LA STORIA DEI DUE PESCATORI CATANESI INGHIOTTITI DAL MARE DI OGNINA
A quella lapide di sciara, di pietra lavica, grigio scura, posta a pochi passi dal cancello della Caserma della Guardia di Finanza, oggi non fa più caso nessuno:
eppure, tanti camper vi sostano accanto e la vedono, senza degnarla d’uno sguardo; tanti turisti stranieri e tanti villeggianti locali vi stendono i loro mulinelli, attendendo, spesso a lungo e invano, che un’ambita ombrina o un modestissimo cefalo abbocchino, ignari e indifferenti perchè non conoscono la tragedia che essa intende ricordare!
Veramente, il tempo, le intemperie, l’umidità marina, l’incuria… hanno fatto sì che i due nomi, che prima vi erano incisi, siano scomparsi, come è scomparsa la data in cui avvenne l’immane tragedia. E’ rimasta soltanto la traccia, in bassorilievo, di una barca e qualche segno ondulato che simboleggia il mare in tempesta.
Da parecchi anni non vi si reca più nessuno dei parenti, che prima usavano deporvi un fiore; nemmeno il compare che ebbe la buona sorte di scamparla bella! Nessun fiore, nessun segno di devota corrispondenza d’amorosi sensi!
Nemmeno, più, ci sono i Siracusani Singers che ne presero spunto per una delle loro
canzoni, quelle raccolte in “ Briscola
Canora. Comincia così quella canzone:
“ Era d’inverno…
e il mare d’Ognina calmo sembrava…
I pescatori ingenui allettava;
era complice il mattino,
triste e grigio
come il volo d’un gabbiano:
non consigliava affatto di tentare
a quelli che da Catania vennero a pescare
e più non dovevano ritornare!”
Eggià! Quel mare è (era, oggi dovremmo, forse, dire…) così ricco di pesce, di polipi, di calamari, da essere il più noto di tutta la
Sicilia orientale, con il suggestivo porticciolo, la sua quasi diroccata torre d’avvistamento, con le sue antiche vestigia di epoche remote, con la limpidezza delle sue acque, dove veniva ad allenarsi il sub mondiale Enzo Maiorca, recordman in apnea, con il suo isolotto che fa da frangiflutti, dove tu, se non ti allontani imprudentemente, puoi sempre trovare un punto a ridosso della corrente e trattenerti a pescare, quel mare, dicevo, già andando un po’ più a largo diventa insidioso e dacché un momento prima ti appariva calmo, quasi addormentato, improvvisamente si sveglia furioso, per il mutare improvviso della direzione del vento, si agita, diventa una trappola, si trasforma in un’immensa piovra dai terribili tentacoli che ghermiscono tragicamente chi non lo conosce e si fida!
Fino a qualche settimana addietro stava per essere fatale ad una ragazza che si era avventurata a scuzzulari pateddi, che era, cioè, scesa sugli scogli lambiti dall’onda e con la punta d’un coltello staccava dalla roccia i mitili. D’un tratto il mare infido avrà fatto come usa fare il perfido polipo con il pesciolino: avrà allungato un suo tentacolo e blafh!…
a lei è mancato un piede, è caduta, ha cominciato a bere acqua, ha perso i sensi.. Se i soccorritori non fossero stati celeri, quel mostro avrebbe fatto un’altra delle sue vittime! Ecco perchè in un’altra canzone, sempre dedicata a Ognina (Marinaio Ognenitano) gli stessi Siracusani Singers, con la voce dell’usignolo siracusano, Lucia Colletta Frisone, raccomandavano:
“ … Di due cose non ti fidare:
della donna, sì, della donna
e del mare:
proprio quando sembran fedeli
si stan preparando a tradir!”
In quella dei due pescatori catanesi, invece, il ritornello si domanda:
“… Mare d’Ognina di Siracusa,
sei meraviglioso ma sei pur tanto insidioso;
perchè tradisci
chi si fida di te?”
