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STORIE SIRACUSANE. RACCONTA ARMANDO GRECO: SAPEVO TUTTO SUL CASINO DELLA BIANCA MONTI, MA NON POTEVO ENTRARE

Nel 1958 avevo poco più di 16 anni e ne dimostravo a malapena 14. Non avevo i 18 anni richiesti dalla legge per poter avere accesso in un casino, nè possedevo una carta d’identità da falsificare, come facevano i miei coetanei. Ascoltavo avidamente i coloriti resoconti degli amici più fortunati, che parlavano degli arrivi della nuova “quindicina”, descrivendo con dovizia di particolari le tornite gambe di Marcella la bolognese, le opulente natiche di Lulù la messinese, il gran seno di Wanda la barese. Sapevo ormai tutto del casino della Bianca Monti (da tutti chiamato ‘u casinu ra Biancamonte), il più noto della città, che si trovava in una palazzina a due piani nei pressi dell’attuale mercato ittico, dietro i binari della Stazione Marittima, dove esistevano due altre “case” meno conosciute, definite “popolari”, cioè frequentate dal popolino per i loro prezzi più abbordabili. In quella stradina senza asfalto, nei pressi del macello che si trovava proprio lì, la casa Bianca Monti rappresentava il meglio ilei postriboli siracusani, l’unico posto dove al primo piano, per 360 lire le puttane “più di lusso” ricevevano i rappresentanti della media borghesia, commercianti, professionisti e perfino, si diceva, qual¬che prete della provincia vestito “in borghese” per evitare di farsi riconoscere dagli altri clienti. Il piano terra, invece, dove si pagava 200 lire, era frequentato da chi aveva meno da spendere: operai, militari e studenti. C’erano ragazze passabili, graziose ma prive di quella carica erotica che possedevano “quelle” del primo piano, facilmente distinguibili dalle forme e dalla tariffa. Col variare della tariffa, variava naturalmente l’arredo della casa. In basso una sala densa di fumo di sigarette, sedie e tavolini da una parte, alle pareti stampe di poco conto con soggetti rappresentanti nudi femminili mitologici: Susanna e i vecchioni, Leda e il cigno, gli amori di Dafne e Cloe, ninfe inseguite nei boschi da satiri ben forniti di attributi, vecchie gigantografie color seppia di ragazze discinte appartenenti all’epoca d’oro dei bordelli. 

Armando Greco

 

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