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LE CATACOMBE DI SANTA LUCIA IN DEGRADO: COLPA DEI SOLAI COSTRUITI NEL 1952

Le catacombe di Santa Lucia fuori le mura, sotto la piazza omonima, sono tra gli angoli più interessanti e suggestivi da visitare: vi è tutto un mondo oscuro e sotterraneo che conserva testimonianze di grandissimo rilievo storico e archeologico, a cominciare dal sepolcro di Santa Lucia, il cui punto preciso però è argomento controverso tra gli esperti, come è controversa l’identità e l’ubicazione delle spoglie della bimartire siracusana, che alcuni sostengono trovarsi a Venezia, altri altrove, anche se la tradizione vuole che il cubicolo dove venne sepolta S. Lucia è esatta mente dove adesso vediamo la sua statua marmorea eseguita egregiamente dallo scultore Tedeschi.

Però, come abbiamo detto a proposito della cisterna che i frati francescani nel periodo del Rinascimento ricavarono da una parte delle catacombe, vi si accede oggi o, meglio, si dovrebbe accedere, giacchè oggi non è possibile visitarle, dalla porticina che si trova nella navata di destra, vicina all’organo della chiesa.

Con il termine catacomba (dal greco katà kumbas = presso le cavità ) si intendono i cimiteri realizzati nelle gallerie sotterranee, scavate per lo più nel tufo granulare, quindi di modesta consistenza, di modo che si potessero scavare con una certa facilità.

Ma è chiaro che questa modesta consistenza del tufo , con l’andare dei secoli e soprattutto con l’incuria e l’imprudenza dell’uomo moderno è stata potenziale causa delle frane, dei crolli che in tanta parte ne hanno ostruito il percorso.

Le gallerie generalmente erano come stretti corridoi, ai lati dei quali si scavano le nicchie o loculi, cioè le tombe sepolcrali sovrapposte, grandi quanto potessero esservi deposte una, due o anche più salme, definiti monosomi, bisomi… polisomi o poliandri.

A tratti, però, si allargavano fino a costituire un cubicolo, una specie di stanza: era il luogo riservato alla sepoltura di defunti appartenenti ad una stessa famiglia, una specie delle nostre moderne cappelle cimiteriali di famiglia e, come queste, avevano segni ornamentali anche pregevoli e dipinti anche ad elevato livello d’arte.

I temi trattati dalle pitture cimiteriali erano rappresentati con simboli, scene e figure derivate dal mondo pagano. Rare volte si trovava qualche elemento scultoreo, mentre comuni sono i rinvenimenti di oggetti vari, come monete, ampolle per balsamo, persino accanto ai loculi di bambini, bambole o altri giocattoli usati in vita dal defunto.

Ma non è affatto dimostrato che accanto alla tomba si ponesse un’ampolla del suo sangue, come invece in epoche successive si posero dei teschi, come quelli trovati di recente anche nella cripta sepolcrale dei Cappuccini. Si poneva invece il nome del defunto sulla lastra che copriva ciascun loculo e si ponevano anche dei fregi, un pensiero, un elogio…. Con particolare riguardo venivano custoditi i loculi o i cubicoli dove era stato seppellito un martire: su di esso poi venne a costruirsi la basilica, come quella di San Marziano, primo vescovo di Siracusa, che divenne la prima cattedrale siracusana, prima che il tempio di Atena venisse trasformato in tempio del Dio Vivente.

I corridoi spesso erano anche a più piani, per cui si andava da una profondità di una mezza dozzina di metri fino a oltre venti sotto il suolo: al contrario certe necropoli, come quelle di Pantalica, risalenti anche a oltre un millennio a.C. erano realizzate a numerosi piani tombali, come una specie di grattacielo mortuario.

Non pare sia vero, se non in eccezionali episodi, che le catacombe fossero servite come luoghi di rifugio, di assemblee o addirittura di abitazione degli antichi cristiani.

Le catacombe venivano a volte realizzate dove prima c’era un acquedotto o anche dove prima vi era una cava di pietra: si spiega così il fatto che si trovano proprio nelle catacombe di Santa Lucia ancora tracce sicure di canali; del resto nel sottosuolo della zona fino a poco tempo addietro affioravano piccoli corsi d’acqua, come quello che scendeva da Viale Luigi Cadorna, esistente fino a 50 anni addietro e che si attraversava camminando sopra una tavola di ponte: la strada veniva chiamata appunto ’u vadduni, ricca di vigneti e di orti. Che vi fossero prima anche delle cave di pietra, lo deduciamo anche dal fatto che proprio in un buon tratto delle stesse catacombe, nella parte più a nord, è stato accertato che vi fosse una grande fabbrica di vasi: lo testimoniano i numerosi cocci, finemente lavorati, che ancora si rinvengono. Evidentemente quel suolo aveva una straordinaria vocazione alla modellatura perchè era ricco di creta, di argilla. Dovevano esservi pure delle fornaci proprio per l’essiccazione dell’argilla dopo la modellatura, come quella che è stata localizzata nelle catacombe di San Giovanni. Il Cimitero maggiore, che si raggiunge dopo di avere attraversato la zona B e che si articola intorno sa un grande ambiente di forma rettangolare, e contraddistinto nella zona P, in origine doveva essere appunto a cielo aperto: è proprio la zona cimiteriale tra le più antiche, alcuni secoli prima dell’era cristiana.

