BONINA INTERVISTATO DA TURI MAIORCA: FRA “CASO SIRACUSA” E “SISTEMA SIRACUSA” LA DIFFERENZA C’E’ ED E’ SOTTILE
Caso Siracusa e «Sistema Siracusa»: due nebulose del potere nelle quali Gianni Bonina, che ben conosce questa realtà, affonda un bisturi impietoso ma necessario. E il centro di questo “sistema solare” è Palazzo Vermexio, la sede del Comune. Ecco l’analisi in questo decalogo di domande e risposte.
Hai definito “caso Siracusa” la situazione in cui si trova oggi questa città. Già da qualche tempo i magistrati hanno messo sotto la loro lente quel che è stato definito “sistema Siracusa”. Si tratta di due facce della stessa medaglia o che altro?
«Una differenza c’è ed è sottile: il caso Siracusa è quello che ha portato il Comune ad essere il più inquisito d’Italia, il sistema Siracusa quello che regola i rapporti di scambio che dal Comune promanano verso enti, istituzioni e parti sociali. Se vogliamo, possiamo vedere nel caso Siracusa il fenomeno acuto e nel sistema Siracusa il male cronico: circolazione sanguigna arteriosa, più superficiale, e circolazione sanguigna venosa, più profonda. Il cuore batte certamente a Palazzo Vermexio, dove il sistema ha il suo centro di gravità. Ma aggiornerei questa proporzione, giacché caso Siracusa e sistema Siracusa hanno dato vita oggi a una “singolarità”, come sono chiamati i fenomeni cosmici che non si capiscono. Direi dunque per Siracusa quanto Sciascia diceva per la Sicilia: «L’unica cosa che si capisce è che non si capisce niente». Per capirci qualcosa occorre partire da un dato: in Sicilia il municipio di Siracusa esercita un potere molto più grande rispetto agli altri palazzi di città, nel senso che ha un peso maggiore nelle decisioni di scenario. Il solo fatto che un sindaco possa ottenere, grazie ai suoi avvocati, di essere interrogato in Procura come imputato solo dopo le elezioni comunali, così da non turbarsi e non turbare l’elettorato, quando semmai dovrebbe essere sentito subito in modo da dissipare ogni dubbio, dimostra la presenza di vasi comunicanti nel quali scorre la stessa linfa che ha un’unica fonte. Detto questo, senza volere essere frainteso, vedo applicata una teoria molto siciliana: dove la mafia non è dominante, tale da influenzare la politica, è la politica a svolgere il ruolo della mafia, se per mafia, mafia imprenditrice, si intende la subordinazione degli interessi pubblici a quelli di parte o di partito. La fitta combinazione di rapporti che legano pressoché tutte le sfere istituzionali di Siracusa depone per il fondamento di tale teoria. Che presenta aspetti appunto singolari nei casi Frontino, Princiotta, Piccione, Calafiore, visti nell’intreccio di forze eterogenee che portano ad altri casi come il caso Amara, il caso Gemelli, il caso Longo, il caso Villa Rizzo, tutti occorsi in una stagione che alla fine non poteva non implodere. Fammelo dire con brutalità: in presenza di una mafia come la conosciamo non si sarebbe avuto nulla di tutto questo o comunque avremmo avuto effetti ben diversi. Dobbiamo allora auspicarci una mafia forte? Certo che no, epperò siamo in Sicilia dove sinonimo di mafia è diventata la locuzione “poteri forti”. Tutti ci auguriamo l’equivalenza “niente mafia e niente poteri forti”, sennonché in democrazia e in Sicilia i vuoti si colmano e dove l’autorità recede a crescere è il potere, quello mafioso o quello forte. A Siracusa è invalso il secondo».
Nella tua analisi del “caso Siracusa” indichi come principali responsabili il sindaco Francesco Italia e l’assessore Fabio Granata. Ma chiami in causa anche l’arcivescovo Pappalardo. Quali elementi ti portano a questa diagnosi che, per la prima volta in questa città, coinvolge la curia e personalmente l’arcivescovo?
