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LA STORIA RO “ZU PIPPINU RA TRIZZA”, L’ULTIMO PESCATORE DI OGNINA

Avendo raccontato la storia dell’eremita, o forse meglio zigano, del vecchio macello, mi viene in mente con un vivo senso di commozione, la figura di un altro zigano: il vecchio, indimenticabile pescatore di Ognina.

Spigolando, come faccio da tempo, nel passato popolare, tra figure singolari, leggende ed episodi realmente accaduti, angoli suggestivi e monumenti caratteristici del territorio di Siracusa, viene spontaneo parlare ancora di lui..

Villeggiando nella costa balneare aretusea, ed esattamente a Ognina, il più antico e rinomato sito marinaro della zona, chi non ha mai sentito parlare d’’o Zu Pippinu d’’a Trizza?

Non occorre essere eroici condottieri per meritare un posto nella memoria storica almeno del proprio ristretto ambiente, se non si riesce a collocarsi in quello più ampio della rinomanza collettiva…

Zu Pippinu d’’a Trizza, ad esempio, è rimasto uno di quegli umili personaggi che non facilmente si cancellano dal ricordo di chi è vissuto quando cominciò il boom dell’abusivismo edilizio da diporto, della villetta a mare anche a costo di rinunciare alla casa condominiale in città, a Siracusa, negli anni Sessanta! Vi è rimasto consolidato anche perchè i Siracusani che negli anni Ottanta andavano decantando gli angoli più suggestivi della Pentapoli, ne diffusero la singolare, mestissima e commovente vicenda:

“ Zu Pippinu d’Acitrizza

tutti i jiorna cala ’a rizza

cu ’a so’ barca c’accarizza

l’unna ’i Ognina e Terrauzza,

ca comu a iddu è vecchia e stanca,

ca comu a iddu a mari arranca…”

Così aveva inizio la triste canzone che ne descriveva i tratti salienti delle abitudini e del suo amaro vissuto. Di Zu Pippinu nessuno ha mai saputo il cognome, per cui, per individuarlo, bastava aggiungere come si faceva un tempo (Francesco d’Assisi, Antonello da Messina…) il nome del luogo di provenienza: Zu Pippinu d’’a Trizza, cioè di Acitrezza. Non state a domandarmi perchè un paesano dei “Malavoglia” avesse scelto Ognina di Siracusa come posto ove esercitare il mestiere di pescatore! Non era il solo. Ancora oggi, proprio dai tempi d’’o Zu Pippinu, vi è un gruppo di pescatori ( i fratelli Puglisi) che ogni sera viene dai paraggi di Acitrezza, esattamente da Acireale, per trascorrere la nottata pescando con la lampara: da sempre Ognina di Siracusa è rinomata per la generosità del suo mare, per cui sono tanti che ancora oggi vengono qui a pescare, sebbene il pesce oggi non sia più abbondante come una volta, dato che i dilettanti, soprattutto i sub armati di bombola ( per quanto sia proibito pescare con essa, ne ho visto scendere dall’imbarcazione un paio con una ricca corona di saraghi infilzati proprio in questi giorni…) hanno gradualmente, ma nesorabilmente spopolato i fondali.

“ S’hanu scuzzulatu macari ’i scogghi” – diciamo con una smorfia di insoddisfazione, pensando alla Ghiotta che portavamo un tempo, quando adesso scendiamo dalla barchetta da diporto con il consueto magro bottino: qualche ariula, due precchie, un paio di scrofani O, se siamo veramente ancora fortunati, una cipuddazza di un etto scarso….

I pescatori di Acitrezza vanno e vengono quotidianamente dal loro lontano paese: vuol dire che ancora il gioco ne vale la candela… Prima lo facevano in macchina, lasciando la lampara e le lunghe pertiche da fiocina in una delle stanze della vecchia costruzione a due passi dallo “scivolo piccolo”, dove lasciavano la barca. Adesso che la vecchia costruzione è stata ristrutturata, senza tuttavia essere utilizzata per gestirvi una trattoria, lo avevano tentato ma furono sfrattati dalla legge e solo un piccolo ambiente viene adibito a segreteria del Club Nautico Ognina che di recente è sorto per opera del geom. Romeo, proprio nel preistorico estuario divenuto canale del porticciolo, gli alluciaturi, così vengono chiamati a Siracusa i pescatori che vanno di notte, a puppi, seppi e calamari, vengono con un furgoncino, con cui trasportano due barche e tutta l’attrezzatura. Fino a quando?