Che si trattasse di un ambiente ancora legato al culto pagano lo dimostra il fatto che proprio lì si può ammirare il cosiddetto sacello pagano: un ampio spazio in fondo al quale c’è una specie di edicola ricavata dallo scavo del tufo che fu ridotto da tre lati a forma di grosso pilastro, dell’altezza di circa tre metri, di base rettangolare di circa un metro per lato. Ciascun lato del grosso pilastro reca dei dipinti ancora discretamente conservati. I dipinti hanno diversi soggetti. Quello frontale è diviso in tre piani e propone tre motivi: quello inferiore è troppo deteriorato per poterne cogliere il senso; quello del settore superiore è un motivo architettonico e rappresenta un portale con timpano triangolare acuto; molto probabilmente doveva contenere altre figure come quello della fiancata sinistra, che rappresenta un baldacchino, dentro il quale si anima una scena tribale, con figura umana abbastanza bene conservata: si direbbe un guerriero astato seminudo , che tiene la lunga asta con la sinistra mentre stende la destra davanti ad un braciere. Altri elementi che si riferiscono al fuoco e che appaiono nello stesso dipinto potrebbero testimoniare che si tratti di individui che hanno da fare appunto con l’essiccazione dell’argilla e quindi vasai. Del resto venne accertato che proprio in quella zona fu trovato una specie di cratere, il che dimostrerebbe appunto che in età ellenistica vi era una delle officine dei vasai di Siracusa, la cui produzione veniva esportata fino al grande mercato di Marsiglia e quindi in tutto il Mediterraneo occidentale.

Quando avvenne lo spaventoso sisma dell’età augustea, fece crollare le volte dei grandiosi magazzini dei vasai che andarono a finire sotto terra; da qui il motivo dei reperimenti nelle catacombe. Tale cratere venne colmato di terra. Per ritornare al triplice dipinto della parte frontale diciamo che il settore di centro è quello che si è conservato meglio e che se non ci lascia trasparire il significato della scena ci dà pienamente l’impressione del buon livello artistico del pittore che l’ha affrescato.

Sia nella scioltezza e dinamicità del drappeggio,  una bianca tunica corta, sia nell’anatomia del primo personaggio, che ci appare sulla sinistra alquanto distaccato dal gruppo, anche questo pittoricamente di pregevole fattura, il pittore rivela buona qualità tecnica e di impostazione. In effetti questi del sacello sono tra gli affreschi più interessanti che ci siano arrivati, dopo almeno duemila e duecento anni, soprattutto in un ambiente così umido precario.

Quello era il luogo sacro dove pregava la gente che lavorava l’argilla e faceva i vasi tra i più belli che ci fossero nell’antichità: gli stessi motivi dell’edicola, infatti, sono quelli che si possono ammirare in gran parte della produzione artistica vascolare.

Le catacombe venivano illuminate da lucernari che comunicavano con l’esterno o con la parte soprastante.

Purtroppo, attualmente proprio la parte soprastante la zona dove appunto c’è il sacello pagano è una di quelle che mettono più a rischio le catacombe. Innanzi tutto i lucernari sono in uno stato precario e alcuni rischiano di crollare: da uno di essi, poi, nell’ultima ristrutturazione della piazza, qualcuno ha gettato una ventina di metri cubi di Sterro, è stata trovata parte di un sacco di carta del cemento, che non è di una fabbrica del territorio siracusano, il che potrebbe fare agevolmente risalire ai responsabili!…, provocando l’ostruzione di una buona parte delle stesse catacombe! Se poi si osservano le soglie delle abitazioni a nord est si nota che sono sensibilmente sopraelevate rispetto al   piano scoperto, al piano della piazza. Perchè? Prima non lo erano perchè il piano era più alto; il piano è stato fortemente rifilato, riabbassato già negli anni ’20 quando fu fatta la ristrutturazione di piazza Santa Lucia, per cui lo spessore della volta è stato di parecchio assottigliato, con conseguente indebolimento della struttura portante, tanto che, nella parte sotto corrispondente, uno dei pilastri di mattoni ripieni, fatti costruire appositamente perchè già si notava un certo pericolo di sprofondamento, si è piegato. Il banco di roccia di questa zona è infatti inconsistente rispetto a quello della zona di San Giovanni, dove abbiamo un calcare più compatto e perfetto mentre qui si sbriciola: opere di rinforzo se ne fecero già nel IV secolo d.C. perchè in alcuni tratti quelle catacombe stavano crollando. Alla inconsistenza della roccia, l’assottigliamento  dello strato superiore, di volta, si aggiunge l’azione di infiltrazione delle radici degli alberi che furono piantati tutto attorno alla piazza e che hanno sfondato fino al secondo piano sotto il livello della piazza, aggravando la situazione che era precaria dall’origine.  Nel 1942 vi fu un altro disastro: le autorità del tempo vollero realizzarvi dei rifugi antiaerei, portandovi addirittura la luce, provocando degli ulteriori danni, tra l’altro abbassando il piano delle stesse gallerie di circa un metro e cinquanta. Sono state riportate in qualche modo allo stato iniziale le proporzioni architettoniche con il materiale di riempimento; ma ciò non toglie che il soffitto in certi tratti si è ridotto ad appena, trenta, quaranta centimetri, in qualche caso manca assolutamente: quando poi, nel 1952 vi fu fatto passare un acquedotto furono realizzati dei solai a cura dell’amministrazione comunale del tempo, solai che oggi sono carichi di ruggine e hanno aggravato la situazione. Occorrerebbe provvedere al più presto, per dare stabilità all’importante angolo archeologico e offrire nuovamente l’opportunità ai turisti di visitarlo.

Arturo Messina