«E’ senz’altro un fatto nuovo, o meglio divenuto noto solo adesso, la commistione tra sfera laica e sfera clericale. E’ come se, nel nome e in omaggio di figure che partecipano delle due nature e tengono un piede in curia e un altro in municipio, fosse stato sottoscritto una specie di concordato grazie al quale viene stabilita una condotta comune quanto soprattutto alla gestione dei rispettivi beni culturali e turistici. Analoghe appaiono anche le dinamiche, visto che l’attuale arcivescovo mostra molta attenzione al secolo e alla sua caducità, come nel caso dell’ente Santuario. Ma lasciami anche dire che la stampa siracusana dovrebbe tenere gli occhi più aperti. Invece vedo che è più consolatoria che propositiva. Forse anche questo è spia di una città che si va distinguendo per la sua eterogenesi dei fini e il suo multiforme spirito di disinganno. Pensa a Fabio Granata, campione di rivolgimento: uomo endemicamente di destra, candidato sindaco contro il garozzismo renziano, non ha esitato a fare da assessore a Italia, delfino di Garozzo, pur di tornare a gestire potere. Siamo ancora lì: a Siracusa la prima questione è quella dell’esercizio del potere fine a se stesso e ai suoi detentori».
Questi amministratori comunali si riempiono la bocca di turismo e cultura. Ma vedi nelle loro azioni qualcosa che si possa concretamente definire di cultura e per la cultura?
«A Siracusa, proprio perché è Siracusa, bisognerebbe sottoporre ogni candidato sindaco a un preventivo esame non dico di cultura generale ma di cultura aretusea, altrimenti si avranno sempre sindaci come Garozzo che davanti al ministro Franceschini disse “Aulìde” e “Supplìci” e come Italia che crede che Siracusa faccia parte della Magna Grecia. L’unico possibile amministratore che vedo degno del ruolo richiesto, nello spirito della Siracusa di Platone, è Granata, ma purtroppo lui ha altri difetti. Il problema è che tutti i politici – e a Siracusa non dovrebbe farlo nessuno – parlano di cultura e di turismo come se fossero la stessa cosa e intendono il secondo in funzione della prima. Un errore strutturale e imperdonabile».
A proposito di cultura non si può non parlare, in primo piano, della gestione del Teatro Comunale affidata a quattro amici senza alcun titolo né esperienza di settore. Non credi che non si possa più andare avanti così, senza un bando pubblico per la gestione e uno per la nomina di un direttore artistico?
«Il male che sta strozzando Siracusa è il forsennato processo di privatizzazione dei beni culturali, una pratica che proprio a Siracusa dovrebbe essere vietata per legge, giacché non dovrebbe esserci una sola pietra che non sia in mano pubblica. E ciò per gli effetti degli interessi in gioco che vengono confusi: quelli privati sono diretti a monetizzare il turismo, mentre quelli pubblici perseguono la valorizzazione del sito culturale. Credo che Siracusa, la prima città d’arte sotto Napoli e la più importante città dell’antichità nel Mediterraneo dopo Roma (ma solo perché Siracusa rinunciò anzitempo a conquistarla), debba sperimentare la distinzione tra turismo e cultura, cosa che nessun Comune fa, men che meno la Regione. Fino a quando in ogni delibera comunale leggeremo che “il Comune promuove una politica turistica volta alla valorizzazione dei beni monumentali”, quando dovrebbe essere esattamente il contrario, Siracusa è destinata a rimanere la città che vedeva Vincenzo Consolo: bellissima e guasta. Io dico guastata. Il Teatro comunale, dici. E’ l’esempio di come non dovrebbe mai essere amministrata una città. Ma del resto, se Garozzo è stato capace di privatizzare persino l’acqua, che lo sia il teatro è solo un atto di coerenza con una politica del tutto insensata».