Zu Pippinu, invece, rimaneva sul posto: a lui la vecchia barca serviva per pescare, per mangiare, per dormire…:

“ Notti e jornu ’nta la barca,

puri ci si curca

quannu spunta ’a luna!”. E’ la sola so’ ricchizza, ci arriorda cu amarizza ca finiu la gioventù!”

Quella vecchia barca “ a tutto servizio” non conobbe mai motore: Zu Pippinu andava sempre a remi, i vecchi rustici remi che egli ormai manovrava a gran fatica, ma a cui non volle mai rinunciare, non demordendo per l’età.

Del resto, mica sarebbe stato in grado di guidare un motore marino, se anche si fosse lasciato sedurre dalla tecnica moderna? L’erede dei Malavoglia si spingeva, comunque, poco lontano dalla punta dell’isolotto o dalla torre di avvistamento; se il tempo era propizio arrivava fino a Punta Asparano e a Terrauzza. Tuttavia, quei posti li conosceva a menadito, come le tasche dei suoi pantaloni, per calare la rete nel punto più

adatto. I suoi pantaloni? Se se li fosse tolti, ma non se li toglieva mai, nè quando pescava nè quando dormiva, sarebbero potuti rimanere dritti, all’in piedi, tanto impregnati erano di salsedine, di lerciume, di tartaro…Con gli stessi si recava ’o paiseddu,

così era inteso Cassibile allora, e da molti lo è tuttora, sopra Fontane Bianche. Lì soleva vendere la sua gabbietta di pesce, se non

riusciva a venderlo al porticciolo.

Infelice quell’automobilista che, non conoscendolo, si muoveva a pietà vedendolo coprire quella mezza dozzina di chilometri abbondante a piedi e gli concedeva un passaggio!

Non sarebbe stato, certo, il pesce, a fargli venire gli svenimenti; chè quello era fresco, bensì il lezzo nauseabondo del povero pescator

cavernicolo!…

E non sarebbe bastata una settimana di disinfestazione e di profumazione per togliere dalla vettura quell’inebriante fetore dei suoi famosi pantaloni, senza parlare della camicia….

Scarso, comunque, il pescato!

“ Zu Pippinu d’Acitrizza

tutti ‘ jiorna isa ’a rizza:

pisca opi e zoccu trigghia

pi la doti di so’ figghia…”

Ma il ricavato, pur se modesto, Zu Pippinu lo conservava quasi per intero, giacchè per lui non spendeva quasi nulla. Alla fine del mese, infatti, il povero pescatore usava tornare in famiglia e, come dice la canzone, consegnava l’intera sommetta alla moglie, per il sostentamento della famiglia e la dote della figlia. Spesa inutile, quella per la dote!

Infatti la figlia rimase zitella “

pirchì a nessunu ci parsi bella!”

Insomma, il mancato matrimonio della figlia non avvenne perchè la figlia era brutta, ma perchè non parve bella a nessuno…Il che non è la prima volta che capita! Infatti chi non conosce ragazze veramente carine che non hanno trovato marito mentre si sono maritate “fimmini mustazzuti e lari i comu ’a fami ’i Jinnaru?” Capita! E così ebbe a capitare alla figlia d’’o Zu Pippinu:

“ E lu poviru piscaturi

pisca e chiangi a tutti l’uri

mentri a idda sta a pinzari!”

Non so dirvi quando morì: l’estate di alcuni anni addietro, tornando nella mia villetta sita a una cinquantina di metri da dove egli soleva tenere la barca, domandai ai soliti amici “ alluciaturi” di Acireale:

“ E’ già andato a pescare ’u Zu Pippinu?”

“Sì, rispose uno di loro, non, però, all’isolotto, ma in Paradiso!”

Mi raccontò che una mattina d’inverno, che faceva un freddo cane, l’avevano trovato disteso come al solito nella sua vecchia, amata barca, unica vera compagna della sua vita: dormiva saporitamente il sonno dei giusti. E chi ci va in paradiso, se non c’è andato

il povero Zu Pippinu d’’a Trizza?

Arturo Messina