Sono tanti che, anche professionisti, come i Pennisi che ogni pomeriggio, da oltre 30 anni, vengono a questo limpido e infido mare da Acireale con la loro lampara, ad alluciare polipi, seppie, faracheddi, non più abbondanti come un tempo, ma ancora in grado di costituire il frutto della loro fatica a chi sa trattare quelle acque con il rispetto dovuto.
Molte sono le qualità di pesce che, se non più ricco come una volta, ancora offre il generoso mare d’Ognina e che, a prescindere dai dilettanti che vanno con canna, mulinello, volantino di profondità, a strascico (con la penna di gallina o con il pesce finto), a seconda del tipo di pesce che intendono fare abboccare, quando non fanno pesca subacquea con o senza bombole, a seconda della probabilità di incontrare la Finanza, visto che è proibito pescare con le bombole perchè si arpionano anche i pesci in gestazione, che non possono scappare dalle tane…
i pescatori di professione sogliono pescare usando cianciolo, nasse, reti di vario tipo. Il modo di pescare il sarago e simili tipi di pesce bianco prelibato è il conzo: una serie di duecento, trecento e più ami, di calibro piuttosto consistente, appesi ognuno a un filo di nailon sottile e tutti insieme collegati ad un filo di nailon di doppio spessore.
Gli ami si conzano (da qui il termine conzo) innescandovi un pezzetto di calamaro, di sarda….( l’esca) e disponendoli agganciati a un canestro di vimini man mano che si armano o, dopo la pesca, si conservano.
Bisogna conoscere i posti dove calare il conzo, sapere anche che la profondità deve aggirarsi sui trenta metri.
E tanto è profondo il mare a meno di 2 miglia dalla costa, fino a Terrauzza, al Plemmirio, al faro Murro di Porco, dove si va a calare , o la parte meridionale, Cuba, Fontane Bianche, Gallina, la Balata di Avola… a seconda che tiri Grecale o Libeccio.
Narra la canzone:
“ Erano in tre
e il conzo vollero
lo stesso gettare;
rimase uno a riva
ad aspettare
e di dentro la
vettura,
poco dopo, nell’attesa,
sonno prese…”
Cosa avvenne nel frattempo che il terzo amico, stanco di aver guidato durante il lungo viaggio, fece la sua sostanziosa pennichella? Nessuno l’ha mai saputo! Solo Salerno, il più vecchio pescatore della contrada, ormai da anni deceduto, che aveva la villetta alla curva che porta alla Traversa Capo Ognina, raccontava d’avere intravisto, da lontano, al largo, qualcosa che si sollevava sulla prua come un cavallo che si impenni; dopo di che non aveva visto più nulla, per un’ondata enorme…
La mesta canzone conclude:
“ …Ma quando si svegliò
e cercò i compari,
non vide più la barca
al largo stare:
l’allarme alla caserma
corse a dare!”
Furono fatte tante ricerche, con pescherecci privati, con la pilotina della Capitaneria di Porto, con l’elicottero, con i sommozzatori…
Ci credereste che non fu rinvenuto nemmeno un pezzetto di relitto, nemmeno un sughero del conzo, nulla di nulla? Qualcuno azzardò il sospetto che con la barca avessero deciso di andare via, in Medio Oriente, in Africa!…. Impresa da folli, con un guscio di noce come quella imbarcazione da diporto!
E, ovviamente, ne fu dichiarata la morte presunta. I parenti realizzarono quel monumentino, poi, col tempo… Adesso se ne è persa la memoria. Ma “il mare non muore!”, scrisse Gioacchino Lentini nella sua bellissima opera teatrale ispirata a un’altra gravissima tragedia accaduta pure realmente, a causa dello scoppio d’un siluro che era stato… pescato, in un altro punto del mare siracusano. “ Il mare non muore!”: sembra dormire, riposare tranquillo e inerme, ma all’improvviso…
Quante vittime ha fatto e ancora continua a fare! Perchè, allora, non dedicare quel monumentino a tutti i pescatori rimasti vittime del mare?
Ristrutturato, diventerebbe di sicuro oggetto di devozione, e di attenzione, da parte di chiunque viene ad ammirare il nostro splendido e suggestivo angolo paesaggistico.
Arturo Messina