Turismo. Oggi arrivare a Siracusa costa un sacco di soldi in aereo ed è estremamente difficoltoso in treno. Per una famiglia non rimane che la macchina. Ma già la città è piena di macchine perchè il servizio pubblico di trasporto urbano non funziona, quasi non esiste. Per di più le strade urbane hanno un suolo lunare. Vigili urbani non ne esistono più su strada se non per contravvenzioni a divieti di sosta e rimozioni forzate. Il soggiorno in albergo costa un occhio e i b&b sono in granparte abusivi e non offrono i servizi del b&b. I beni culturali sono mal gestiti. In definitiva non c’è accoglienza né facilità di accesso. Non credi che per fare davvero turismo si debba cominciare da infrastrutture e servizi nonché da una cultura dell’accoglienza che ancora, per dirla con Carosio, latita?
«Più che una cultura dell’accoglienza io vedo perseguita una logica dello sfruttamento del turista. Che a Siracusa sembra prendere le vesti del pollo da spennare. Basti pensare alla trappola dei ticket per il parcheggio. In tutte le città del mondo un ticket vale per posteggiare dappertutto, invece a Siracusa – senza nessun avviso – ogni parcheggio ha la sua gestione, che sia di una cooperativa privata (ovviamente) o della Polizia municipale. Tutte le agevolazioni sono concepite a favore del cittadino residente (dalle tessere di sosta agli sconti per gli Spettacoli classici agli accessi nel centro storico), che è quello che vota e che quindi giova, mentre il turista in macchina o in pullman è letteralmente vessato. E guai se gli scappa la pipì, perché diventa un’impresa anche voler pagare in un bar. Tu pensi a infrastrutture e servizi. Io penso che sarebbe già gran cosa provvedere ai servizi igienici».
Economia. Abbiamo distrutto l’industria senza preoccuparci di precostituire un’alternativa di sviluppo e occupazione. Non abbiamo infrastrutture e servizi per l’agricoltura, come viabilità “di penetrazione” nell’entroterra e trasporti. Abbiamo un terziario che zoppica. Vistosamente. Abbiamo un porto sostanzialmente non gestito. Abbiamo perso Camera di commercio, Banca d’Italia, collegamenti ferroviari con Palermo e sulle lunghe percorrenze, collegamenti dedicati per l’aeroporto di Catania, mentre quello di Comiso è praticamente irraggiungibile, la cosiddetta autostrada Siracusa-Gela si è fermata a Rosolini … e ancora … e ancora … le carenze sono come gli esami di Eduardo: “non finiscono mai”. Non credi che il Comune, il sindaco in prima persona, debbano finalmente occuparsi di tutto questo?
«Non bisogna imputare al Comune responsabilità che del Comune non sono. E bisogna anche considerare che nelle condizioni di Siracusa si trovano tantissime città siciliane, a cominciare – senza andare lontano – da Noto. La verità è che Siracusa manca di quelle personalità, da Verzotto a Lo Bello, ma ci metterei pure Nicita e Foti, il profeta di ieri e non il patriarca di oggi, che hanno portato risultati a casa facendosi valere a Roma e a Palermo. Oggi non c’è nessuno che possa non dico battere i pugni sul tavolo ma nemmeno alzare un dito per chiedere la parola. E comunque non si può chiedere a nessun sindaco di fare anche il solo ordinario senza risorse finanziarie e trasferimenti. Certo, non è che prima della grande crisi, quando le casse comunali straripavano, Siracusa era Babilonia e sprizzava salute, altrimenti oggi non sarebbe ridotta allo stato che tu riepiloghi.
Se il sindaco debba occuparsi di tutto questo? Senz’altro. Ma quale sindaco? Italia? Quello che i siracusani hanno eletto pur sapendo che politicamente è nato da una costola di Garozzo, la cui sola cosa davvero azzeccata è stata di uscire di scena? I siracusani non vogliono il cambiamento, ma poi si lamentano che le cose non cambiano».
Il sindaco Italia, oltre a parlamentari vari, si è esibito in questi giorni sul caso “Sea Watch”. Non credi che sia invece il caso di lasciare che di questi poveri cristi si occupino le autorità preposte a questa materia e occuparsi invece della città che va in malora?
