Politica

LE BIMBETTE INCENDIARIE E LA “GROTTA DEL CAPITANO”

Se la “grotta del contrabbando” è legata a un fatto di cronaca,  la grotta del capitano è legata sia ad un fatto di cronaca che ad una leggenda.

La “ Grotta del Capitano” è pure a Ognina. Non è legata solamente ad un fatto di cronaca come quella “ d’’o ’ntrallazzu”, bensì anche ad una leggenda marinara che pochi conoscono e che mi venne raccontata da un vecchio pescatore della zona che l’aveva avuta raccontata dal nonno e questo a sua volta dal proprio nonno…Ad onor del vero la grotta, che appare solo in parte opera del mare, visto che in fondo si presenta come una specie di catacomba che all’improvviso viene ostruita da una frana, avrebbe pure un suo fatterello di cronaca nera, se il comandante della stessa caserma di Finanza non fosse stato così comprensivo e generoso…Infatti, qualcuno che non conosce la leggenda del Capitano, ha simpaticamente definito quella grotta, su cui in questi giorni è stato inaugurato un elegante ristorante, che però non permette di visitare la grotta per il motivo che vi è pericolo di crolli… la “ grotta delle piromani”.

Veramente, il barone Pupillo pare che avrebbe promesso a Padre Carlo Ramondetta di cederla per farne una suggestiva chiesetta per la messa domenicale dei numerosi villeggianti. Ma un conto è la promessa verbale e un conto è la solennità d’un testamento. Pare anche che lo stesso barone Pupillo avrebbe avuto l’idea di realizzarvi la coltivazione dei funghi, data l’umidità che in essa vi è e dato che in diversi tratti della vasta area sotterranea filtra acqua quasi per tutto l’arco dell’anno. Circa lo stesso periodo in cui avvenne l’episodio dei contrabbandieri che si riferisce all’altra grotta, quella che è vicina alla torre, mentre questa è a due passi dal porticciolo, c’erano due birbe di ragazzine che, quando i loro cari andavano a trascorrere il week end nella loro villetta a Ognina, solevano trascorrere il tempo scorrazzando nei dintorni. Si erano, dunque, allontanate, le due birbanti cuginette, dalla villetta dei loro cari ed erano penetrate nella grotta. Allora i pescatori usavano custodirvi le barche e le nasse, quando, di inverno, non le usavano per la pesca.

Non conoscendole cosa fossero le nasse e scambiandole forse per due grandi gabbie inutili di uccelli, le bimbette terribili avevano ammassato attorno a queste delle erbe secche e diedero fuoco. Strano come quelle procaci piromani passeggiassero con la scatola di fiammiferi!. Fortuna volle che uno dei vecchi pescatori fosse venuto, proprio in quel frangente, a dare un’occhiata di sorveglianza alla grotta: attratto dal fumo che vedeva uscire dalla grotta affrettò il passo per rendersi conto di ciò che stava accadendo. Fu in quel momento che vide uscire tranquillamente le due bimbette incendiarie. Capì a volo: non fece alcuna fatica ad acchiapparle entrambe, visto che le due piccole incoscienti non si erano rese conto assolutamente di ciò che stavano provocando e già passeggiavano come se nulla fosse stato…Le agguantò una con una mano, l’altra con l’altra mano e le riportò dentro per constatare meglio il danno che stavano provocando. Vide che per le barche non vi era pericolo ma che le nasse erano già ridotte in cenere. Urlando come un energumeno il pescatore condusse le due minipiromani che invano cercavano di divincolarsi e piagnucolavano, in caserma, dove illustrò al Comandante il fatto, anzi il misfatto…

Il finanziere stava per stilare il verbale quando la notizia dell’incendio e del fermo giunse al genitore di Rosanna, il professore X, che si precipitò in caserma; egli era molto noto anche ai finanzieri: non gli fu difficile dissuadere il Comandante dalla verbalizzazione e così le piccole fuochiste vennero rilasciate. Giunte a casa, però, l’una e l’altra ricevettero una nutrita scarica di schiaffoni e così si tolsero il vizio di toccare i fiammiferi.

Il bello, tuttavia, sta nel fatto che esse, da autentiche irresponsabili, ancora domandavano. Ma c’àmu fattu?

La leggenda che dà il nome alla grotta dice che un giorno, al tempo quando i Saraceni assalivano e devastavano le coste italiane, un gruppo di navi pirate stavano facendo rotta per Siracusa, provenienti dall’Africa. Prima di assalire la città aretusea, si narra che sbarcassero in quello che ora è l’isolotto di Ognina e che allora era solo un promontorio collegato alla terraferma, staccatosi successivamente per bradisismo.

Lì attraccavano numerose imbarcazioni , il cui equipaggio, avvertito dalla torre di avvistamento, era fuggito abbandonando le barche, ritenendo che se avessero tentato di fuggire con esse sarebbero stati raggiunti e trucidati dai feroci assalitori. Il Capitano di una di quelle, tuttavia, aveva deciso di affrontare i Saraceni anche da solo, ben sapendo che se essi fossero riusciti a superare Capo Murro di Porco e il Plemmirio, sarebbero sbarcati in città e avrebbero fatto un’ecatombe. Decise di correre, attraverso proprio la grotta, per non farsi scorgere dai barbari, fino alle enormi caldaie di pece che si tenevano pronte per ogni evenienza, vicino alla preistorica trincea di Punta Asparano, le cui tracce ancora oggi possiamo notare. Lì diede ordine agli addetti di versare in mare la pece bollente, calcolando che la corrente ne avrebbe portato il solco esattamente nel punto dove si erano fermati i pirati a saccheggiare le imbarcazioni siracusane. Il piano riuscì perfettamente e quando dall’apertura della grotta, prospiciente all’isolotto, si avvide che la pece galleggiava proprio attorno alle navi assalitrici, dalla

stessa apertura della grotta lanciò una freccia incendiaria sulla pece e in un attimo si alzò un cerchio di fuoco che le bruciò tutte senza dare scampo nemmeno ad uno dei saraceni; chi non morì a bordo e tentò di salvarsi a nuoto incappò nel falò della pece ardente! Ancora oggi chi scende nelle acque attorno all’isolotto, trova pezzi di legno di nave incastrati nella roccia e pietrificati.

Quando il capitano ardimentoso, dopo alcuni anni, morì, fu sepolto con grande onore in un sarcofago d’arenaria incastrato nella roccia lambente le acque all’imboccatura del porticciolo detto appunto “ tomba del capitano”.

Lì è rimasto fino a quando un privato villeggiante, avendolo trovato, alcuni anni addietro, se l’è portato nella propria villetta poco distante. Non mi è stato possibile sapere, tuttavia, il nome del…sottrattore.

Arturo Messina