Politica

ALEX ZAPPALA’: L’ARANCINA E’ IL DONO PERFETTO DEGLI DEI

Lo dichiaro subito, a me la querelle sul nome di questa invenzione preziosa della cucina siciliana non mi appassiona. Persino l’accademia della Crusca si è scomodata per tale pronunciamento. Per me arancino o arancina sono la stessa cosa, e rappresentano la testimonianza di come sia divisa in due l’isola: arancina (rotonda) nella parte occidentale e arancino (rotondo o a punta, forma che potrebbe essere ispirata dalla figura dell’Etna) nella parte orientale, con l’eccezione di alcune aree nella zona ragusana e in quella siracusana. Io la declinerò al femminile solo perché mi piace l’idea di identificarla con il mondo femminile. Dico subito che l’arancina è il dono perfetto degli dei: come Zeus diede a Prometeo il regalo della conoscenza del fuoco, suppongo che Zeus abbia dato ai siciliani la gratificazione della arancina. Credo pertanto che tale sorta di timballo di riso rappresenti, in maniera prepotente, tutta la magnificenza della cucina siciliana. Mio fratello Carlo, che da parecchi anni vive al nord, ne è uno dei maggiori competenti in quanto divoratore seriale di arancine. A tutt’oggi, avendo trovato alcune fidate rosticcerie siciliane traslocate in Lombardia, Carlo non si fa mancare mai il singolare assaggio. Tramite mio fratello ho ancora il ricordo tenero di noi due bambini, quando mio padre a Ragusa, tenendoci per mano, ci portava a magiare le arancine del Bar Di Pasquale, vicino al Duomo barocco di San Giovanni, che rappresentava uno dei santuari assoluti dell’arancina. Ricordo il mio incedere lento nel degustare quella bontà, per via anche del calore enorme che sprigionava, perché rigorosamente appena fritto, evitando il rischio certo di ustionarmi.

Al contrario mio fratello sembrava avere il palato di amianto e con voracità predatoria, mentre io ero a metà della prima, lui già era all’attacco della seconda, e confesso che gli voglio bene anche per questa sua passione ancestrale. Questo episodio rappresenta forse la pietra miliare della mia formazione enogastronomica, una sorta di bigban che ha generato il mio amore per la cucina siciliana. Potrei dissertare per ore nel raccontarvi come le preparavano nella mia Siracusa i fratelli Zito, con un ragù molto granuloso. E potrei meglio dire delle gigantesche arancine siracusane del Bar della Posta di vent’anni fa, che il rosticcere vantava più grandi delle minne ovvero i seni di sua moglie. Oppure dirvi di quelle del Bar Tunisi, e tornando indietro nel tempo potrei narrarvi di quelle che preparavano dalla Zippolara in via Scinà in Ortigia. In tutta la Sicilia, il giorno in cui si mangiano di preferenza le arancine è il 13 di dicembre, per Santa Lucia. Siracusa ha avuto un suo grande amore per le arancine, che temo si sia un po’ perduto! Ma nel tentativo di recuperare questo imperdonabile gap, alcuni anni fa mi cimentai, con il mio sodale amico Michele Mauceri, nel preparare e cucinare ben cento arancine in una sola notte, e credo che a noi debba andare il premio della temerarietà. Anche queste creature deliziose sembra siano il frutto della invenzione dei Monsù, per servire il pasto ai nobili signori della aristocrazia settecentesca, impegnati durante le lunghe battute di caccia. In questa matrioska di riso e panatura non possono mancare i piselli, il formaggio filante e il ragù di carne preparato in cento modi diversi. Un tempo, il viaggio di ingresso in Sicilia veniva celebrato con l’assaggio delle arancine nei traghetti, i ferriboat, che collegavano la penisola italiana con la Sicilia. Chi non ricorda ancora quella bontà, una epifania di sapori offerti da questa terra, quasi una mistura magica che preannunziava un innamoramento assoluto.

Alex Zappalà