«E’ più facile trovare chi fa l’elemosina nel momento in cui qualcuno lo guarda che chi evita di farsi vedere. Nel migliore atto si cerca sempre una ricaduta d’immagine. Per la Sea-Watch si è assistito da parte dell’intera classe dirigente siracusana – e ci metto pure la Chiesa e i molti enti privati – a una gara di visibilità e non di solidarietà. Ora sappiamo che quando vuole Siracusa sa mobilitarsi con grande slancio.
Di conseguenza non ci potranno più essere alibi di fronte a un eventuale corteo di disperati siracusani che chiedano domani aiuto sventolando le ricevute delle tasse comunali pagate. Italia ha voluto soccorrere, come fa il cuculo, cittadini estranei e stranieri, dando certamente un bell’esempio. Gli costerà molto meno dare disposizione ai Servizi sociali di trattare da oggi in poi con ogni cura e premura i disoccupati, i disagiati, i senzatetto e i disperati suoi concittadini e magari suoi elettori che chiederanno un sussidio. Se non lo farà si renderà responsabile di una gravissima discriminazione e ammetterà di aver commesso un gratuito atto di autopromozione».
Più in generale, che pensi del fenomeno migratorio che sta massicciamente coinvolgendo il nostro territorio, sia costiero che interno?
«Penso che fece bene lo scrittore Witold Gombrowicz il giorno in cui scese sulla spiaggia e vide uno scarafaggio a ventre in aria: accorse e lo salvò. Poi vide un altro scarafaggio rovesciato e fece la stessa cosa, così continuando alacre e premuroso finché alzò gli occhi e si accorse che tutta la spiaggia era piena di scarafaggi morenti. A quel punto sospirò e andò via».
– E che pensi della Borgata Santa Lucia, abbandonata dal Comune nonostante la proclamazione di “secondo centro storico”, dopo Ortigia, la quale peraltro contiene tesori come il Liberty, la chiesa (ora basilica) di Santa Lucia fuori le mura o al Sepolcro, il vicino tempietto del sepolcro della Santa Patrona, le catacombe che si collegano a quelle (quelle, sì, valorizzate) di San Giovanni?
«Mi preoccuperei più delle borgate che stanno perdendo ogni identità, a differenza di Santa Lucia che, nonostante il voltafaccia del Comune, costituisce il centro storico spirituale dei siracusani o per meglio dire il “cuore storico” grazie a Santa Lucia. Penso alla Mazzarrona che l’ex sindaco Garozzo immaginò di poter rivitalizzare portandovi concerti milionari e piste ciclabili. Penso a Grottasanta, dove un barbone è stato ucciso per mancanza di servizi sociali, e penso alle periferie della città, dalla Pizzuta a Villaggio Miano, che attendono da sempre una reale integrazione».
In definitiva, pensi che ci sia materia da aggiungere, a pieno titolo, alle indagini già avviate sul “sistema Siracusa” per“diagnosticare”, finalmente, il complessivo (e complesso) “caso Siracusa” e cercare utili rimedi?
«Per tornare da dove siamo partiti, direi che il sistema Siracusa è un buco nero che ingoia ogni cosa. Esso delinea un grande comitato d’affari che cresce come il sistema solare. La mancanza di uomini forti ha determinato un livellamento che rende tutti dei potenziari. E credo che questo sistema divida i siracusani in due categorie: chi c’è dentro e chi ci vuole essere. Se non fossero intervenuti fattori esogeni nazionali che ce lo hanno svelato, oggi continuerebbe a orbitare come un pianeta sconosciuto ai suoi stessi abitanti: al punto che quanti hanno creduto di denunciarlo, come ha fatto Giancarlo Garozzo, non si sono nemmeno resi conto di esserci dentro. E hanno fatto come Guy de Maupassant che detestava tanto la Torre Eiffel da andarci a stare tutto il giorno per non vederla».
Salvatore Maiorca