re, la fine sarebbe stata  quella.

Nessuno più credeva che Pitia sarebbe tornato e Dionisio era pronto a liberare i cani che aspettavano da giorni il cibo, quando…

“Fermi tutti”! Una voce roboante arrivò improvvisa e fece trasalire la folla. Pitia era lì, trasudato e ansimante. Si avvicinò a Damone dicendogli:

“Scusami, fratello mio. La strada era impervia e lungo il cammino ho incontrato più volte  banditi e briganti, ma ora eccomi qua. Mai avrei potuto tradirti”.

“E tu, Dionisio, libera Damone, sono qui, sono tornato.  Adesso sono pronto per essere sacrificato, pronto per espiare la mia condanna e  libera questo innocente”.

“Pitia, – disse Dionisio – la devozione verso il tuo amico è esemplare ed io rimango sbalordito e attonito di cotanta fedeltà. Tu, anzi voi due, mi state dando un esempio di grande amicizia.

Ebbene, voglio premiare la vostra lealtà e quindi lascio entrambi liberi  di andare. Anzi, dirò di più. Vi dico pure grazie per questa lezione di vita e di grande rispetto che avete avuto l’uno con l’altro.

Non ho mai visto due amici legati da una solida unione. Questa si’ che è vera amicizia, un grande esempio di dedizione e di nobile sacrificio d’amore”.

Fu così che Damone e Pitia furono liberati e i cani rimasero a bocca asciutta.

Per inneggiare la grande, ammirevole amicizia di Damone e Pitia,  Siracusa  ha dedicato due vie cittadine a questo esempio di grande dedizione.

Damone e Pitia vicini per sempre, l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, sempre e comunque amici per sempre. E così, in quella terra che profuma di zagara e gelsomino e di occasioni perdute, Damone e Pitia rappresentano  l’esempio più alto di un’amicizia vera e genuina, con la consapevolezza  che l’amore e il rispetto vincono su tutto.

Qui invenit amicum invenit thesaurum.

Graziella Fortuna